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Questa espressione può avere un senso metaforico e indicare l’autorità di chi insegna, come si dice, ex cathedra (kathedra, καθέδρα), e quindi riferirsi a Mosè, oppure un senso reale, perché in alcune sinagoghe, sebbene tardive rispetto al testo evangelico, vi erano seggi speciali per la presidenza dell’assemblea. Probabilmente, scribi e farisei sono descritti qui come coloro che non solo custodivano la Torah ma la trasmettevano nelle liturgie sinagogali.
Il sostantivo phortion (φορτίον), “carico, fardello”, è lo stesso che Gesù definisce “leggero” in 11,30, riferendosi al “suo” peso. In senso proprio, il sostantivo significa “carico” della nave, mentre qui si parla dei pesi che derivano dall’osservanza della Torah. Forse la differenza tra il carico di Gesù e quello di scribi e farisei è che questi ultimi non aiutano la gente a portarlo, mentre Gesù condivide il “giogo” con chi si trova a portarlo.
Il termine kathēgētēs (καθηγητής) ricorre solo qui in tutto il Nuovo Testamento, e significa “guida, tutore, precettore”.
Il verbo diakoneō (διακονέω), da cui ha origine il sostantivo diakonos (διάκονος), nella maggior parte delle occorrenze in Matteo conferma il significato principale del verbo, quello di “servire a tavola”, ma Gesù amplia questo servizio fino a esprimere la più alta delle opere: la diaconia di Gesù, che riassume ciò per cui è venuto, è quella che arriva a dare la vita per il riscatto di molti (cf. 20,28).
Commento alla Liturgia
Sabato della XX settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
Rt 2,1-3.8-11.4,13-17
1Noemi aveva un parente da parte del marito, un uomo altolocato della famiglia di Elimèlec, che si chiamava Booz. 2Rut, la moabita, disse a Noemi: "Lasciami andare in campagna a spigolare dietro qualcuno nelle cui grazie riuscirò a entrare". Le rispose: "Va' pure, figlia mia". 3Rut andò e si mise a spigolare nella campagna dietro ai mietitori. Per caso si trovò nella parte di campagna appartenente a Booz, che era della famiglia di Elimèlec. 8Allora Booz disse a Rut: "Ascolta, figlia mia, non andare a spigolare in un altro campo. Non allontanarti di qui e sta' insieme alle mie serve. 9Tieni d'occhio il campo dove mietono e cammina dietro a loro. Ho lasciato detto ai servi di non molestarti. Quando avrai sete, va' a bere dagli orci ciò che i servi hanno attinto". 10Allora Rut si prostrò con la faccia a terra e gli disse: "Io sono una straniera: perché sono entrata nelle tue grazie e tu ti interessi di me?". 11Booz le rispose: "Mi è stato riferito quanto hai fatto per tua suocera dopo la morte di tuo marito, e come hai abbandonato tuo padre, tua madre e la tua patria per venire presso gente che prima non conoscevi. 13Così Booz prese in moglie Rut. Egli si unì a lei e il Signore le accordò di concepire: ella partorì un figlio. 14E le donne dicevano a Noemi: "Benedetto il Signore, il quale oggi non ti ha fatto mancare uno che esercitasse il diritto di riscatto. Il suo nome sarà ricordato in Israele! 15Egli sarà il tuo consolatore e il sostegno della tua vecchiaia, perché lo ha partorito tua nuora, che ti ama e che vale per te più di sette figli". 16Noemi prese il bambino, se lo pose in grembo e gli fece da nutrice. 17Le vicine gli cercavano un nome e dicevano: "È nato un figlio a Noemi!". E lo chiamarono Obed. Egli fu il padre di Iesse, padre di Davide.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 127(128)
R. Benedetto l'uomo che teme il Signore.
Beato chi teme il Signore
e cammina nelle sue vie.
Della fatica delle tue mani ti nutrirai,
sarai felice e avrai ogni bene. R.
La tua sposa come vite feconda
nell'intimità della tua casa;
i tuoi figli come virgulti d'ulivo
intorno alla tua mensa. R.
Ecco com'è benedetto
l'uomo che teme il Signore.
Ti benedica il Signore da Sion.
Possa tu vedere il bene di Gerusalemme
tutti i giorni della tua vita! R.
Vangelo
Mt 23,1-12
1Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli 2dicendo: "Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. 3Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. 4Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. 5Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; 6si compiacciono dei posti d'onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, 7dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati "rabbì" dalla gente. 8Ma voi non fatevi chiamare "rabbì", perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. 9E non chiamate "padre" nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. 10E non fatevi chiamare "guide", perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. 11Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; 12chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato.
Note
Approfondimenti
Il verbo kathizō (καθίζω) compare qui come un aoristo gnomico, di solito usato per sentenze e proverbi, e implica il fatto che i farisei sono ancora seduti, come se fosse un perfetto.
