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Questo verbo dalla forma doppiamente composta sun – anti – lambanomai (συναντιλαμβάνομαι) compare nel NT solo qui e in Lc 10,40, quando Marta intima a Gesù nei confronti della sorella Maria “dille che mi aiuti”. Qui potrebbe suggerire l’idea che lo Spirito porta la nostra debolezza insieme (sun, συν) a noi e si carica una parte del peso che ci sta davanti (anti, αντι).
Il pronome neutro ti (τί) potrebbe essere tradotto “per che cosa” dobbiamo pregare oppure “come” dobbiamo pregare. In realtà, unisce in sé entrambe le sfumature: “per che cosa è giusto – cioè conforme alla volontà di Dio – che noi preghiamo”.
Non si tratterebbe qui della preghiera carismatica della glossolalia (legata alla lode cultuale), interpretazione che ha avuto molta fortuna perché risale ai grandi padri Origene e Crisostomo. Poiché si parla dei gemiti “dello Spirito”, non “dei credenti”, l’aggettivo alalētos (ἀλάλητος) in questo contesto si riferisce a quei gemiti “che le parole non sono in grado di esprimere”, nel senso che il linguaggio della preghiera dello Spirito è un mistero di intercessione che prende posto nei nostri cuori in modi che non percepiamo.
Il termine utilizzato è summorphos (σύμμορφος): “che ha la stessa forma, la stessa natura”.
Si dice del credente che è “conosciuto in anticipo” (proghinōskō, προγινώσκω). La prescienza di Dio, così come la predestinazione alla somiglianza con il suo Figlio, riguarda coloro che amano Dio e lo scelgono, ma non coloro che lo rifiutano, perché il rifiuto di Dio non può che essere un atto di libertà dell’uomo. Lo osservava anche Origene nel III secolo, nel suo commento alla Lettera ai Romani.
La formula intera è una citazione del Sal 6,9 secondo il testo dei LXX, il quale però utilizza il termine anomìa invece che adikìa (ἀδικία). Per i greci, l’adikìa era un comportamento sbagliato e in Israele un’espressione riassuntiva per il peccato. Paolo ne fa una sintesi dell’ostilità umana di fronte a Dio. Così in Luca, che pure non usa molto di frequente questo termine, il significato è forte: chi ama e teme Dio non conosce l’ingiustizia, che invece esclude dalla comunione con il Signore nel regno.
La formula dello stridore (brugmòs, βρυγμός) di denti è radicata nell’Antico Testamento. Il verbo brùchō (βρύχω) significa “sgranocchiare, rodere, divorare” e talora “stridere”.
Matteo indica solo due direzioni: l’oriente, cioè il luogo dell’esilio, e l’occidente, cioè la terra di schiavitù sotto il faraone. Pensa quindi alla raccolta escatologica del popolo di Dio, secondo la tradizione biblica. Questa stessa tradizione conosce anche un pellegrinaggio escatologico di tutte le nazioni al monte Sion, e in questo senso le quattro direzioni di Luca possono essere interpretate sul piano missionario cristiano, che vuole includere nel regno gli eletti delle nazioni e non più solo i giudei dispersi nella diaspora. Questo annuncio di speranza e universalismo, capace di rompere le barriere, conquisterà il mondo antico.
Commento alla Liturgia
Mercoledì della XXX settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
Rm 8,26-30
26Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; 27e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio. 28Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno. 29Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; 30quelli poi che ha predestinato, li ha anche chiamati; quelli che ha chiamato, li ha anche giustificati; quelli che ha giustificato, li ha anche glorificati.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 12 (13)
R. Nella tua fedeltà ho confidato, Signore.
Guarda, rispondimi, Signore, mio Dio,
conserva la luce ai miei occhi,
perché non mi sorprenda il sonno della morte,
perché il mio nemico non dica: «L’ho vinto!»
e non esultino i miei avversari se io vacillo. R.
Ma io nella tua fedeltà ho confidato;
esulterà il mio cuore nella tua salvezza,
canterò al Signore, che mi ha beneficato. R.
Vangelo
Lc 13,22-30
22Passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. 23Un tale gli chiese: "Signore, sono pochi quelli che si salvano?". Disse loro: 24"Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. 25Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: "Signore, aprici!". Ma egli vi risponderà: "Non so di dove siete". 26Allora comincerete a dire: "Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze". 27Ma egli vi dichiarerà: "Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia! ". 28Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. 29Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. 30Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi".
