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Si tratta di un’espressione idiomatica greca, per esprimere l’uso di una situazione a proprio vantaggio. Il sostantivo harpagmos (ἁρπαγμός) indica una realtà posseduta, conquistata anche con la forza o con il furto, che si vuole a tutti i costi conservare.
Il sostantivo schēma (σχῆμα) indica la forma esteriore e riconoscibile di qualcosa o qualcuno. Quindi Cristo non solo fu come gli altri uomini, ma fu il suo comportamento a farlo riconoscere come tale.
Nel greco biblico, il verbo kenoō (κενόω) è usato sempre in senso metaforico. Questo è l’unico passo in cui è costruito con un pronome riflessivo, per mettere in risalto l’aspetto personale e libero dello svuotamento di Cristo, che consiste nell’assumere la condizione dello schiavo.
Questa è l’unica occorrenza del verbo huperupsoō (ὑπερυψόω) in tutto il NT e descrive un’esaltazione al massimo livello, che include implicitamente la risurrezione e l’ascensione di Cristo.
Si tratta di un’espressione ripresa dalla letteratura biblico-giudaica (profeta Daniele, secondo libro dei Maccabei) e molto cara al quarto evangelista, ma attestata anche nei sinottici. Il greco zōēn aiōnion (ζωὴν αἰώνιον) traduce l’espressione ebraica hayyê hôlām, che significa “la vita dell’era eterna”, una vita illimitata nel tempo e felice. Anche in mancanza dell’aggettivo “eterno”, il sostantivo zōē nel quarto Vangelo non si riferisce alla vita naturale, ma indica la definitività della salvezza, la vita che nemmeno la morte può annientare.
È la prima occorrenza del verbo amare, agapàō (ἀγαπάω) nel Quarto Vangelo. Si tratta dello stesso verbo con cui Dt 6,5 riferisce il primo comandamento – «tu amerai il Signore Dio tuo» – ma qui il soggetto è Dio. Per poter amare Dio «con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze», bisogna che Dio per primo si riveli come colui che ama con tutto… il suo Figlio. Il primo passo della conversione non è richiesto, ma dato. E il fine di questo dono è la vita eterna per chiunque crede.
Il verbo krinō (κρίνω) ha comunemente il significato di “giudicare, discernere”, ma anche quello di “emettere una sentenza”: se questa è negativa, il senso diventa “condannare”. Qui, per la contrapposizione con il verbo sōzō (σῴζω), sembra prevalere l’accezione di condanna.
Commento alla Liturgia
Esaltazione della Santa Croce
Prima lettura
Nm 21,4b-9
4Gli Israeliti si mossero dal monte Or per la via del Mar Rosso, per aggirare il territorio di Edom. Ma il popolo non sopportò il viaggio. 5Il popolo disse contro Dio e contro Mosè: "Perché ci avete fatto salire dall'Egitto per farci morire in questo deserto? Perché qui non c'è né pane né acqua e siamo nauseati di questo cibo così leggero". 6Allora il Signore mandò fra il popolo serpenti brucianti i quali mordevano la gente, e un gran numero d'Israeliti morì. 7Il popolo venne da Mosè e disse: "Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro il Signore e contro di te; supplica il Signore che allontani da noi questi serpenti". Mosè pregò per il popolo. 8Il Signore disse a Mosè: "Fatti un serpente e mettilo sopra un'asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita". 9Mosè allora fece un serpente di bronzo e lo mise sopra l'asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, restava in vita.
oppure
Fil 2,6-11
6egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio, 7ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall'aspetto riconosciuto come uomo, 8umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. 9Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, 10perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, 11e ogni lingua proclami: "Gesù Cristo è Signore!", a gloria di Dio Padre.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 77 (78)
R. Non dimenticate le opere del Signore!
Ascolta, popolo mio, la mia legge,
porgi l’orecchio alle parole della mia bocca.
Aprirò la mia bocca con una parabola,
rievocherò gli enigmi dei tempi antichi. R.
Quando li uccideva, lo cercavano
e tornavano a rivolgersi a lui,
ricordavano che Dio è la loro roccia
e Dio, l’Altissimo, il loro redentore. R.
Lo lusingavano con la loro bocca,
ma gli mentivano con la lingua:
il loro cuore non era costante verso di lui
e non erano fedeli alla sua alleanza. R.
Ma lui, misericordioso, perdonava la colpa,
invece di distruggere.
Molte volte trattenne la sua ira
e non scatenò il suo furore. R.
Vangelo
Gv 3,13-17
13Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell'uomo. 14E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, 15perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. 16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
Note
Leva
Celebrare il mistero della Croce fuori dal contesto proprio della celebrazione pasquale è un modo per dire ancora - una volta e ancora di più - come e quanto la realtà della croce segna il cammino delle nostre vite in modo quotidiano. Nella rilettura che Paolo dà del mistero integrale di Cristo Signore, sembra che l’apostolo abbia trovato – non senza fatica – la chiave per interpretare e per testimoniare:
«ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo» (Fil 2,7).
In questo verbo «assumere» si possono trovare le ragioni della rivelazione di Dio in Cristo Gesù, ma pure le ragioni del nostro quotidiano assumere il dono della vita con tutto il peso che vivere comporta. Questo verbo assumere sembra inglobare una sorta di sospensione di giudizio, che cambia radicalmente il modo di affrontare la gioia e la fatica di vivere. Assumere sembra più un dato di fatto che una scelta. Scegliere la croce sarebbe persino un po’ ambiguo, mentre assumere la croce è un atto di grande dignità umana, liberato da ogni ansia di prestazione.
Accanto al verbo «assumere», la Liturgia ci rammenta il verbo «elevare». È lo stesso Signore Gesù a spiegare a Nicodemo ciò che sta al cuore e alla radice della sua persona:
«E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (Gv 3,14-15).
Si potrebbe dire che il mistero della croce è come la leva di Euclide che permette, con uno sforzo minore, di sollevare grandi pesi senza rischiare di rompersi la schiena dell’anima. Spesso pensiamo alla croce come l’emblema della sofferenza, più o meno accettata o più o meno subita. La festa di oggi ci aiuta a leggere nella croce il suo lato glorioso, che non elimina nulla né della fatica né della ribellione, davanti alla sofferenza, ma che pure ci rimanda a noi stessi per essere in grado di assumere un atteggiamento che ci permette di elevarci senza sottrarci. La leva non è la rassegnazione, bensì la coltivazione quotidiana di un di più di amore come capacità di uscire da sé per donarsi fino in fondo, senza mai lasciarsi annientare nella propria libertà di dono:
«Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (Gv 3,17).
La nota con cui si apre la Liturgia della Parola che accompagna questa festa parla anche di noi: «il popolo non sopportò il viaggio» (Nm 21,4). Noi tutti siamo parte di un popolo in cammino verso la libertà con tutte le gioie e la fatiche proprie di questo viaggio imprescindibile. Il seguito del racconto sembra ricordarci che ogni volta che non sopportiamo il viaggio della vita, con le sue sfide e le sue esigenze, si rende necessario far fronte alle nostre ribellioni interiori come fossero «serpenti brucianti» (21,6), quasi per recuperare la capacità di guardare un po’ più in alto, un po’ oltre. La croce diventa così un punto di orientamento che ci permette e ci obbliga a non implodere. La croce rappresenta la leva con cui, nella nostra debolezza, diventiamo capaci di sollevare il mondo senza lasciare che il peso ci schiacci.
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