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Con il suo suono onomatopeico, il verbo σιγάω (sigào) suggerisce l’atto di smettere di parlare e rimanere in silenzio, ma richiama anche il significato di “evitare che qualcosa si conosca, tenerlo segreto”, riferito a quel mistero, troppo profondo per la comprensione umana, che Dio invece ha voluto manifestare in Gesù Cristo.
Letteralmente, il sostantivo ἀποκάλυψις (apokàlupsis) – dal verbo ἀποκαλύπτω (apokalùpto) – indica l’atto di “scoprire il capo”. Nel Nuovo Testamento, il sostantivo è usato soltanto nel senso figurato di qualcosa che viene resa pienamente conosciuta. Curiosamente, siamo soliti associare il termine “apocalisse” con una visione della fine del mondo pervasa da un senso di catastrofe, mentre qui si parla di “rivelazione”, di una luce accesa sul mistero – il senso profondo e ultimo delle cose – conoscibile solo se Dio lo porta allo scoperto, lo rivela.
Letteralmente “mammona di ingiustizia” (mamōnã tēs adikìas, μαμωνᾶ τῆς ἀδικίας), l’espressione è di origine semitica ma si diffonde al tempo del Nuovo Testamento. L’etimologia di “mammona” è incerta, ma potrebbe essere assimilata a quella del nostro “amen”: ciò in cui si ha fiducia, su cui si può contare, su cui ci si può appoggiare. E visto che gli uomini fanno affidamento sul denaro, il termine ha finito per designare i beni materiali. Qui si tratta di un denaro acquisito male. Dal punto di vista del regno non esiste un denaro “pulito”: dilapidare a beneficio degli altri (cioè donare) è il solo modo per ripulire il denaro sporco.
Letteralmente il testo dice “tende (al singolare skēnē, σκηνή) eterne”. Sono le dimore riservate ai credenti nella casa del Padre, qui come nel Vangelo di Giovanni. Nell’esodo, la tenda era il luogo in cui si poteva incontrare Dio, ma anche lo spazio familiare in cui gli israeliti amavano alloggiare una volta sedentarizzati, e quindi esposti anche al rischio dell’idolatria. Nel senso spirituale sono possibili due significati: le “tende eterne” sia come il luogo a cui accedono i credenti alla loro morte sia come il luogo in cui saranno accolti nella parusia. Si tratta comunque di un modo ricco di immagini per parlare del regno di Dio.
L’aramaico e l’ebraico contrappongono “amare” a “odiare” per significare “preferire, optare per, tenere per priorità”. Gesù invita a schierarsi dalla parte di Dio. Presentata come una scelta personale, questa presuppone l’emergere delle nozioni di “persona” e di “libertà di scelta”. Per appartenere a Dio, dunque, non basta far parte del popolo d’Israele per nascita. Pur rimanendo il passaggio di appartenenza da un padrone (mammona) all’altro (Dio), è in Cristo che la sottomissione diventa libertà.
Commento alla Liturgia
Sabato della XXXI settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
Rm 16,3-9.16.22-27
3Salutate Prisca e Aquila, miei collaboratori in Cristo Gesù. 4Essi per salvarmi la vita hanno rischiato la loro testa, e a loro non io soltanto sono grato, ma tutte le Chiese del mondo pagano. 5Salutate anche la comunità che si riunisce nella loro casa. Salutate il mio amatissimo Epèneto, che è stato il primo a credere in Cristo nella provincia dell'Asia. 6Salutate Maria, che ha faticato molto per voi. 7Salutate Andrònico e Giunia, miei parenti e compagni di prigionia: sono insigni tra gli apostoli ed erano in Cristo già prima di me. 8Salutate Ampliato, che mi è molto caro nel Signore. 9Salutate Urbano, nostro collaboratore in Cristo, e il mio carissimo Stachi. 16Salutatevi gli uni gli altri con il bacio santo. Vi salutano tutte le Chiese di Cristo. 22Anch'io, Terzo, che ho scritto la lettera, vi saluto nel Signore. 23Vi saluta Gaio, che ospita me e tutta la comunità. Vi salutano Erasto, tesoriere della città, e il fratello Quarto. [ 24] 25A colui che ha il potere di confermarvi nel mio Vangelo, che annuncia Gesù Cristo, secondo la rivelazione del mistero, avvolto nel silenzio per secoli eterni, 26ma ora manifestato mediante le scritture dei Profeti, per ordine dell'eterno Dio, annunciato a tutte le genti perché giungano all'obbedienza della fede, 27a Dio, che solo è sapiente, per mezzo di Gesù Cristo, la gloria nei secoli. Amen.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 144 ( 145)
R. Ti voglio benedire ogni giorno, Signore.
Ti voglio benedire ogni giorno,
lodare il tuo nome in eterno e per sempre.
