www.nellaparola.it
Il verbo egkakèō (ἐγκακέω) si traduce ordinariamente “scoraggiarsi”, ma letteralmente suona “incattivirsi”, composto com’è da en + kakòs (ἐν + κακός). Interessante il confronto con l’utilizzo paolino del termine, in particolare in Gal 6,9: “e non stanchiamoci di fare il bene”, che potrebbe risuonare “non diventiamo cattivi a forza di voler fare il bene”.
Al passivo, il verbo entrèpō (ἐντρέπω) significa “rientrare in sé, provare timore, avere vergogna, essere turbato”. Seguito dall’accusativo assume il senso di “fare attenzione, interessarsi di, essere turbato da, rispettare, temere”. Qui il rispetto degli altri implica attenzione e persino affetto. Luca ricorre a un linguaggio biblico per segnalare come il giudice disobbedisca ai due comandamenti supremi del timore di Dio e dell’amore per il prossimo.
Il verbo ekdikèō (ἐκδικέω) implica sia l’azione giudiziaria contro un colpevole sia la riparazione del torto commesso: in breve, la giustizia. Il termine si ritrova in Lc 21,22 per dire che, nei giorni dell’ekdìkēsis (ἐκδίκησις) tutte le Scritture troveranno compimento.
Dal verbo koptō (κόπτω), che significa “colpire, battere, stufare”, kòpos (κόπος) indica “un incomodo, un peso, una fatica, una seccatura”.
In senso proprio, il verbo hupōpiàzō (ὑπωπιάζω) significa “pestare sotto gli occhi (hupò-oràō), colpire al viso, fare un occhio nero”. In senso figurato, “piegare a forza di colpi, maltrattare, tormentare, mortificare”, alludendo probabilmente a una possibile offesa all’onore del giudice.
Il nome di eletti (eklektòs, ἐκλεκτός) di Dio è un nome importante dal punto di vista ecclesiologico, poiché indica la comunità cristiana. La vedova, che nel simbolismo biblico può indicare Israele, è interpretata qui collettivamente come la comunità degli “eletti”, espressione radicata nella Bibbia ebraica, nell’apocalittica giudaica e nella sua concezione del resto d’Israele.
Qui si pone la questione del senso del verbo makrothumèō (μακροθυμέω), utilizzato 8 volte nell’Antico Testamento e 10 nel Nuovo Testamento, per lo più nel senso di “essere paziente”. Il verbo, tuttavia, può significare anche “tardare”. Per spiegare il senso che assume in questa occorrenza all’indicativo presente dal valore durativo, bisogna ricorrere a un passo molto simile del Siracide (35,21-22): “La preghiera del povero attraversa le nubi… il Signore certo non tarderà né si mostrerà paziente…”. Resta comunque una tensione tra i motivi della pazienza che Dio dovrebbe avere verso gli eletti e l’affermazione seguente, secondo cui Dio non tarda nel compiere la sua giustizia, mentre i cristiani hanno dovuto fare i conti con i lunghi tempi della parusìa.
L’espressione en tàchei (ἐν τάχει) può aiutare a risolvere l’enigma del ritardo o meno della parusìa: potrebbe infatti essere resa sia con “presto, in un breve lasso di tempo”, sia con “in un istante, di colpo”. Luca non aspetta più la parusìa per il giorno seguente, ma è convinto che sarà folgorante come un lampo e molto rapida.
Commento alla Liturgia
Sabato della XXXII settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
Sap 18,14-16.19,6-9
14Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose, e la notte era a metà del suo rapido corso, 15la tua parola onnipotente dal cielo, dal tuo trono regale, guerriero implacabile, si lanciò in mezzo a quella terra di sterminio, portando, come spada affilata, il tuo decreto irrevocabile 16e, fermatasi, riempì tutto di morte; toccava il cielo e aveva i piedi sulla terra. 6Tutto il creato fu modellato di nuovo nella propria natura come prima, obbedendo ai tuoi comandi, perché i tuoi figli fossero preservati sani e salvi. 7Si vide la nube coprire d'ombra l'accampamento, terra asciutta emergere dove prima c'era acqua: il Mar Rosso divenne una strada senza ostacoli e flutti violenti una pianura piena d'erba; 8coloro che la tua mano proteggeva passarono con tutto il popolo, contemplando meravigliosi prodigi. 9Furono condotti al pascolo come cavalli e saltellarono come agnelli esultanti, celebrando te, Signore, che li avevi liberati.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 104 (105)
R. Ricordate le meraviglie che il Signore ha compiuto.
A lui cantate, a lui inneggiate,
meditate tutte le sue meraviglie.
