Commento alla Liturgia

Sabato della XXII settimana di Tempo Ordinario

Prima lettura

Col 1,21-23

21Un tempo anche voi eravate stranieri e nemici, con la mente intenta alle opere cattive; 22ora egli vi ha riconciliati nel corpo della sua carne mediante la morte, per presentarvi santi, immacolati e irreprensibili dinanzi a lui; 23purché restiate fondati e fermi nella fede, irremovibili nella speranza del Vangelo che avete ascoltato, il quale è stato annunciato in tutta la creazione che è sotto il cielo, e del quale io, Paolo, sono diventato ministro.

Salmo Responsoriale

Dal Sal 53 (54)

R. Dio è il mio aiuto.

Dio, per il tuo nome salvami,
per la tua potenza rendimi giustizia.
Dio, ascolta la mia preghiera,
porgi l’orecchio alle parole della mia bocca. R.
 
Ecco, Dio è il mio aiuto,
il Signore sostiene la mia vita.
Ti offrirò un sacrificio spontaneo,
loderò il tuo nome, Signore, perché è buono. R.

Vangelo

Lc 6,1-5

1Un sabato Gesù passava fra campi di grano e i suoi discepoli coglievano e mangiavano le spighe, sfregandole con le mani. 2Alcuni farisei dissero: "Perché fate in giorno di sabato quello che non è lecito?". 3Gesù rispose loro: "Non avete letto quello che fece Davide, quando lui e i suoi compagni ebbero fame? 4Come entrò nella casa di Dio, prese i pani dell'offerta, ne mangiò e ne diede ai suoi compagni, sebbene non sia lecito mangiarli se non ai soli sacerdoti?". 5E diceva loro: "Il Figlio dell'uomo è signore del sabato".

Commento alla Liturgia

Nella speranza

Roberto Pasolini

Il testo paolino con cui si apre la liturgia odierna, nella sua brevità, è capace di illustrare con grande efficacia quella necessaria iniziazione alla vita in Cristo che non dovremmo mai dare per scontato né di essere in grado di offrire, né di aver assimilato:

«Fratelli, un tempo anche voi eravate stranieri e nemici, con la mente intenta alle opere cattive; ora egli vi ha riconciliati nel corpo della sua carne mediante la morte, per presentarvi santi, immacolati e irreprensibili dinanzi a lui» (Col 1,21-22).

La memoria di essere stati incontrati da Dio nella distanza del peccato e di aver ricevuto – proprio così distanti – il dono di una possibile partecipazione alla sua santità d’amore non dovrebbe mai venir meno nel cuore di quanti sono diventati il corpo di Cristo e la testimonianza della sua misericordia nel mondo. Tuttavia – continua l’apostolo – questa gioiosa premessa, se non può essere mai data per scontata, ha bisogno di essere continuamente verificata: «purché restiate fondati e fermi nella fede, irremovibili nella speranza del Vangelo che avete ascoltato, il quale è stato annunciato in tutta la creazione che è sotto il cielo» (1,23).
Di questa rocciosa speranza, così radicata e certa da non poter essere messa in discussione troppo facilmente da niente e da nessuno, si fa interprete e garante il Signore Gesù, quando si trova a difendere i suoi discepoli dalla voce di quanti vorrebbero mantenere la loro vita inquadrata nelle due strette colonne del possibile e del proibito:

«Perché fate in giorno di sabato quello che non è lecito?» (Lc 6,2).

Anziché scagionare i discepoli dalla falsa accusa di aver trasgredito il precetto del sabato, Gesù coglie l’occasione di rispondere ai farisei senza entrare nel labirinto – così astruso eppure così caro a ogni sistema religioso – circa i precetti e le loro inevitabili dispense. Affermando la sua signoria sulle prescrizioni dello shabbat, Gesù non vuole difendere un suo privilegio, ma piuttosto indicare a tutti qual è l’originaria signoria e l’inalienabile libertà che Dio ha impresso alla creazione e al suo irriducibile bisogno di essere continuamente nutrita. Ecco perché l’argomentazione che attinge dalle Scritture di Israele pone l’esempio assai significativo di quel momento in cui persino il re Davide con i suoi compagni non si fa alcun problema a uscire dai confini del lecito e dell’illecito, senza tuttavia cadere in alcun peccato:

«Non avete letto quello che fece Davide, quando lui e i suoi compagni ebbero fame? Come entrò nella casa di Dio, prese i pani dell’offerta, ne mangiò e ne diede ai suoi compagni, sebbene non sia lecito mangiarli se non ai soli sacerdoti?» (Lc 6,3-4).

La risposta di Gesù alla perplessità farisaica diventa per noi l’occasione di recuperare – forse anche di rianimare – quella speranza, accordata da Dio a tutta la sua creazione e a tutte le sue creature, e uscita gioiosamente dalla provvidenza delle sue mani, ma soprattutto dalla libertà del suo cuore. La Legge e tutte le sue necessarie articolazioni non sono – mai – state offerte all’uomo per ostacolare l’espansione della vita con tutte le sue innumerevoli esigenze, sia quelle più semplici e ordinarie sia quelle più grandi e complesse. Al contrario, la Legge è solo un mezzo per saper discernere in ogni circostanza quale sia la strada per dilatare continuamente lo spazio della vita restando nella speranza del vangelo, che è la gioia e la responsabilità dei figli di Dio. Ciò implica il coraggio di saper lucidamente contestare ogni interpretazione della Legge che possa farci tornare schiavi della paura, anziché figli amati e custoditi in ogni autentico bisogno:

«Ecco, Dio è il mio aiuto, il Signore sostiene la mia vita» (Sal 53,6).

Solo a partire da questa esperienza filiale diventa possibile impegnarsi in una relazione con Dio nella quale ci è chiesto non solo di ricevere, ma anche di saper gioiosamente donare: «Ti offrirò un sacrificio spontaneo, loderò il tuo nome, Signore, perché è buono» (53,8).

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