Grande è il Signore e degno di ogni lode;
senza fine è la sua grandezza. R.
Una generazione narra all’altra le tue opere,
annuncia le tue imprese.
Il glorioso splendore della tua maestà
e le tue meraviglie voglio meditare. R.
Ti lodino, Signore, tutte le tue opere
e ti benedicano i tuoi fedeli.
Dicano la gloria del tuo regno
e parlino della tua potenza. R.
Vangelo
Lc 16,9-15
9Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne. 10Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. 11Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? 12E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? 13Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza". 14I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si facevano beffe di lui. 15Egli disse loro: "Voi siete quelli che si ritengono giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che fra gli uomini viene esaltato, davanti a Dio è cosa abominevole.
Note
Cose di poco conto
L’annuncio di una necessaria scaltrezza per poter entrare nella vita eterna non in solitudine, ma circondati di amici a cui abbiamo offerto un po’ di sollievo in questo mondo, merita senza dubbio un approfondimento. Dopo aver raccontato una parabola che potrebbe aver lasciato sconcertati già i primi uditori, il Signore Gesù trae e offre un’indicazione spirituale davvero inaspettata:
«Fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne» (Lc 16,9).
Non si tratta, dunque, di essere furbi per badare solo al proprio tornaconto, ma di imparare l’arte di non coltivare il terreno della propria vita in solitudine, bensì insieme e in condivisione con gli altri. Farsi amici in questo mondo, per poter essere poi da loro accolti nel mondo futuro, può essere inteso come il più saggio degli investimenti, anche qualora dovessimo ancora farlo per timore di restare soli o sprovvisti del necessario. Infatti – sembra affermare Gesù – le ricchezze di cui siamo amministratori sono sempre qualcosa di «disonesto», visto che nella storia continuano a esistere enormi differenze di benessere tra creature che, invece, dovrebbero avere tutte la medesima dignità e le stesse occasioni.
Un altro intento della parabola sembra essere quello di farci riflettere sul fatto che i doni di Dio, anche quando sono belli e limpidi, non possono mai costituire la nostra vera ricchezza in questo mondo. Sono certamente un segno e un dono del suo amore, ma sempre e solo in vista dell’attivazione di una logica di gratitudine e di libertà per cui non si ha più paura di donare gratuitamente quello che gratuitamente si è ricevuto. La grande sfida della fraternità secondo il vangelo è quella di incrementare senza alcuna timidezza gli spazi di condivisione, permettendo a tutto quello che Dio pone nelle nostre mani di trasformarsi in occasione di relazione e di servizio all’altro. Altrimenti la ricchezza di cui siamo depositari rischia di diventare una ricchezza «disonesta», capace di chiudere gli orizzonti della comunione e facendoci sprofondare nel baratro del possesso e della gelosia.
I beni di cui ci sentiamo amministratori restano per tutto il tempo della vita un’inevitabile – ma soprattutto inesorabile – verifica del cuore, e attraverso di essi veniamo continuamente educati a entrare in una logica di servizio, anziché restare prigionieri dell’inganno dell’accumulo. Per raccogliere la sfida di un’amministrazione sapiente e fraterna non bisogna certo immaginare di dover operare grandi e improvvise svolte nella nostra vita. Il Signore Gesù dichiara che è sufficiente ritrovare un’attenzione al poco, che è la misura dell’amore concreto e fedele, per potersi incamminare nuovamente verso la pienezza del Vangelo:
«Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?» (Lc 16,10-12).
Per non correre il rischio di verificare la nostra vita sui massimi sistemi, la liturgia ci regala un ulteriore aiuto attraverso le ultime battute della maestosa epistola ai Romani. Giunto al termine di una grande riflessione teologica sulle conseguenze della Pasqua di Cristo e sulle esigenze della fede nella sua risurrezione, in conformità agli usi epistolari del suo tempo, l’apostolo si prodiga in un abbondante saluto conclusivo, rivolto ai tanti fratelli nella fede.
«Salutatevi gli uni gli altri con il bacio santo. Vi salutano tutte le Chiese di Cristo» (Rm 16,16).
Si tratta di un minuscolo ma prezioso dettaglio, a partire dal quale possiamo comprendere meglio quali siano le «cose di poco conto» nelle quali è necessario essere «fedeli». Il saluto, infatti, è il primo riconoscimento dell’altro, la più naturale forma di servizio che possiamo offrire al suo volto, con cui possiamo imparare ogni giorno a farci «amici» coloro che, nella fede, sono già nostri fratelli. Anche Dio fa sempre così con noi: ci saluta, ci guarda e ci parla con rispetto, felice del tanto bene presente in noi e in tutti e del fatto che proprio noi saremo i suoi «amici» nelle dimore eterne del cielo.
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