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La lotta tra Dio e il male viene rappresentata da Gesù per mezzo dell'immagine di un uomo forte (Satana), che custodisce bene la sua dimora (in noi), e uno più forte (il Signore), che è in grado di vincere il nemico e di strappargli dalle mani il suo bottino (la nostra umanità). Ma in questo conflitto possiamo anche riconoscere la nostra difficoltà a rinunciare alle nostre forze per consegnarci liberamente e fiduciosamente alla maggior forza di Dio, che si è manifestata nel mistero della croce.
Commento alla Liturgia
Venerdì della XXVII settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
Gl 1,13-15.2,1-2
13Cingete il cilicio e piangete, o sacerdoti, urlate, ministri dell'altare, venite, vegliate vestiti di sacco, ministri del mio Dio, perché priva d'offerta e libagione è la casa del vostro Dio. 14Proclamate un solenne digiuno, convocate una riunione sacra, radunate gli anziani e tutti gli abitanti della regione nella casa del Signore, vostro Dio, e gridate al Signore: 15"Ahimè, quel giorno! È infatti vicino il giorno del Signore e viene come una devastazione dall'Onnipotente. 1Suonate il corno in Sion e date l'allarme sul mio santo monte! Tremino tutti gli abitanti della regione perché viene il giorno del Signore, perché è vicino, 2giorno di tenebra e di oscurità, giorno di nube e di caligine. Come l'aurora, un popolo grande e forte si spande sui monti: come questo non ce n'è stato mai e non ce ne sarà dopo, per gli anni futuri, di età in età.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 9
R. Il Signore governerà il mondo con giustizia.
Renderò grazie al Signore con tutto il cuore,
annuncerò tutte le tue meraviglie.
Gioirò ed esulterò in te,
canterò inni al tuo nome, o Altissimo. R.
Hai minacciato le nazioni, hai sterminato il malvagio,
il loro nome hai cancellato in eterno, per sempre.
Sono sprofondate le genti nella fossa che hanno scavato,
nella rete che hanno nascosto si è impigliato il loro piede. R.
Ma il Signore siede in eterno,
stabilisce il suo trono per il giudizio:
governerà il mondo con giustizia,
giudicherà i popoli con rettitudine. R.
Vangelo
Lc 11,15-26
15Ma alcuni dissero: "È per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni". 16Altri poi, per metterlo alla prova, gli domandavano un segno dal cielo. 17Egli, conoscendo le loro intenzioni, disse: "Ogni regno diviso in se stesso va in rovina e una casa cade sull'altra. 18Ora, se anche Satana è diviso in se stesso, come potrà stare in piedi il suo regno? Voi dite che io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl. 19Ma se io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl, i vostri figli per mezzo di chi li scacciano? Per questo saranno loro i vostri giudici. 20Se invece io scaccio i demòni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio. 21Quando un uomo forte, bene armato, fa la guardia al suo palazzo, ciò che possiede è al sicuro. 22Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa via le armi nelle quali confidava e ne spartisce il bottino. 23Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me disperde. 24Quando lo spirito impuro esce dall'uomo, si aggira per luoghi deserti cercando sollievo e, non trovandone, dice: "Ritornerò nella mia casa, da cui sono uscito". 25Venuto, la trova spazzata e adorna. 26Allora va, prende altri sette spiriti peggiori di lui, vi entrano e vi prendono dimora. E l'ultima condizione di quell'uomo diventa peggiore della prima".
Note
Spandere
Quando leggiamo nei vangeli le dispute che, puntualmente, si accendono attorno al dire e all’agire del Signore Gesù, dovremmo sempre fare lo sforzo di immaginare un tempo – storicamente remoto, ma esistenzialmente ancora prossimo a noi – in cui il mistero dell’Incarnazione non poteva in alcun modo essere dato per scontato. Non dovremmo, cioè, avvertire troppo estranee al nostro modo di sentire e di credere le perplessità e persino le obiezioni nei confronti dell’identità di Gesù, che altri uomini e donne hanno sperimentato davanti alla manifestazione della potenza di Dio in lui:
«È per mezzo di Beelzebùl, capo dei demoni, che egli scaccia i demoni» (Lc 11,15).
