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Nei versetti 29-34 troviamo una gradazione di verbi visivi, che indicano una progressione da una visione a distanza a una più ravvicinata, sia in senso letterale, cioè sul piano spaziale, sia in senso figurato, cioè di visione di fede. In particolare, si passa da “guardare” (blepō, βλέπω) al v. 19, a “contemplare” (theàomai, θεάομαι) al v. 32, a “vedere” (horàō, ὁράω) ai vv. 33-34. L’evangelista sottolinea le stesse sfumature nel racconto del “giorno uno”, il giorno della Risurrezione (20,1-18). Da notare che horàō, verbo della visione di fede, è alla radice dell’espressione “ecco” del v. 29, che si potrebbe tradurre proprio con “vedi: l’agnello di Dio”.
Il titolo di agnello (amnòs, ἀμνός) conferito a Gesù è molto ricco di significati e richiami biblici. Si può cogliere il nesso tra agnello e sacrificio nel testo di Is 40,3, citato pochi versetti prima (v. 23): il servo silenzioso e sofferente, paragonato a un agnello, si manifesta in Gesù che non compie un sacrificio esteriore ma personale, cioè associato a Dio, il solo capace di farsi carico del peccato. In questo senso, Gesù-agnello di Dio è prefigurato anche nell’agnello pasquale di Es 12 e rappresentato nell’agnello vittorioso di Ap 6.
Il termine anēr (ἀνήρ) viene usato non come sinonimo di anthrōpos (ἄνθρωπος), ma con il significato di “maschio, marito”, in linea con la presentazione di Gesù come lo sposo di Israele.
Commento alla Liturgia
3 Gennaio
Prima lettura
1Gv 2,29–3,6
29Se sapete che egli è giusto, sappiate anche che chiunque opera la giustizia, è stato generato da lui. 1Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui. 2Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. 3Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro. 4Chiunque commette il peccato, commette anche l'iniquità, perché il peccato è l'iniquità. 5Voi sapete che egli si manifestò per togliere i peccati e che in lui non vi è peccato. 6Chiunque rimane in lui non pecca; chiunque pecca non l'ha visto né l'ha conosciuto.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 97(98)
R. Tutta la terra ha veduto la salvezza del Signore.
oppure:
R. Esultiamo nel Signore, nostra salvezza.
Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo. R.
Tutti i confini della terra hanno veduto
la vittoria del nostro Dio.
Acclami il Signore tutta la terra,
gridate, esultate, cantate inni! R.
Cantate inni al Signore con la cetra,
con la cetra e al suono di strumenti a corde;
con le trombe e al suono del corno
acclamate davanti al re, il Signore. R.
Vangelo
Gv 1,29-34
29Il giorno dopo, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: "Ecco l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! 30Egli è colui del quale ho detto: "Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me". 31Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell'acqua, perché egli fosse manifestato a Israele". 32Giovanni testimoniò dicendo: "Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. 33Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell'acqua mi disse: "Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo". 34E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio".
Note
Approfondimenti
La menzione della colomba (peristerà, περιστερά) connota in senso metaforico la discesa dello Spirito Santo su Gesù.
In Ap 21,2 è la nuova Gerusalemme a scendere dal cielo, mentre qui Giovanni intende riferirsi non alla nuova creazione ma alla creazione di Gen 1,2, in cui la colomba – simbolo del favore divino dopo il diluvio – che non era più tornata nell’arca, ritorna ora per stabilire, in Gesù, l’alleanza originaria con la creazione, restaurata e ancora più bella dopo il peccato. Anche nel Cantico dei Cantici la colomba ha il valore antropologico della sposa di YHWH una volta ricostituita l’alleanza.
L’evangelista, quindi, non intende narrare la nascita del nuovo Israele o del nuovo popolo di Dio, ma la nascita di Israele che vede il suo Dio in Gesù secondo la testimonianza di Giovanni.
Grande amore
Nel Tempo di Natale la liturgia non si stanca di cantare quali meravigliose ricadute ha su di noi il dolcissimo mistero dell’accondiscendenza del Verbo di Dio alla nostra umanità perduta eppure accolta nello sguardo misericordioso del Padre. Il desiderio di Dio di essere con noi, fino alle estreme conseguenze di una Pasqua di passione, morte e risurrezione, ha esteso su di noi la grazia di una vita finalmente e pienamente filiale:
«Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato» (1Gv 3,2).
Il linguaggio dell’apostolo non vuole certo gettare ombre o sospetti sul carattere definitivo della nostra adozione a figli. Intende semmai ricordare che la dimensione di questo grande dono d’amore ha solo cominciato a manifestare tutte le sue qualità nella vita di questo mondo, ma avrà piena realizzazione solo nel giorno senza tramonto in cui la nostra immagine e somiglianza con Dio sarà completamente riscattata:
«Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1Gv 3,2).
Il processo attraverso cui la nostra natura filiale si accresce, nel mondo e nella storia, è descritto da Giovanni come un processo di purificazione, in cui ogni mentalità egoistica cede il posto alla grande speranza di non essere più soli nel viaggio della vita:
«Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro» (1Gv 3,3).
Nella manifestazione di Gesù al Giordano possiamo scorgere quei tratti della natura divina che qualificano e svelano anche quelli della nostra natura umana. Osservando il modo con cui il Figlio di Dio muove i suoi passi dentro la volontà del Padre, Giovanni non può che sottolineare una componente di palese e palpabile mitezza:
«Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!» (Gv 1,29).
Il racconto dell’eunuco di Candàce, che viene aiutato da Filippo a comprendere il senso messianico della profezia di Isaia sul servo di Dio, mite come «una pecora condotta al macello» e come «un agnello senza voce» (At 8,32), ci ricorda che è necessario compiere un processo di riconoscimento per scorgere nell’umiltà del Cristo tutta la potenza dell’Onnipotente che abita e salva la storia.
La testimonianza di Giovanni, del resto, non si ferma all’immagine dell’agnello, ma si sviluppa e si approfondisce attraverso un’altra figura altamente simbolica nel linguaggio biblico:
«Ho contemplato lo Spirito discendere su di lui come una colomba dal cielo e rimanere su di lui» (Gv 1,32).
Nel modo in cui la forza d’amore di Dio scende e resta sulla persona del Verbo dobbiamo riconoscere la delicata tenacia con cui il Padre e il Figlio sono uniti in una riconciliata — cioè libera — relazione di appassionata fedeltà. Infatti, nella Scrittura la colomba è, al contempo, simbolo della pace fra il cielo e la terra (cf. Gen 8,8-12) ma anche di quella bellezza che spinge l’Amato — Dio — a cercare negli anfratti e negli abissi della terra l’amata — la nostra umanità — (cf. Ct 2,14). La fusione di questi orizzonti simbolici è sufficiente a scorgere nella carne del Verbo tutta la gloria di Dio e a poter credere alla buona notizia dell’Incarnazione:
«E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio» (Gv 1,34).
I giorni del Natale ravvivano la memoria di quali conseguenze ha per ciascuno di noi il dono del battesimo. Il realismo dell’Incarnazione pretende di essere anche la vita e la vivacità del nostro modo di consegnarci al mondo e ai fratelli con una lucida mitezza, tanto disincantata quanto incantevole. Consapevoli che il seme del Verbo deposto nei «confini della (nostra) terra» (Sal 97,3) ha determinato un’inarrestabile espansione di quella vita che in noi geme e matura:
«Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!» (1Gv 3,1).
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