Commento alla Liturgia

Martedì della IV settimana di Tempo Ordinario

Prima lettura

2Sam 18,9-10.14b.21a.24-25a.30-32.19,1-3

9Ora Assalonne s'imbatté nei servi di Davide. Assalonne cavalcava il mulo; il mulo entrò sotto il groviglio di una grande quercia e la testa di Assalonne rimase impigliata nella quercia e così egli restò sospeso fra cielo e terra, mentre il mulo che era sotto di lui passò oltre. 10Un uomo lo vide e venne a riferire a Ioab: "Ho visto Assalonne appeso a una quercia". 14Allora Ioab disse: "Io non voglio perdere così il tempo con te". Prese in mano tre dardi e li ficcò nel cuore di Assalonne, che era ancora vivo nel folto della quercia. 21Poi Ioab disse all'Etiope: "Va' e riferisci al re quello che hai visto". L'Etiope si prostrò a Ioab e corse via. 24Davide stava seduto fra le due porte; la sentinella salì sul tetto della porta sopra le mura, alzò gli occhi, guardò, ed ecco vide un uomo correre tutto solo. 25La sentinella gridò e l'annunciò al re. Il re disse: "Se è solo, ha in bocca una bella notizia". Quegli andava avvicinandosi sempre più. 30Il re gli disse: "Mettiti là, da parte". Quegli si mise da parte e aspettò. 31Ed ecco arrivare l'Etiope che disse: "Si rallegri per la notizia il re, mio signore! Il Signore ti ha liberato oggi da quanti erano insorti contro di te". 32Il re disse all'Etiope: "Il giovane Assalonne sta bene?". L'Etiope rispose: "Diventino come quel giovane i nemici del re, mio signore, e quanti insorgono contro di te per farti del male!". 1Allora il re fu scosso da un tremito, salì al piano di sopra della porta e pianse; diceva andandosene: "Figlio mio Assalonne! Figlio mio, figlio mio Assalonne! Fossi morto io invece di te, Assalonne, figlio mio, figlio mio!". 2Fu riferito a Ioab: "Ecco, il re piange e fa lutto per Assalonne". 3La vittoria in quel giorno si cambiò in lutto per tutto il popolo, perché il popolo sentì dire in quel giorno: "Il re è desolato a causa del figlio".

Salmo Responsoriale

Dal Sal 85(86)

R. Signore, tendi l'orecchio, rispondimi.

Signore, tendi l’orecchio, rispondimi,
perché io sono povero e misero.
Custodiscimi perché sono fedele;
tu, Dio mio, salva il tuo servo, che in te confida.   R.

Pietà di me, Signore,
a te grido tutto il giorno.
Rallegra la vita del tuo servo,
perché a te, Signore, rivolgo l’anima mia.  R.

Tu sei buono, Signore, e perdoni,
sei pieno di misericordia con chi t’invoca.
Porgi l’orecchio, Signore, alla mia preghiera
e sii attento alla voce delle mie suppliche.   R.

Vangelo

Mc 5,21-43

21Essendo Gesù passato di nuovo in barca all'altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. 22E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi 23e lo supplicò con insistenza: "La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva". 24Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno. 25Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni 26e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, 27udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. 28Diceva infatti: "Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata". 29E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male. 30E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: "Chi ha toccato le mie vesti?". 31I suoi discepoli gli dissero: "Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: "Chi mi ha toccato?"". 32Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. 33E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. 34Ed egli le disse: "Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va' in pace e sii guarita dal tuo male". 35Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: "Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?". 36Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: "Non temere, soltanto abbi fede!". 37E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. 38Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. 39Entrato, disse loro: "Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme". 40E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. 41Prese la mano della bambina e le disse: " Talità kum ", che significa: "Fanciulla, io ti dico: àlzati!". 42E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. 43E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.

