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Il termine axios (ἄξιος), generalmente usato per cose, significa “di pregio analogo”, “di pari valore”. Qui il termine, preceduto dalla negazione, indica l’irrilevanza di tutto quanto i cristiani patiscono in Gesù in quanto fallibili o in quanto testimoni del Vangelo, rispetto alle promesse di Dio che in loro si manifesteranno.
Il sostantivo apokaradokìa (ἀποκαραδοκία), che significa “attesa ansiosa”, non è stato trovato in nessun testo greco pervenuto anteriore a Paolo (mentre il verbo relativo compare in scritti greci classici del V e VI sec. a.C.). Paolo se ne serve nelle sue lettere in due casi: qui e in Fil 1,20, in entrambi i casi in associazione con il sostantivo “speranza” (elpis, ἐλπίς), il che fa pensare che nella sua visione il termine sia connotato nel senso positivo di un’attesa fiduciosa.
Nel testo originale il verbo tradotto con «mescolare» trae origine da una radice che significa «nascondere dentro» (ἐγκρύπτω). Il destino del lievito è dunque quello di accettare un nascondimento perché una interezza si possa manifestare.
L'aggettivo (ὅλος) significa «intero», «completo», «esteso». Non denota solo una totalità, ma anche un'integrità, una pienezza e una unità profonda.
Commento alla Liturgia
Martedì della XXX settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
Rm 8,18-25
18Ritengo infatti che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. 19L'ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. 20La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità - non per sua volontà, ma per volontà di colui che l'ha sottoposta - nella speranza 21che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. 22Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. 23Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. 24Nella speranza infatti siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo? 25Ma, se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 125 (126)
R. Grandi cose ha fatto il Signore per noi.
Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion,
ci sembrava di sognare.
Allora la nostra bocca si riempì di sorriso,
la nostra lingua di gioia. R.
Allora si diceva tra le genti:
«Il Signore ha fatto grandi cose per loro».
Grandi cose ha fatto il Signore per noi:
eravamo pieni di gioia. R.
Ristabilisci, Signore, la nostra sorte,
come i torrenti del Negheb.
Chi semina nelle lacrime
mieterà nella gioia. R.
Nell’andare, se ne va piangendo,
portando la semente da gettare,
ma nel tornare, viene con gioia,
portando i suoi covoni. R.
Vangelo
Lc 13,18-21
18Diceva dunque: "A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo posso paragonare? 19È simile a un granello di senape, che un uomo prese e gettò nel suo giardino; crebbe, divenne un albero e gli uccelli del cielo vennero a fare il nido fra i suoi rami ". 20E disse ancora: "A che cosa posso paragonare il regno di Dio? 21È simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata".
Note
Approfondimenti
Il termine ktisis (κτίσις)è stato oggetto delle interpretazioni più varie da parte degli studiosi, che spesso si sono richiamati alle diverse posizioni dei Padri della Chiesa.
L’interpretazione più accreditata (quella del punto 2) non viene contraddetta dall’attribuzione al mondo della natura delle azioni successive, che appaiono come atti consapevoli di volontà propri dell’essere umano razionale. Nelle Scritture, infatti, compare molte volte la personificazione delle realtà non umane del mondo naturale, in particolare nei Salmi e nei profeti.
L’aoristo passivo del verbo hupotassō (ὑποτάσσω) indica un evento particolare nel passato posto in essere da qualcuno al di fuori del creato, che ne ha determinato la condizione attuale.
Anche se Paolo non lo dice esplicitamente, con ogni probabilità l’evento a cui si riferisce è il giudizio di Dio in Gen 3,17-19, in cui la creazione viene “maledetta” a causa dell’allontanamento dell’umano da Dio.
Per Paolo, infatti, le creature umane di Dio non sono concepibili in modo separato dal creato non umano di Dio. In forza dell’annuncio del Vangelo, anche la speranza è estesa all’intero creato.
In una omelia su questo passo, Giovanni Crisostomo commenta che «la creazione ha… sofferto ed è diventata corruttibile, ma non è stata guastata in modo irreparabile… Questo è il significato di “nella speranza”».
Il termine aparchē (ἀπαρχή) denota, in alcuni autori greci classici del V secolo, il primo dei beni di qualcuno offerto in sacrificio a una divinità pagana. Nella Bibbia dei LXX indica il figlio primogenito di famiglia ebraica o il primogenito del bestiame, che erano considerati proprietà di Dio, da offrirgli in sacrificio o da riscattare con un sacrificio cruento. Ugualmente, la prima porzione del grano e dei frutti degli alberi e del terreno doveva essere offerta a Dio.
Nei contesti cultuali, invece, l’uso biblico di aparchē indica la consacrazione personale a Dio e la promessa di fertilità futura. Per questo nel NT il termine viene usato sia in riferimento a Gesù (cf. 1Cor 15,20.23) sia per i credenti in Gesù.
Paolo usa la stessa parola in un modo interessante: non per un sacrificio offerto a Dio, ma per un dono da Dio offerto al suo popolo, in pegno di qualcosa di più grande che deve ancora venire, nel senso di “acconto, caparra” a garanzia di un’azione promessa per il futuro.
Piccole cose
Una volta mi è capitato di poter prendere in mano un granellino di senape. È qualcosa di infinitamente piccolo, eppure quella infinita piccolezza seminata, fa venir fuori non usa semplice pianta ma un albero. Ho capito così quanto fosse efficace questo paragone di Gesù nel Vangelo di oggi:
«A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo posso paragonare? È simile a un granello di senape, che un uomo prese e gettò nel suo giardino; crebbe, divenne un albero e gli uccelli del cielo vennero a fare il nido fra i suoi rami».
Basta anche un solo dettaglio piccolissimo, ma vero, autentico, fedele, costante a cambiare completamente la nostra vita. Sono le piccole cose il vero segreto del regno di Dio. Prendere sul serio i dettagli quasi più insignificanti della vita e viverli con amore e passione, umiltà, dedizione e cura. Questo trasforma una cosa normale e a volte noiosa come la nostra quotidianità in qualcosa di affidabile. Il vero grande sa farsi piccolo. La vera fede sa dare valore ai dettagli. Il vero amore si nutre di delicatezze quasi mai evidenti eppure così necessarie.
“A che cosa rassomiglierò il regno di Dio? È simile al lievito che una donna ha preso e nascosto in tre staia di farina, finché sia tutta fermentata”.
Eppure della presenza del lievito ci si accorge dagli effetti e non per evidenza di se. Ci sono cose che nella vita non si vedono eppure la fermentano tutta. È ciò che fa la Grazia di Dio quando entra in noi attraverso la Parola o soprattutto attraverso i Sacramenti. Ci accorgiamo solo dagli effetti di quanto essi siano veri ed efficaci. La vita spirituale, ad esempio, è come l’amore, non si nutre di gesti eroici ma di piccole delicatezze, di fedeltà e gesti che rendono quel rapporto intimo e affidabile. Solo uno che sa morire per te nelle piccole cose sarà in grado di morire per te per davvero. Non ci si improvvisa nella vita. Un piccolo pezzo di ostia può fermentare di senso tutta una vita perché lì c’è un amore che ha dato la vita per te.
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