Commento alla Liturgia

Giovedì della XXXI settimana di Tempo Ordinario

Prima lettura

Rm 14,7-12

7Nessuno di noi, infatti, vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, 8perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore. 9Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi. 10Ma tu, perché giudichi il tuo fratello? E tu, perché disprezzi il tuo fratello? Tutti infatti ci presenteremo al tribunale di Dio, 11perché sta scritto: Io vivo, dice il Signore : ogni ginocchio si piegherà davanti a me e ogni lingua renderà gloria a Dio. 12Quindi ciascuno di noi renderà conto di se stesso a Dio.

Salmo Responsoriale

Dal Sal 26 (27)

R. Contemplerò la bontà del Signore nella terra dei viventi.

Il Signore è mia luce e mia salvezza:
di chi avrò timore?
Il Signore è difesa della mia vita:
di chi avrò paura? R.

Una cosa ho chiesto al Signore,
questa sola io cerco:
abitare nella casa del Signore
tutti i giorni della mia vita,
per contemplare la bellezza del Signore
e ammirare il suo santuario. R.

Sono certo di contemplare la bontà del Signore
nella terra dei viventi.
Spera nel Signore, sii forte,
si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore. R.

Vangelo

Lc 15,1-10

1Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: "Costui accoglie i peccatori e mangia con loro". 3Ed egli disse loro questa parabola: 4"Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? 5Quando l'ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, 6va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: "Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta". 7Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione. 8Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? 9E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: "Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto". 10Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte".

Commento alla Liturgia

Custodire l'umano

Luigi Maria Epicoco

 “Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: «Costui riceve i peccatori e mangia con loro».”

Il Vangelo si apre con lo scandalo suscitato da Gesù agli scribi e farisei. Egli allora per rispondere allo “scandalo”, racconta due parabole divenute famose. Una riguarda una pecora su cento, che smarrita viene cercata e ritrovata con gioia dal padrone. L’altra riguarda una moneta su dieci che una donna perdendo cerca affannosamente fino a ritrovarla e a scomodare anche le amiche e le vicine per festeggiarne il ritrovamento. Effettivamente la prima grande riflessione dovrebbe riguardare il fatto che è quanto mai normale calcolare la possibilità che qualcosa, piccola, centesima, o decima, si perda di ciò a cui teniamo. Potremmo quasi dire che è fisiologico, che fa parte del gioco. Eppure a Gesù non sta bene questo ragionamento. Il pastore e la donna dimostrano un’ostinazione che è più grande delle perdite legittime e da manuale di ciò che hanno. L’amore è una forma quasi esagerata di ostinazione. Non poggia su meccanismi matematici o aziendali, ma reputa tutto, e persino l’ultimo dettaglio, importante. Ora, se si gioisce per una pecora, o per una moneta, quanto si dovrebbe gioire per una persona? È questo lo schiaffo interiore che Gesù dà agli scribi e ai farisei: ogni persona, per quanto peccatrice, vale più di una pecora o di una moneta. E non ha senso amare più una pecora o una moneta rispetto all’ultimo degli uomini. È un fatto di amore e di gioia che raramente chi non sperimenta amore e gioia può capire. E a chi non ha amore e gioia rimane solo un elenco di regole e il dito puntato. Qui non si tratta di negare la Legge ma di non dimenticare che stiamo parlando di volti, persone, storie, e che non ha senso esasperare un errore per rendere valida una regola messa lì esattamente per custodire l’umano di tutti. Si può idolatrare talmente tanto una regola fino a renderla disumana, ma proprio per questo smette di essere giusta.

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Il verbo «mormorare» è usato all'imperfetto (διεγόγγυζον), per indicare un'azione ripetuta nel tempo. Si allude dunque non a un episodio o a un momento, ma più verosimilmente a una (cattiva) abitudine. Il verbo usato per l'accoglienza di Gesù dei peccatori (προσδέχεται) è molto ricco di sfumature, può significare: 1) ricevere , 2) aspettare, non vedere l'ora di incontrare qualcuno.

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