Gloriatevi del suo santo nome:
gioisca il cuore di chi cerca il Signore. R.
Colpì ogni primogenito nella loro terra,
la primizia di ogni loro vigore.
Allora li fece uscire con argento e oro;
nelle tribù nessuno vacillava. R.
Così si è ricordato della sua parola santa,
data ad Abramo suo servo.
Ha fatto uscire il suo popolo con esultanza,
i suoi eletti con canti di gioia. R.
Vangelo
Lc 18,1-8
1Diceva loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: 2"In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. 3In quella città c'era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: "Fammi giustizia contro il mio avversario". 4Per un po' di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: "Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, 5dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi"". 6E il Signore soggiunse: "Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. 7E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? 8Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?".
Note
Strada
La memoria dell’Esodo si fa profezia quotidiana per aiutare, sostenere e orientare il nostro cammino, attraverso i tempi e le stagioni della vita, verso una più profonda esperienza di libertà e di verità:
«il Mare Rosso divenne una strada senza ostacoli e i flutti violenti una pianura piena d’erba» (Sap 18,7).
Lasciandoci ispirare da questo versetto della Sapienza per interpretare la parabola del Signore Gesù «sulla necessità di pregare sempre» (Lc 18,1), potremmo immaginare la preghiera come l’arte di spianare la strada alla vita! La forza della «vedova» (18,3) di cui ci parla il Signore Gesù sta proprio nella sua disperazione. In realtà questa donna non ha più niente da perdere ed è proprio per questo che può permettersi il “lusso” della povertà di «continuamente» (18,5) a importunare il giudice che, al contrario, ha da perdere almeno il suo tempo e la sua quiete. Il fatto che il Signore Gesù faccia ricorso all’immagine di una vedova importuna e la offra come modello non solo di preghiera, ma - prima ancora - di vita, non può lasciarci insensibili.
Il cammino del credente sembra essere quello di spianare continuamente una strada facendo sì che emerga la «terra asciutta» proprio «dove prima c’era acqua» (Sap 18,7). In tal modo la preghiera diventa il luogo di trasformazione per eccellenza e non il modo per sottomettere se stessi a una cieca e, troppo sovente, triste rassegnazione. Aprire il proprio cuore a Dio, manifestando i propri bisogni e presentando le proprie necessità, è prima di tutto un atto di coraggio che ci permette di fare la nostra professione di fede in una speranza mai sopita: le cose, le realtà, persino le persone e, prima di tutto noi stessi, possono e possiamo cambiare, devono e dobbiamo accettare di essere trasformate. Già questo passo verso la speranza che si fa preghiera e implorazione è, per certi aspetti, un sottile esaudimento della preghiera. Questo perché la preghiera non ci fa soggiacere in modo passivo, ma ci sottrae alla tentazione di farci complici di quella muta rassegnazione che sarebbe tanto gradita a quanti assomigliano a quel «giudice che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno» (Lc 18,2).
La preghiera è capace di far crollare il muro dell’indifferenza e dell’autoreferenzialità, per questo, ben aldilà del suo esito puntuale e visibile, è la più grande e la più duratura forma di resistenza a tutto ciò che rischia di imprigionare nella palude del «Mar Rosso» (Sap 18,7). In questo mare infido rischia di annegare la speranza e di essere annientata la libertà di desiderare e di immaginare un futuro migliore o, almeno, diverso. Per questo, se la preghiera è un fuoco capace di discernere come «spada affilata» (18,15) ogni ripiegamento sul proprio piccolo ego, ha bisogno - per divampare - della scintilla della fede come apertura a un di più e a un diverso che sempre disturba e rimette in cammino, come il popolo stretto nella disperazione di trovarsi con il mare davanti e il Faraone alle spalle. Allora la domanda del Signore Gesù è veramente una «spada»:
«Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8).
La fede è, infatti, come una strada su cui camminare e senza la quale ogni cammino sarebbe impensabile.
Cerca nei commenti