Commento alla Liturgia

San Luca

Commento alla Liturgia

Pace

Roberto Pasolini

Nella Colletta elaborata dalla tradizione orante della Chiesa per illustrare il profilo spirituale di san Luca, è ben riassunta la consapevolezza del dono che questo evangelista ha trasmesso ai discepoli di ogni tempo e luogo: «Signore Dio nostro, che hai scelto san Luca per rivelare al mondo con la predicazione e con gli scritti il mistero della tua predilezione per i poveri…».
La povertà a cui si fa riferimento, che il Signore Gesù ha manifestato come stile di vita, a partire dalla sua nascita in circostanze modeste a Betlemme (cf. Lc 2,1-20), fino al grande «spettacolo» (23,48) della morte in croce, avrebbe potuto essere evocata e rappresentata attraverso numerosi passi evangelici dell’opera lucana. Non è certo privo di valore ecclesiale il fatto che la liturgia abbia selezionato un episodio in cui lo stile povero, sobrio e fraterno non è tanto ciò che risplende nei gesti e nelle opere del Signore Gesù, ma quello che è richiesto ai discepoli per poter trasmettere in modo autentico e incisivo la testimonianza evangelica:

«È vicino a voi il regno di Dio» (Lc 10,9).

Infatti, è proprio la povertà a fare da filo rosso nelle succinte indicazioni pastorali che Gesù impartisce ai «settantadue» discepoli inviati «davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi» (10,1), per essere primizia e annuncio del dono dello Spirito. L’invito a non preoccuparsi di accumulare e possedere troppi strumenti per rendere efficace la comunicazione dello stile e della sostanza del Regno — «Non portate borsa, né sacca, né sandali…» — è rafforzato da una nota che potrebbe sembrare persino indelicata:

«… e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada» (Lc 10,4).

In realtà, siamo chiamati a cogliere in questa apparente insensibilità agli altri una indispensabile forma di povertà, da comprendere in relazione all’urgenza di rimanere concentrati e fedeli alla missione ricevuta, anziché disperdersi e donarsi in troppe – magari anche utili – direzioni pastorali.
Il Gesù “dipinto” dalla penna elegante e compassionevole di Luca, nei due libri a lui attribuiti dalla tradizione, appare sempre proteso a portare a compimento la sua universale missione di salvezza attraverso la sua vita, morte e risurrezione (Vangelo) e poi, mediante lo Spirito effuso sugli apostoli, ad allargare l’esperienza della vita nuova a tutti gli uomini, giudei e pagani, chiamati a conoscere e a testimoniare le grandi opere dell’amore di Dio (Atti).
Il motivo dell’essenzialità che i discepoli sono chiamati a incarnare in modo credibile non è altro che la vicinanza del Regno, le cui conseguenze devono essere riconoscibili in un sereno distacco dalle cose di questo mondo. Al discepolo la povertà non è chiesta per accreditarsi forte agli occhi degli altri, ma per testimoniare quanto possa essere felice una vita che accetta di diventare dimora dell’Altissimo e della sua potenza d’amore:

«Il Signore è vicino a chiunque lo invoca, a quanti lo invocano con sincerità» (Sal 144,18).

Agli occhi di Luca, medico sensibile al mistero dell’umanità ferita dal peccato, la vicinanza del Signore attraverso la carne umana di Gesù si esprime soprattutto nella misericordia e nell’attenzione agli ultimi, a quegli umili con cui Dio costruisce la sua storia di salvezza e il suo regno di vita eterna. Il suo Vangelo accende i riflettori su come la tenerezza di Dio sia una «forza» (2Tm 4,17) capace di orientare e sostenere l’intera storia umana verso una vera salvezza, ricordandoci che, in fondo, per affrontare il viaggio quotidiano ci serve molto poco. Solo la memoria e l’esperienza di come il Signore ci «è stato vicino» (4,17), facendosi dono e facendo diventare anche noi capaci di donarci agli altri. Lasciandoci accogliere proprio così come noi, per primi, siamo continuamente accolti nella «pace» e nell’abbraccio del Signore (Lc 10,5).

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