Commento alla Liturgia

Non perdersi (d'animo)

Roberto Pasolini

Due donne e due racconti sapientemente intrecciati mostrano, nella liturgia di oggi, in cosa consista quella «fede» (Mc 5,34) capace di dare salvezza e quale insperato aumento di vita e di speranza divenga possibile quando si tocca e ci si lascia toccare dalla grazia di Cristo. La prima è una donna adulta, che da «dodici anni» — cioè da sempre — perde il suo «sangue» (5,25) — cioè la vita — e, pur avendo «molto sofferto per opera di molti medici» (5,26), non è ancora riuscita a guarire da questa «malattia mortale» (S. Kierkegaard) che è in fondo la sua stessa vita in cerca del volto di Dio. Questa figura femminile, silenziosa eppure molto reattiva, non appena sente «parlare di Gesù» (5,27), dà corpo al suo struggente bisogno di salvezza avanzando «tra la folla e da dietro» per arrivare a toccare «il suo mantello» (5,27). L’evangelista, con sorprendente finezza psicologica, svela anche quale pensiero anima e accompagna questo gesto pieno di speranza che la donna tenta di compiere nel più assoluto anonimato:

«Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata» (Mc 5,28).

Sebbene il tocco ottenga il risultato sperato, insieme alla consapevolezza di essere «guarita dal male» (5,29), una nuova tensione rilancia subito la narrazione. Il Signore Gesù, avvertita «una forza che era uscita da lui» (5,30) si mette alla ricerca del volto di questa donna, perché il processo di guarigione non si esaurisca solo in un sentirsi bene, ma possa maturare anche fino alla possibilità di sentirsi amati:

«Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male» (Mc 5,34).

Se, in un primo momento, il tocco del mantello di Gesù aveva offerto la possibilità della guarigione, ora la donna sprofonda in una vera e propria esperienza di salvezza. Salvi, infatti, lo siamo non quando le nostre ferite cessano di sanguinare, ma quando cessano di dominarci i motivi – spesso interiori – per soffrire, perché finalmente scopriamo di poter esistere, così come siamo, davanti allo sguardo di un altro:

«E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità» (Mc 5,33).

L’altra figura femminile è quella di una ragazza così giovane da non aver ancora potuto raggiungere la vita adulta, «aveva infatti dodici anni» (5,43). Il delicato passaggio oltre il recinto dell’infanzia sembra talmente compromesso che il padre interpreta lo stato di sofferenza di sua figlia come una morte ormai certa: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva» (5,23). La reazione di Gesù a questa drammatica situazione, al contrario, è talmente ricca di fiducia da apparire persino ridicola:

«La bambina non è morta, ma dorme» (Mc 5,40).

Da queste parole emerge ancora più chiaramente in cosa si radichi la potenza di guarigione presente nel corpo e nel cuore di Cristo: non perdersi mai d’animo di fronte a niente e a nessuno, per essere disposti a non considerare mai nessuno perduto, nell’attesa che Dio possa mostrare ancora il suo volto di misericordia e la forza irriducibile della sua vita eterna. Il Signore Gesù è in grado di restituire speranza perché non si lascia condizionare dall’evidenza del male, ma è capace di riconoscere dietro alle ferite e dentro il sonno della morte occasioni di nuove relazioni:

«Prese la mano della bambina e le disse: “Talità kum”, che significa: “Fanciulla, io ti dico: àlzati!”. E subito la fanciulla si alzò e camminava» (Mc 5,41-42).

A partire da questo dinamismo di speranza di cui è intessuta la pagina evangelica, possiamo comprendere meglio anche il cuore di Davide che, nonostante tutta l’ingratitudine e il male ricevuti dal figlio Assalonne, non è capace di trattenere le lacrime della compassione, in cui è raccolto il grande dolore per il cammino di un altro figlio incapace di accedere alla maturità di una vita adulta:

«Figlio mio Assalonne! Figlio mio, figlio mio Assalonne! Fossi morto io invece di te, Assalonne, figlio mio, figlio mio!» (2Sam 19,1).

