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Unica occorrenza nel NT e nella Settanta, l’aggettivo aparàbatos (ἀπαράβατος) deriva dal verbo parabainō (παραβαίνω), che vuol dire “trasgredire, passare di lato”. Riferito a un precetto o a una legge, l’aggettivo significa pertanto “inviolabile”. Qui, tuttavia, assume un diverso significato: secondo alcuni interpreti vuol dire che il sacerdozio di Cristo non è trasferibile ad altri, a differenza del sacerdozio dei leviti che avevano bisogno di successori. Forse però il senso più adeguato a questo versetto è “permanente, immutabile, che non passa”.
L’espressione eis to panteles (εἰς τὸ παντελὲς) può essere intesa in senso temporale, alla luce del precedente “che non tramonta”, e così assumere il significato di “per sempre, definitivamente”. Oppure si può intendere l’espressione qualitativamente, con il significato di “completamente, perfettamente”. I due significati non si escludono, perché la salvezza è definitiva quando è completa ed è perfetta quando è per sempre.
Letteralmente, il verbo agapàō (ἀγαπάω) è preceduto dalla congiunzione “e” (καὶ): un dettaglio che richiama due passi della Torah aventi un’espressione simile, che Gesù combina in stile rabbinico, interpretando l’uno alla luce dell’altro. L’espressione è proprio: “e-tu-amerai”, ripresa da Dt 6,5 e da Lv 19,18, in cui si riferisce allo straniero. Un accostamento forte, sulle labbra di Gesù, a dire che per amare Dio bisogna amare il prossimo e viceversa, con la mobilitazione di tutte le facoltà umane.
Lo scriba sostituisce il termine usato da Gesù – la mente o l’intelligenza come sua facoltà, in greco diànoia (διάνοια) – con sùnesis (σύνεσις), che ha una sfumatura più legata alla comprensione, al saper tenere insieme tutti gli elementi della vita. Possiamo ancora stupirci della flessibilità con cui Gesù e lo scriba citano questo testo fondante di Dt 6,5, autorevole al punto da permettere di essere assunto in modo personale.
Che cosa significa questo “non lontano”, ou makràn (οὐ μακρὰν)? Significa “non ancora” oppure “veramente vicino”? L’approvazione di Gesù rispetto allo scriba non può essere senza riserve, perché Dio come re della nostra esistenza si comprende solo quando si passa all’azione e si fa la verità. Dunque, questa espressione è provocatoria: vuole invitare l’interlocutore ad avvicinarsi ancora di più alla priorità che ha già intravisto.
Commento alla Liturgia
XXXI Domenica Tempo Ordinario
Prima lettura
Dt 6,2-6
2perché tu tema il Signore, tuo Dio, osservando per tutti i giorni della tua vita, tu, il tuo figlio e il figlio del tuo figlio, tutte le sue leggi e tutti i suoi comandi che io ti do e così si prolunghino i tuoi giorni. 3Ascolta, o Israele, e bada di metterli in pratica, perché tu sia felice e diventiate molto numerosi nella terra dove scorrono latte e miele, come il Signore, Dio dei tuoi padri, ti ha detto. 4Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. 5Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze. 6Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 17 (18)
R. Ti amo, Signore, mia forza.
Ti amo, Signore, mia forza,
Signore, mia roccia,
mia fortezza, mio liberatore. R.
Mio Dio, mia rupe, in cui mi rifgio;
mio scudo, mia potente salvezza e mio baluardo.
Invoco il Signore, degno di lode,
e sarò salvato dai miei nemici. R.
Viva il Signore e benedetta la mia roccia,
sia esaltato il Dio della mia salvezza.
Egli concede al suo re grandi vittorie,
si mostra fedele al suo consacrato. R.
Seconda Lettura
Eb 7,23-28
23Inoltre, quelli sono diventati sacerdoti in gran numero, perché la morte impediva loro di durare a lungo. 24Egli invece, poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta. 25Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio: egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore. 26Questo era il sommo sacerdote che ci occorreva: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli. 27Egli non ha bisogno, come i sommi sacerdoti, di offrire sacrifici ogni giorno, prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo: lo ha fatto una volta per tutte, offrendo se stesso. 28La Legge infatti costituisce sommi sacerdoti uomini soggetti a debolezza; ma la parola del giuramento, posteriore alla Legge, costituisce sacerdote il Figlio, reso perfetto per sempre.
