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Il termine greco tradotto con “gratitudine” è chàris (χάρις), che in questo caso non ha un significato teologico, e per questo non è tradotto con “grazia”. Nei testi sapienziali, risalenti all’epoca giudeo-ellenistica, ricorre con il significato di “servizio reso in cambio, favore reso”. Luca non abbandona, quindi, l’antico principio di reciprocità, ma lo traspone dal piano interpersonale a quello del rapporto tra Dio e l’uomo. Operando una rottura con la reciprocità calcolatrice per amare i nemici, si può ricevere una grazia (qui in senso teologico!) da Dio: l’adozione a figli.
Questo versetto sembra rimandare all’affermazione teologica, rara nell’Antico Testamento, dell’imitazione di Dio (“siate misericordiosi come il Padre vostro”, cf. Lv 19.2). Nella Bibbia dei LXX il termine oiktìrmōn (οἰκτίρμων), “compassionevole, misericordioso”, è usato per lo più in riferimento a Dio, insieme all’altro principale attributo che è la santità. Luca evangelista sceglie la misericordia come fondamento teologico del comportamento cristiano.
Commento alla Liturgia
Giovedì della XXIII settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
Col 3,12-17
12Scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi dunque di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, 13sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. 14Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto. 15E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E rendete grazie! 16La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Con ogni sapienza istruitevi e ammonitevi a vicenda con salmi, inni e canti ispirati, con gratitudine, cantando a Dio nei vostri cuori. 17E qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie per mezzo di lui a Dio Padre.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 150
R. Ogni vivente dia lode al Signore.
Lodate Dio nel suo santuario,
lodatelo nel suo maestoso firmamento.
Lodatelo per le sue imprese,
lodatelo per la sua immensa grandezza. R.
Lodatelo con il suono del corno,
lodatelo con l’arpa e la cetra.
Lodatelo con tamburelli e danze,
lodatelo sulle corde e con i flauti. R.
Lodatelo con cimbali sonori,
lodatelo con cimbali squillanti.
Ogni vivente dia lode al Signore. R.
Vangelo
Lc 6,27-38
27Ma a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, 28benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. 29A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l'altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. 30Da' a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro. 31E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. 32Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. 33E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. 34E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. 35Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell'Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi. 36Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. 37Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. 38Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio".
Note
Approfondimenti
Questo versetto solleva un problema vitale: è possibile amare i propri nemici? La possibilità si basa anzitutto sull’iniziativa di Dio – “perché egli è benevolo” – che per primo ha amato noi, “suoi nemici”. Dunque non si tratta di imitarlo, ma di agire all'interno di un rapporto reciproco.
Inoltre, Gesù che enuncia questo imperativo lo ha compiuto di persona. Amare i propri nemici significa, quindi, camminare sulle sue tracce.
Ancora, pur accompagnato dalla promessa della più alta delle ricompense che si possano sperare, l’amore dei nemici non si esaurisce in un sistema di retribuzioni individuali, ma agisce a favore dell’altro, per conquistarlo al vangelo.
In altre parole, la buona comprensione dell’amore ai nemici non è quella bipolare, ma quella che include un terzo polo vivente: Gesù che ci parla e preventivamente ci ama.
Sopportarci
Qualche giorno fa le Scritture ci permettevano di leggere i nostri vuoti non come segni di una mancanza, ma addirittura come vere e proprie chiamate a partecipare più intensamente alla vita e al mistero di Cristo. La liturgia di oggi approfondisce questo tema, affermando che, fino a quando nell’amore lavoriamo a cottimo, ci perdiamo la parte migliore. Gesù rivolge per tre volte nel vangelo una domanda cruciale ai suoi discepoli, come noi tentati di voler bene nella speranza di ricevere qualcosa in cambio.
«Quale gratitudine vi è dovuta?» (Lc 6,32.33.34).
Fa piacere a tutti essere riconosciuti nel lavoro, negli affetti e nelle amicizie. Anzi, è l’unico modo attraverso cui possiamo imparare a svolgere gli incarichi e ad assumere i ruoli che la vita ci assegna. Il Signore Gesù ha però la pretesa di dirci che, a un certo punto, dobbiamo essere capaci di rinunciare liberamente a questa iniziale gratificazione. Altrimenti non saremo mai liberi fino in fondo. E soprattutto rischieremmo di perdere la ricompensa più importante, quella che Dio stesso vuole e può darci.
«Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo» (Lc 6,35).
Nell’amore, infatti, restiamo sempre un po’ degli illusi. Vorremmo imparare ad amare di più e meglio, però non siamo disposti ad accettare tutte le conseguenze che la scelta di farlo porta con sé. E ci incartiamo in un circolo vizioso dove più amiamo e più ci capita di soffrire; più soffriamo e più ci passa la voglia di amare. Solo azzerando la pretesa che l’amore possa ricevere la sua risposta definitiva nelle cose e nei tempi di questo mondo, diventa possibile sperimentare il gusto di un amore più grande. Meno emotivo e sensibile. Più asciutto e reale.
«Fratelli, scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro» (Col 3,12-13).
Così abituati a pensare l’amore in termini egoistici ed egocentrici, facciamo fatica a immaginare che il suo dinamismo si possa declinare in quegli atteggiamenti di sopportazione dell’altro — delle sue debolezze e delle sue lentezze — a cui ogni giorno siamo chiamati senza troppi riflettori puntati addosso. Che poi, in fondo, è solo la restituzione del modo con cui ogni giorno il Signore prende la nostra vita e la tiene stretta al suo cuore: sopportandoci.
«Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi» (Col 3,13).
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