www.nellaparola.it
La parola «avversario» (ἀντίδικος) può significare «accusatore», o «antagonista». Emergono due sfumature: la prima sottolinea l'elemento di accusa che implica avere qualcuno avverso, cioè contrario a noi; la seconda, invece, allude a una dimensione di lotta e di combattimento che sperimentiamo quando siamo di fronte a un nemico, con cui siamo entrati in una forte competizione.
Commento alla Liturgia
Venerdì della XXIX settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
Rm 7,18-25a
18Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene: in me c'è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; 19infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. 20Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. 21Dunque io trovo in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. 22Infatti nel mio intimo acconsento alla legge di Dio, 23ma nelle mie membra vedo un'altra legge, che combatte contro la legge della mia ragione e mi rende schiavo della legge del peccato, che è nelle mie membra. 24Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte? 25Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore! Io dunque, con la mia ragione, servo la legge di Dio, con la mia carne invece la legge del peccato.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 118 (119)
R. Insegnami, Signore, i tuoi decreti.
Insegnami il gusto del bene e la conoscenza,
perché ho fiducia nei tuoi comandi.
Tu sei buono e fai il bene:
insegnami i tuoi decreti. R.
Il tuo amore sia la mia consolazione,
secondo la promessa fatta al tuo servo.
Venga a me la tua misericordia e io avrò vita,
perché la tua legge è la mia delizia. R.
Mai dimenticherò i tuoi precetti,
perché con essi tu mi fai vivere.
Io sono tuo: salvami,
perché ho ricercato i tuoi precetti. R.
Vangelo
Lc 12,54-59
54Diceva ancora alle folle: "Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: "Arriva la pioggia", e così accade. 55E quando soffia lo scirocco, dite: "Farà caldo", e così accade. 56Ipocriti! Sapete valutare l'aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo? 57E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto? 58Quando vai con il tuo avversario davanti al magistrato, lungo la strada cerca di trovare un accordo con lui, per evitare che ti trascini davanti al giudice e il giudice ti consegni all'esattore dei debiti e costui ti getti in prigione. 59Io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all'ultimo spicciolo".
Note
Approfondimenti
Il verbo valutare (in greco δοκιμάζω) può avere due significati.
Gesù, dunque, sembra criticare le folle perché si affidano a giudizi sommari e approssimativi, anziché fondare il proprio agire sulle convinzioni personali, che devono sempre formarsi attraverso il senso critico e l'approfondimento.
San Paolo, nella lettera ai romani (Rm 14,22), riserva una speciale «beatitudine» per chi è così libero da obbedire solo alla propria coscienza, solo a ciò «che egli approva», facendo riferimento allo stesso verbo qui tradotto con «valutare».
Accordo
L’apostolo Paolo ci consola con la sua onestà intellettuale e spirituale. Non ha infatti paura di scandalizzare i suoi lettori, perché gli sta a cuore di annunciare quel Vangelo che è stato capace di liberare il suo cuore dalla paura di gestire la sua più profonda intimità:
«Io so che in me, cioè nel mio cuore, non abita il bene: in me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo» (Rm 7,18).
Proprio riconoscendo la sua intima fatica, Paolo si fa nostro fratello nel combattimento spirituale. Al contempo, l’apostolo si fa nostro amabile compagno nella lotta contro la tentazione di negare «il desiderio del bene che ci abita» solo a motivo della fatica che facciamo a realizzarlo. Potremmo dire che Paolo si fa nostro compagno nel fallimento, senza smettere di essere nostro compagno nel desiderio. Non esita l’apostolo a dire: «Me infelice!» (7,24). Senza però smettere di credere che «per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore» sia possibile che si compia l’impossibile nella nostra vita e in quella dei nostri fratelli e sorelle in umanità. Il bene non è un’operazione in cui riuscire o fallire, è un anelito verso la vita che necessariamente deve farsi carico di tutte le fatiche, le lentezze, le contraddizioni e le ambiguità senza mai disperare.
Paolo sembra trovare una via d’uscita non per deresponsabilizzarsi, ma per poter continuare a sperare nonostante l’evidenza di tutto ciò che nel suo cuore, come in quello di ciascuno di noi, fa fatica a pagare il prezzo di una disposizione al bene che comporta la rinuncia a ogni forma, più o meno sottile, di egoismo. Ecco, dunque, il salvataggio da noi stessi:
«Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me» (Rm 7,20).
Nella stessa logica del racconto della Genesi (Gen 3), Paolo evoca la presenza di un principio diverso che, se non deresponsabilizza, allo stesso tempo ci libera dal senso di colpa. L’annuncio di salvezza potrebbe risuonare in questi termini: «il peccato che è in me» non è la totalità della mia identità poiché rimane, comunque e sempre, «il desiderio del bene». A questo punto la domanda del Signore Gesù si rivela ancora più forte:
«E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto?» (Lc 12,57).
Mentre gli scribi e i farisei cercano di caricare sulle spalle del Signore Gesù la responsabilità di decidere ciò che è bene e ciò che è male, naturalmente con l’intento di coglierlo in fallo, questi rimanda ciascuno alla propria capacità di leggere gli eventi e di decidere i comportamenti da adottare. Il frutto di ogni discernimento è la maturazione di trovare sempre il modo di trovare «un accordo» (Lc 12,58) con tutti e con tutto ciò che sembra avversare il nostro cammino. Pur nella consapevolezza dei nostri limiti e delle nostre fatiche, siamo così richiamati a esercitare l’arte dell’accordatura continua degli eventi con il nostro più profondo desiderio. Le competenze metereologiche evocate in apertura del testo evangelico, si trasformano in arte musicale di trovare sempre l’accordo giusto, per non smettere di suonare la nostra intima melodia in una sempre più ricca sinfonia per la vita. Allora possiamo rileggere lo “sfogo” dell’apostolo non più come l’espressione di un’opera incompiuta, ma come l’arpeggio di un accordo tutto da ascoltare e tutto da interpretare.
Cerca nei commenti