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Il verbo peripatèō (περιπατέω) è un termine tecnico che nel Nuovo Testamento rinvia alla condotta pratica (in ebraico: halakha) custodita rigidamente dai farisei. Per estensione dal senso letterale “andarsene in giro, passeggiare”, il termine esprime il modo di comportarsi nel cammino della vita. Da notare che il comportamento pratico rimanda alla questione teologica più profonda su cosa significhi, nell’alleanza tra Dio e l’uomo, conformarsi alla tradizione degli antichi. Su questo verte l’accusa rivolta ai discepoli di Gesù, ma anche la sua critica in risposta.
Commento alla Liturgia
Martedì della V settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
1Re 8,22-23.27-30
22Poi Salomone si pose davanti all'altare del Signore, di fronte a tutta l'assemblea d'Israele e, stese le mani verso il cielo, 23disse: "Signore, Dio d'Israele, non c'è un Dio come te, né lassù nei cieli né quaggiù sulla terra! Tu mantieni l'alleanza e la fedeltà verso i tuoi servi che camminano davanti a te con tutto il loro cuore. 27Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra? Ecco, i cieli e i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che io ho costruito! 28Volgiti alla preghiera del tuo servo e alla sua supplica, Signore, mio Dio, per ascoltare il grido e la preghiera che il tuo servo oggi innalza davanti a te! 29Siano aperti i tuoi occhi notte e giorno verso questa casa, verso il luogo di cui hai detto: "Lì porrò il mio nome!". Ascolta la preghiera che il tuo servo innalza in questo luogo. 30Ascolta la supplica del tuo servo e del tuo popolo Israele, quando pregheranno in questo luogo. Ascoltali nel luogo della tua dimora, in cielo; ascolta e perdona!
Salmo Responsoriale
Dal Sal 83 (84)
R. Quanto sono amabili, Signore, le tue dimore!
L’anima mia anela
e desidera gli atri del Signore.
Il mio cuore e la mia carne
esultano nel Dio vivente. R.
Anche il passero trova una casa
e la rondine il nido dove porre i suoi piccoli,
presso i tuoi altari, Signore degli eserciti,
mio re e mio Dio. R.
Beato chi abita nella tua casa:
senza fine canta le tue lodi.
Guarda, o Dio, colui che è il nostro scudo,
guarda il volto del tuo consacrato. R.
Sì, è meglio un giorno nei tuoi atri
che mille nella mia casa;
stare sulla soglia della casa del mio Dio
è meglio che abitare nelle tende dei malvagi. R.
Vangelo
Mc 7,1-13
1Si riunirono attorno a lui i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. 2Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate 3- i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi 4e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti -, 5quei farisei e scribi lo interrogarono: "Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?". 6Ed egli rispose loro: "Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. 7Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini. 8Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini". 9E diceva loro: "Siete veramente abili nel rifiutare il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione. 10Mosè infatti disse: Onora tuo padre e tua madre , e: Chi maledice il padre o la madre sia messo a morte. 11Voi invece dite: "Se uno dichiara al padre o alla madre: Ciò con cui dovrei aiutarti è korbàn , cioè offerta a Dio", 12non gli consentite di fare più nulla per il padre o la madre. 13Così annullate la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. E di cose simili ne fate molte".
Note
Il cuore lontano
Proprio quando è venuto il momento tanto atteso di dedicare il tempio di Gerusalemme al Dio di Israele, dopo la gioia della progettazione e la fatica della costruzione, il re Salomone, raccolto in preghiera di fronte a tutto il popolo, sembra vivere un momento di santa e illuminata lucidità. Quei momenti nei quali le parole riescono a trovare i contorni più esatti della realtà, lontano da illusioni e delusioni.
«Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra? Ecco, i cieli e i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che io ho costruito» (1Re 8,27-28).
Nel momento di consegnare le chiavi del santuario al Dio del cielo, Salomone sembra attraversato da una certa esitazione. Non si tratta di parole di circostanza — con le quali, spesso, ci mostriamo umili per non doverci coinvolgere — ma di sincero riconoscimento di quanto il rapporto tra Dio e l’uomo non può che restare asimmetrico, pur essendo libero. Salomone si rende conto che le nostre mani possono solo preparare la strada, non certo contenere il mistero della vita — e della vitalità — del Signore di tutte le cose. Per questo la sua preghiera si conclude con parole di limpida umiltà, che potrebbero essere anticipazione di quelle con cui Gesù insegnerà ai suoi discepoli a pregare il Padre.
«Ascolta nel luogo della tua dimora, in cielo; ascolta e perdona!» (1Re 8,30).
Assai diversa la richiesta che sgorga dal cuore di scribi e farisei venuti proprio da Gerusalemme. Il tempio che essi sono soliti frequentare e il culto che in esso amano praticare hanno cessato di essere una palestra di umiltà e verità. Il loro cuore si è affezionato alle pratiche religiose, più che al fine a cui dovevano tendere: l’amore verso Dio e verso i fratelli. Per questo, escono dalla loro bocca solo parole di giudizio.
«Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?» (Mc 7,5).
Dietro alla difesa dalla pratica della legge e dei suoi innumerevoli precetti, si nasconde il tentativo di giustificare il proprio egoismo. Perché è sempre più facile compiere un gesto di ostentazione (per gli altri) e di rassicurazione (per noi stessi), piuttosto che avventurarsi nel rischio della relazione con l’altro. Che, puntualmente, ci chiede di morire (a noi stessi) e di sciupare un po’ di quello che siamo e abbiamo, affinché l’altro smetta di sentirsi giudicato o, semplicemente, solo. È più facile fingere di vivere a partire dal cuore, piuttosto che ammettere che esso è finito lontano. Da Dio. Quindi pure da noi stessi.
«Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me» (Mc 7,6-8).
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