Questa non è un’affermazione critica, anzi rappresenta forse l’unica valutazione positiva del loro ruolo in tutto il vangelo. Anche studi recenti portano ugualmente a riabilitare i farisei e la loro ricchissima tradizione. In particolare, qui si descrive la correttezza del loro insegnamento, che anche Gesù riconosce. Vengono rimproverati, invece, perché non hanno una prassi corrispondente all’interpretazione che danno della Torah.
Infatti, diversamente da quanto comunemente di crede, l’esegesi farisaica della Scrittura non era letterale, ma cercava di adattare e rendere praticabili le norme della Torah. Tuttavia, come le parole di Gesù al v. 5 mostrano, i farisei si concentravano troppo su dettagli minimi, rischiando di perdere di vista il cuore della rivelazione di Dio.
Nell’ebraico biblico il termine rab (grande) appare soltanto in associazione ad altri nomi. Dopo la distruzione del Tempio, rabbì (ῥαββί) precede il nome dei maestri e così nelle fonti rabbiniche viene usato come appellativo assoluto per indicare il maestro di dottrina. I rabbì farisei si ritenevano depositari dell’interpretazione della Torah, utilizzando il titolo per designare il loro ruolo e le loro prerogative.
Al tempo in cui Matteo scrive il suo vangelo, il titolo di rabbì veniva probabilmente usato anche per definire gli scribi cristiani, forse conferito con una vera e propria investitura. Forse per questo Gesù proibisce ai discepoli di chiamarsi in questo modo – indicazione presente solo in questo vangelo – perché non diventi un modo per ricevere onori e potere.
Servi
La Liturgia ci fa leggere in due giorni il libro di Rut. La tradizione ebraica legge interamente ogni anno questo rotolo nel giorno di Pentecoste, quando si offre il primo covone e si festeggia il compleanno del re Davide, assieme alla gioia di aver ricevuto il dono della Torah sul monte Sinai. Per i discepoli del Signore Gesù, Rut non è solo la bisnonna di Davide, ma un’icona di quello che sarà il cuore del Messia. La prima lettura si conclude in modo non solo gioioso, ma profetico:
«E lo chiamarono Obed. Egli fu il padre di Iesse, padre di Davide» (Rut 4,17).
Questo nome - significa “servo” - dice fino in fondo che questo bambino è proprio il figlio di Rut e di Booz, i quali hanno accettato di decentrare l’attenzione da se stessi per porla sempre e comunque sull’altro. Questo nome diventa il passaggio obbligato per la generazione del Messia Re, che sarà il pastorello figlio di Iesse e diventa, ancora più profondamente, pregusto del Figlio che si fa «servo» (Fil 2,7).
Possiamo già sentire il dolcissimo nome del Signore Gesù, «servo del Signore» (Is 42,1) che di se stesso dirà «sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,27). Obed è proprio figlio di Rut in quanto porta il nome di sua madre che, parlando di se stessa, ha sempre detto di essere una «serva» come farà la Madre di Gesù (Lc 1, 38). Rut è icona dell’atteggiamento della donna che sarà la madre di Gesù la quale, andando a visitare Elisabetta, non si lascerà ammaliare dal titolo di «madre del Signore» e canterà nel Magnificat di essere «serva». Così pure nessuno e niente riuscirà a convincere il Signore Gesù che si possa vivere diversamente per essere rivelazione del cuore del Padre. Rut mette al mondo colui che sarà l’anello di congiunzione per la generazione di Davide, pastore e per questo capace di essere re. Il frutto del grembo di Rut è, per sua natura, fecondo: mentre il bambino è ancora in fasce, già è «padre di Davide». Qui leggiamo non solo prefigurato, ma anche previssuto il mistero di Cristo lungamente preparato nella storia. Obed è il frutto benedetto del grembo di Rut, figlio di colei che ha saputo farsi serva sempre e comunque.
La prima lettura di quest’oggi spiana così la strada alla parola così incisiva del Signore Gesù. Questa parola richiede a ogni discepolo, come pure alla stessa Chiesa, un continuo esame di coscienza, discepolare ed ecclesiale. La parola del Signore Gesù è forse la più evangelicamente dogmatica, anche se tra le più disattese:
«Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato» (Mt 23,11).
Lo stesso Signore Gesù ci aiuta a comprendere il senso profondo di questo atteggiamento a partire da un criterio che fa la differenza con l’attitudine degli scribi e dei farisei, i quali «legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente» (23,4). Al contrario, quali discepoli del Vangelo siamo chiamati a metterci a servizio dei nostri fratelli per alleggerire i loro fardelli, accettando di condividere i pesi fino a portarli con loro e perfino, talora, al loro posto.
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