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Termine utilizzato nel Nuovo Testamento nelle sue molteplici sfumature, παρρησία (parresìa) riguarda anzitutto un modo di parlare, un uso del linguaggio caratterizzato da semplicità, chiarezza, franchezza, che non camuffa e non nasconde il pensiero. Può indicare anche ciò che avviene apertamente, in pubblico. Qui descrive l’audacia, la fiducia in se stessi, il coraggio che accompagnano quella relazione con Dio che chiamiamo fede. Si potrebbe tradurre anche “con cuore gioioso”, per indicare il sentimento di confidenza in Colui che solo sa quando e come venire in nostro aiuto.
Questa doppia espressione si trova solo in Marco e ritornerà solo un’altra volta, al momento della crocifissione di Gesù, quando alla sua destra e alla sua sinistra saranno crocifissi due briganti. Chi vuole la gloria, come i due fratelli Giacomo e Giovanni, deve passare attraverso la croce. Le domande che Gesù pone subito dopo non negano il desiderio di essere con Gesù, ma ne purificano le motivazioni.
Nella Settanta, il verbo kurièuō (κυριεύω) è uno dei verbi della vocazione dell’uomo, quella di “dominare la terra” (cf. Gen 1,27 e 9,1). Nel Nuovo Testamento, invece, questo stesso verbo, anche nella sua forma composta katakurièuō (κατακυριεύω) come in questo versetto, è usato per indicare la necessità di “non dominare l’altro”, di non “signoreggiare” nella comunità.
Il “molti” va inteso qui come implicante “tutti”, senza però indicare la totalità o un risultato automaticamente globale. Dalla parte di colui che si consegna, il destinatario può essere la “moltitudine”, ma dalla parte della totalità, ognuno resta libero di dare la propria adesione, di scegliere se rientrare nei “molti” per i quali Gesù offre la sua passione, morte e risurrezione.
Commento alla Liturgia
XXIX Domenica Tempo Ordinario
Prima lettura
Is 53,10-11
10Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. 11Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 32 (33)
R. Donaci, Signore, il tuo amore: in te speriamo.
Retta è la parola del Signore
e fedele ogni sua opera.
Egli ama la giustizia e il diritto;
dell'amore del Signore è piena la terra. R.
Ecco, l'occhio del Signore è su chi lo teme,
su chi spera nel suo amore,
per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame. R.
L'anima nostra attende il Signore:
egli è nostro aiuto e nostro scudo.
Su di noi sia il tuo amore, Signore,
come da te noi speriamo. R.
Seconda Lettura
Eb 4,14-16
14Dunque, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede. 15Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato. 16Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno.
Vangelo
Mc 10,35-45
35Gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: "Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo". 36Egli disse loro: "Che cosa volete che io faccia per voi?". 37Gli risposero: "Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra". 38Gesù disse loro: "Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?". 39Gli risposero: "Lo possiamo". E Gesù disse loro: "Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. 40Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato". 41Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. 42Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: "Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. 43Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, 44e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. 45Anche il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti".
Note
Il potere del servizio
Il racconto evangelico di oggi prende le mosse dall’iniziativa insolita di due fratelli, Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che Gesù aveva chiamato alla sua sequela perché, come Pietro e Andrea, diventassero pescatori di uomini. I due si presentano come discepoli pieni di zelo se meritano l’epiteto di «figli del tuono» e sperimentano alcuni momenti di speciale intimità con Gesù (come l’evento della Trasfigurazione). Tuttavia, in loro avviene un cortocircuito:
«Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo» (Mc 10,35).
La richiesta si presta a due possibili interpretazioni: può essere mossa dalla certezza di chi sa di essere talmente amato da poter sperare di essere esaudito in ogni cosa oppure dalla pretesa di chi vuol essere assecondato a tutti i costi. Per discernere ciò è necessario comprendere il contenuto di tale richiesta: i due vogliono partecipare in modo privilegiato ed esclusivo alla gloria di Gesù. Nel loro cuore non albergano più la gratuità e l’obbedienza, fertilizzanti della vita di un discepolo, ma la pretesa di primeggiare che determina il sorpasso rispetto al cammino segnato dal Maestro.
Gesù ha annunciato poc’anzi la sua Pasqua, soffermandosi sull’umiliazione cui sta andando incontro e menzionando anche la sua risurrezione. I due fratelli snobbano del tutto il tema della passione, interessati come sono solo alla gloria: desiderano partecipare al trionfo messianico di Gesù in qualità di collaboratori più stretti. Con un atteggiamento individualistico che non tiene conto del gruppo, ma pensa a se stesso e al proprio sangue nell’ottica di una buona sistemazione, i due discepoli chiamati alla vita comunionale effettuano un regresso alla sfera del privato, incarnando un pericoloso esclusivismo in forza del quale Gesù viene assimilato a un trofeo di famiglia.
Giacomo e Giovanni sono specchio dell’uomo religioso che cerca i privilegi dell’esperienza di fede e smarrisce la centralità del dono e la sua fecondità che emergono invece con forza nella vicenda del servo del Signore di cui parla Isaia:
«Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo» (Is 53,10).
La vera ricchezza di un discepolo è l’offerta di sé in una vita donata a immagine del Maestro che si è fatto tutto dono, per amore di ogni uomo e di ogni donna. Dinanzi alla caduta di stile dei suoi due discepoli, Gesù, però, non si adira né si scandalizza ma denuncia l’intento esplicito di sottrarsi alla croce:
«Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?» (Mc 10,38).
Secondo la tradizione profetica bere il calice corrisponde al destino riservato a chi merita una punizione o a chi è oggetto di persecuzione. Scopo di ogni discepolo è favorire la riconciliazione degli uomini con Dio come ha fatto il servo del Signore e come farà Gesù con la sua Pasqua:
«Il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità» (Is 53,11).
Giacomo e Giovanni vogliono un Gesù senza Croce, un Gesù di successo da cui trarre lustro per sé e per il buon nome della loro famiglia. Vogliono rimuovere il fallimento, l’insuccesso, la prova, tutto ciò che contraddistingue la vita profetica e la rende segno. Non accettano il travaglio del seme che deve morire per portare frutto. La loro richiesta scatena l’indignazione degli altri e Gesù interviene a placare gli animi tratteggiando con forza l’identità del discepolo:
«Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore» (Mc 10,44).
Un discepolo non è un uomo di potere ma un servitore, uno che non spadroneggia sugli altri ma che si prende cura delle loro vite. È l’uomo della prossimità e della piena solidarietà con i fratelli a immagine del suo Maestro. Noi, infatti,
«Noi non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze; egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato» (Eb 4,15).
Vivere la fede ed essere membri della Chiesa non si concilia, dunque, con la ricerca di posti di prestigio ma con l’apprendistato del servizio umile che Gesù mostra in itinere, lungo il suo viaggio verso Gerusalemme, incarnandolo in ogni sua parola e in ogni suo gesto. Per i redenti, infatti, la gloria non è un affermare se stessi esercitando il potere sugli altri, ma il frutto di una vita donata, battezzata nell’amore, consapevoli che stare all’ultimo posto è la condizione indispensabile per la germinazione e fecondità di ogni vocazione. E chi fiorisce nell’amore provoca dolcemente la fioritura di molti.
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