Vangelo
Mc 12,28b-34
28Allora si avvicinò a lui uno degli scribi che li aveva uditi discutere e, visto come aveva ben risposto a loro, gli domandò: "Qual è il primo di tutti i comandamenti?". 29Gesù rispose: "Il primo è: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l'unico Signore ; 30amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. 31Il secondo è questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso . Non c'è altro comandamento più grande di questi". 32Lo scriba gli disse: "Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all'infuori di lui ; 33amarlo con tutto il cuore, con tutta l'intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici". 34Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: "Non sei lontano dal regno di Dio". E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.
Note
Felice
Non ci può certo sfuggire il fatto che nella prima lettura di questa domenica compaia una parola capace di risvegliare in noi i sentimenti e le emozioni più belli:
«Ascolta, o Israele, e bada di metterli in pratica, perché tu sia felice» (Dt 6,3).
Mentre siamo più propensi a pensare alle prescrizioni della Legge come a una sorta di mortificazione della libertà e del piacere di vivere, la Parola di Dio racchiusa nelle Scritture ci ricorda che il desiderio più grande per noi da parte dell’Altissimo è la nostra felicità. Se ci lasciamo guidare dalla Liturgia, ci rendiamo ben conto di essere raggiunti in quella che è la dimensione più profonda e più autentica della nostra realtà di umanità, poiché la ricerca della felicità fa tutt’uno con la capacità e la volontà di amare. Normalmente diciamo che «l’amor non si comanda», eppure tutti sappiamo che l’amore “comanda” nel senso che anima i moti più forti della nostra umanità e per questo esige, per sua natura, di essere non solo avvertito come sentimento, ma di trasformarsi in scelte e in fedeltà:
«Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze» (Dt 6,4).
Per comprendere meglio la tensione vitale che c’è e ci deve essere tra Legge e desiderio, ci aiutano le parole della Lettera agli Ebrei, quando ci ricorda come
«La Legge infatti costituisce sommi sacerdoti uomini soggetti a debolezza; ma la parola del giuramento, posteriore alla Legge, costituisce sacerdote il Figlio, reso perfetto per sempre» (Eb 7,28).
La domanda si pone: «Verso quale perfezione il Figlio orienta la nostra vita?». La risposta a questa domanda la troviamo nel Vangelo ove, oltre alle stupende parole che vengono scambiate tra il Signore Gesù e «uno degli scribi» (Mc 12,28), respiriamo un clima di incontro sereno e veramente amorevole, intessuto di reciproca ammirazione ed emulazione. Quando il Signore Gesù dice a quello scriba:
«Non sei lontano dal regno di Dio» (Mc 12,34),
capiamo come il grado di vicinanza alla vita di Dio che ci rende capaci di una fraternità con tutti è legato non ai «sacrifici» (12,33) ma all’amore, che ci rende persino capaci di fare sacrifici senza identificarsi con la semplice mortificazione.
Bernardo di Chiaravalle scrive: «Dio esige dunque di essere rispettato come Signore, onorato come Padre, amato come Sposo. Fra questi sentimenti, qual è il più grande? L'amore, senza dubbio. Poiché senza amore, il rispetto è penoso e l'onore non ha ritorno. Il timore è da schiavi, finché non viene affrancato dall'amore, e l'onore che non viene dall'amore non è onore, ma adulazione. A Dio solo, certo, onore e gloria, ma Dio non li accetta se non conditi con il miele dell'amore. L'amore è sufficiente di per sé, esso piace per sé, è merito ed è ricompensa. L'amore, oltre sé, non ricerca causa, non frutto. Il suo frutto è l'esserci. Amo perché amo. Amo per amare» (BERNARDO DI CHIARAVALLE, Omelie sul Cantico dei Cantici, 83).
Questo modo di intendere e di vivere la relazione con Dio può diventare un vero percorso di felicità che, per sua natura, se non è mai troppo «lontano» non è pure così «vicino». Il cammino e l’avventura dell’amore e della felicità sono da ricominciare ogni giorno!
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