Note
Approfondimenti
L’imperativo presente con valore durativo di agōnìzomai (ἀγωνίζομαι) esorta alla perseveranza. Il termine “lotta, combattimento” (agōn, ἀγών) in esso contenuto, usato dai greci nell’ambito dei giochi pubblici, al tempo di Luca viene utilizzato in senso figurato per definire la vita del saggio o dell’uomo di Dio.
L’immagine del combattimento presuppone un avversario, un buon allenamento e una grande forza di carattere. È più una lotta della fede che dell’obbedienza. Probabilmente Luca si ispira all’insegnamento della sua chiesa, che concepisce la vita cristiana come prova e combattimento, incluso quello ultimo dell’angoscia davanti alla morte (agōnìa, ἀγωνία), che Gesù stesso ha affrontato.
Luca, che intende costruire un racconto allegorico, usa qui il termine thùra (θύρα), che indica la porta di una casa o di un podere contadino circondato da un muro. Per questo, il padrone può chiuderla.
La tradizione che Luca riprende fa riferimento, invece, alla pesante porta della città (pùlē, πύλη) che viene chiusa al calare della notte. A quel punto, per i ritardatari e le urgenze, vi è una piccola apertura accessibile a una persona per volta.
Si tratta di uno scenario escatologico, in cui la decisione da prendere è quella dell’ultima possibilità della piccola porta ancora accessibile. Luca sottolinea meno l’escatologia ma conserva l’urgenza della decisione personale.
Concorrere
Le parole dell’apostolo possono e devono essere accolte come un balsamo per dare conforto e serenità in tutto ciò che concerne il nostro modo di vivere. Questa consolazione vale pure per il modo di considerare il nostro rapporto con le esigenze del dono della fede. Quest’ultima richiede da ciascuno di noi una capacità di esercizio nella fede che sia fattivo e concreto. Dinanzi alla tentazione dello scoraggiamento, oppure di una pressione di ansia di prestazione, siamo richiamati a una serenità di fondo su cui possiamo costruire la nostra adesione quotidiana alle vie del Vangelo:
«Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno» (Rm 8,28).
Mentre siamo abituati a pensare che tutto – o quasi tutto – concorra al male, l’apostolo ci ricorda che la relazione con Dio, che sta a fondamento dell’opera della creazione e dell’esperienza che noi stessi facciamo della vita, è «cosa buona».
È come se Paolo avesse bisogno di radicalizzare la speranza dei suoi interlocutori: «Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli». Sembra che non basti ancora! Per questo l’apostolo non esita a continuare in questa sua corsa di fiducia e di speranza:
«quelli poi che ha predestinato, li ha anche chiamati; quelli che ha chiamato, li ha anche giustificati; quelli che ha giustificato, li ha anche glorificati» (Rm 8,29-30).
A questo punto verrebbe da dire: “E cosa mai possiamo desiderare di più di tutto questo?”. Pur nelle circostanze non sempre esaltanti e non sempre chiare della vita, se non possiamo sempre contare su noi stessi, possiamo e dobbiamo sempre contare sulla forza che ci viene dall’alto: «lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza» tanto che «lo Spirito intercede con gemiti inesprimibili» (8,26).
Su questo sfondo di speranza, la domanda che viene rivolta al Signore Gesù rivela tutta la sua carica maldestra: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?» (Lc 13,23). La risposta del Signore ci riporta alla necessità di non avere bisogno di escludere gli altri per sentirci migliori degli altri e di non presumere mai di noi stessi, poiché la logica del Regno di Dio rischia di metterci davanti a molte sorprese. Laddove si cerca di fare delle classi, il Signore conferma la speranza di Dio su cui si fonda ogni umana speranza:
«Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi» (Lc 13,29-30).
Con queste parole il Signore Gesù chiarisce in cosa consista la «porta stretta» (13,24) attraverso cui bisogna sforzarsi di entrare. Si tratta di rinunciare all’idea di escludere qualcuno dalla condivisione delle gioie del Regno, per imparare invece a con-correre in modo sereno e condiviso verso una gioia che sia di tutti e per tutti. Come ricorda ai pellegrini la porta di ingresso alla Basilica della Natività, non solo la porta del Regno è stretta, ma è anche e, soprattutto, bassa, per cui bisogna inchinarsi. È necessario rimpicciolirsi per incontrare nel Verbo fatto piccolo il mistero di Dio che accoglie tutti nella sua vita.
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