L’evangelista Luca annota come anche coloro che, in qualche modo, non arrivavano a formulare giudizi così temerari nei suoi confronti, sentivano comunque il bisogno di ulteriori indizi per poter giungere a una fede serena e matura: «Altri poi, per metterlo alla prova, gli domandavano un segno dal cielo» (11,16).
È importante ricordare questo per non correre il rischio di leggere solo come un’apologia cinica e distaccata la piccola catechesi con cui Gesù entra in dialogo con i suoi detrattori. Le domande retoriche e le metaforiche affermazioni sono da intendere come inviti a riflettere e ad approfondire il mistero con cui la divinità ha voluto essere presente nella nostra carne umana, senza entrarvi in alcun modo in concorrenza:
«Ora, se anche Satana è diviso in se stesso, come potrà stare in piedi il suo regno?» (Lc 11,18).
La forza di operare guarigioni ed esorcismi, non disgiunta da quella di saper entusiasmare e penetrare i cuori, non può essere mai pensata come un’evidenza schiacciante nella persona di Gesù, ma sempre come un «segno», discreto eppure tangibile, della gloria di Dio, bisognoso di essere percepito e preferito ad alternative modalità di interpretare la vita. Per questo motivo, l’insegnamento di Gesù diventa un appello a saper non solo cogliere, ma anche apprezzare quel modo con cui la potenza di Dio si rende presente proprio nelle pieghe della nostra debolezza:
«Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa via le armi nelle quali confidava e ne spartisce il bottino» (Lc 11,22).
Come ricorda il grande esegeta della tradizione alessandrina, bisogna purificare continuamente le «intenzioni» della nostra fede, tenendo pulita la stanza interiore dove la parola di Dio è ascoltata, accolta, ma soprattutto interpretata attraverso i nostri sensi interiori: «Dunque siamo stati accolti dal Cristo e la nostra casa è stata pulita dai peccati passati e ornata con gli ornamenti dei sacramenti dei fedeli, che gli iniziati conoscono. Ma questa casa non merita di avere subito per abitante il Cristo, a meno che la sua vita e condotta non siano così sante, pure, irreprensibili, da meritare di essere il tempio di Dio. Giacché ormai non deve essere casa, ma tempio in cui possa abitare Dio» (Origene, Omelie sull’Esodo 8,4).
Non saper meritare ancora il Signore è precisamente il grido di allarme che il profeta Gioele si sente in dovere di lanciare in mezzo al popolo di Gerusalemme, per scuoterlo da quel torpore che facilmente si impadronisce della nostra volontà ogni volta che permettiamo al male non solo di entrare nella nostra casa, ma addirittura di prendervi di nuovo dimora:
«Suonate il corno in Sion e date l’allarme sul mio santo monte! Tremino tutti gli abitanti della regione perché viene il giorno del Signore, perché è vicino, giorno di tenebra e di oscurità, giorno di nube e di caligine» (Gl 2,1-2).
La minaccia, tuttavia, non è finalizzata a presentare come unico, inevitabile destino quello in cui le tenebre saranno l’ultima parola. Israele è invitato – come lo siamo noi oggi – a saper preferire la misteriosa azione del «dito di Dio» (Lc 11,20) rispetto ad altre, possibili forme di affermazione o di espansione della realtà. Proprio la logica del vangelo e della croce, secondo cui nessuno – nemmeno Dio – cerca di affermare solo se stesso, è l’unico modo con cui il Regno cresce e matura, anzi si spande, sulle colline della storia e della nostra realtà:
«Come l’aurora, un popolo grande e forte si spande sui monti: come questo non ce n’è stato mai e non ce ne sarà dopo, per gli anni futuri, di età in età» (Gl 2,2).
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