Custodire uno sguardo di speranza nei confronti dell’altro, anche quando la sua vita appare ostile alla nostra oppure prossima alla fine, è il ritmo della fede cui dobbiamo saper ogni giorno camminare. Senza perdersi d’animo.

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Letteralmente, il testo dice “cade” (piptō, πίπτω) ai piedi di Gesù: un’espressione forte, che richiama certi indemoniati che facevano altrettanto nel trovarsi al cospetto del Signore. Qui può esprimere sia una forte necessità sia una grande fiducia di questo capo verso Gesù. L’accostamento di questi due verbi esprime il desiderio di Giairo in entrambe le forme possibili: negativa e positiva. Il verbo salvare (sōzō, σῴζω) in greco suppone che la giovane non sia ancora morta, e quindi indica il desiderio minimo che “sfugga alla morte”. Il verbo vivere (zaō, ζάω) indica ben più del fatto di essere risparmiata: esprime il desiderio assoluto che possa vivere al massimo, in pienezza. Letteralmente il termine usato è “la fonte” del sangue: pēghē (πηγή), non solo per indicare la sorgente fisica di un fenomeno naturale che secondo la Bibbia è veicolo di impurità (cf. Lv 12), ma forse anche per richiamare la causa profonda del male e della sofferenza della donna, sanata grazie al contatto con Gesù. Il termine forza, potenza (dùnamis, δύναμις) ricorre spesso in Marco, con un ampio ventaglio di significati: può indicare un attributo di Dio, un nome di Dio, gli atti di potenza di Gesù (cosiddetti miracoli). Qui si tratta di una energia che lo abita e che egli è in grado di comunicare. È un verbo forte skullō (σκύλλω), unica occorrenza in Marco: significa “togliere la pelle, scorticare". Qui si può intendere come “sfinire, stancare” o più sobriamente “disturbare”. Unico caso in Marco del verbo parakouō (παρακούω), che significa “ascoltare senza volere”, senza essere chiamato in causa direttamente, ma significa anche “rifiutarsi di ascoltare, disobbedire”. In questo contesto, è un verbo difficile da tradurre: si potrebbe rendere con “avendo appreso per vie traverse”. La bambina viene indicata al neutro: paidion (παιδίον). Questo la rende quasi una cosa, appena capace di comportarsi come un soggetto. Ma al v. 41, quando Gesù parla si rivolge a lei al femminile: attraverso la parola che le viene rivolta, la bambina cessa di essere un oggetto neutro e diventa un soggetto, una persona. La bambina viene indicata al neutro: paidion (παιδίον). Questo la rende quasi una cosa, appena capace di comportarsi come un soggetto. Ma al v. 41, quando Gesù parla si rivolge a lei al femminile: attraverso la parola che le viene rivolta, la bambina cessa di essere un oggetto neutro e diventa un soggetto, una persona. Nella traduzione greca dell’espressione aramaica, il testo introduce un nuovo termine: koràsion (κοράσιον), diminutivo di korē (κόρη), cioè ragazza, ma anche serva, figlia. Con l’imperativo di alzarsi, Gesù non solo la rimette in piedi dal sonno della morte, ma le fa compiere il passaggio dall’infanzia all’età nubile di giovane donna, pronta a contrarre matrimonio nella società del I secolo a cui Marco si rivolge. Nella traduzione greca dell’espressione aramaica, il testo introduce un nuovo termine: koràsion (κοράσιον), diminutivo di korē (κόρη), cioè ragazza, ma anche serva, figlia. Con l’imperativo di alzarsi, Gesù non solo la rimette in piedi dal sonno della morte, ma le fa compiere il passaggio dall’infanzia all’età nubile di giovane donna, pronta a contrarre matrimonio nella società del I secolo a cui Marco si rivolge.

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