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Questa indicazione cronologica ricorda il sesto giorno della creazione, in cui Dio crea l’umano, ossia la vigilia del sabato, in cui tutta l’opera della creazione culmina nel riposo. Inoltre, molte indicazioni liturgiche della Bibbia richiamano la fine e il culmine di una festa con questa stessa espressione. In particolare, un’indicazione analoga compare in Es 24, quando Mosè sale sul monte per vedere il Dio di Israele. Il lettore che conosce la Scrittura associa quindi Gesù a Mosè, il cui volto si trasfigura mentre scende dal monte dopo aver contemplato il Signore: la pelle del suo viso era diventata raggiante (cf. Es 34,29-35).
Il verbo metamorfoō (μεταμορφόω) significa “modificare la forma”, al passivo “essere trasformato, trasfigurato”, con riferimento all’agire di Dio. Il greco della Settanta non utilizza questo verbo, ma parla di cambiamento di forma e, in particolare per Mosè, di una “glorificazione” della pelle del suo viso (Es 34,29). Ciò che accade a Gesù ricorda quanto è accaduto a Mosè. Gesù è presentato, quindi, come profeta escatologico, nuovo e ultimo Mosè.
Matteo e Luca seguono l’ordine storico della rivelazione: prima Mosé, poi Elia, che l’esegesi cristiana assocerà alla Legge e ai Profeti. La successione di Marco è significativa: prima Elia, come precursore del Messia secondo il profeta Malachia, poi Mosè, figura del profeta escatologico, secondo il Deuteronomio. In ogni caso, Gesù si distingue sia dall’uno che dall’altro: non è Elia e non è neppure un profeta come gli altri. Resta la domanda che attraversa tutto il Vangelo di Marco: chi è allora Gesù?
Letteralmente, in greco skēnē (σκηνή) vuol dire “tenda”, o “capanna in ebraico” (sukkhot): come Giacobbe dopo l’incontro con l’angelo (Gen 33,17) e Davide in 2Sam7,2, Pietro vuole costruire una casa per ospitare la grandezza che lo sovrasta. In realtà, è Dio che costruisce una casa per i suoi fedeli, una protezione segno della sua bontà. Infatti, sul piano narrativo, viene la nube che, come una tenda, copre con la sua ombra i tre discepoli.
Il termine ekphobos (ἔκφοβος) esprime un timore assoluto. È un termine ricercato, che nella Settanta ricorre solo due volte, di cui una nel Pentateuco, in bocca a Mosè (Dt 9,19). Il vocabolario di Marco sulla paura è il più ricco di tutto il NT. Questo in particolare può essere facilmente accostato al finale in 16,8, quando le donne per paura tacciono l’annuncio della risurrezione. Anche nel racconto della Trasfigurazione, Marco è interessato non solo all’accaduto ma anche alla reazione che i fatti suscitano.
Unica occorrenza del verbo episkiazō (ἐπισκιάζω) in Marco (ma cf. Lc 1,35: la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra, dichiara l’angelo Gabriele a Maria). Nella Settanta il verbo ricorre solo 4 volte, di cui una In Es 40,35 a proposito della nube che dimora nella Tenda. Nell’episodio della Trasfigurazione, la nube svolge la stessa funzione della tenda divina.
Il verbo metamorfoō (μεταμορφόω) significa “modificare la forma”, al passivo “essere trasformato, trasfigurato”, con riferimento all’agire di Dio. Il greco della Settanta non utilizza questo verbo, ma parla di cambiamento di forma e, in particolare per Mosè, di una “glorificazione” della pelle del suo viso (Es 34,29). Ciò che accade a Gesù ricorda quanto è accaduto a Mosè. Gesù è presentato, quindi, come profeta escatologico, nuovo e ultimo Mosè.
Matteo e Luca seguono l’ordine storico della rivelazione: prima Mosé, poi Elia, che l’esegesi cristiana assocerà alla Legge e ai Profeti. La successione di Marco è significativa: prima Elia, come precursore del Messia secondo il profeta Malachia, poi Mosè, figura del profeta escatologico, secondo il Deuteronomio. In ogni caso, Gesù si distingue sia dall’uno che dall’altro: non è Elia e non è neppure un profeta come gli altri. Resta la domanda che attraversa tutto il Vangelo di Marco: chi è allora Gesù?
Letteralmente, in greco skēnē (σκηνή) vuol dire “tenda”, o “capanna in ebraico” (sukkhot): come Giacobbe dopo l’incontro con l’angelo (Gen 33,17) e Davide in 2Sam7,2, Pietro vuole costruire una casa per ospitare la grandezza che lo sovrasta. In realtà, è Dio che costruisce una casa per i suoi fedeli, una protezione segno della sua bontà. Infatti, sul piano narrativo, viene la nube che, come una tenda, copre con la sua ombra i tre discepoli.
Il termine ekphobos (ἔκφοβος) esprime un timore assoluto. È un termine ricercato, che nella Settanta ricorre solo due volte, di cui una nel Pentateuco, in bocca a Mosè (Dt 9,19). Il vocabolario di Marco sulla paura è il più ricco di tutto il NT. Questo in particolare può essere facilmente accostato al finale in 16,8, quando le donne per paura tacciono l’annuncio della risurrezione. Anche nel racconto della Trasfigurazione, Marco è interessato non solo all’accaduto ma anche alla reazione che i fatti suscitano.
Unica occorrenza del verbo episkiazō (ἐπισκιάζω) in Marco (ma cf. Lc 1,35: la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra, dichiara l’angelo Gabriele a Maria). Nella Settanta il verbo ricorre solo 4 volte, di cui una In Es 40,35 a proposito della nube che dimora nella Tenda. Nell’episodio della Trasfigurazione, la nube svolge la stessa funzione della tenda divina.
Commento alla Liturgia
Sabato della VI settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
Gc 3,1-10
1Fratelli miei, non siate in molti a fare da maestri, sapendo che riceveremo un giudizio più severo: 2tutti infatti pecchiamo in molte cose. Se uno non pecca nel parlare, costui è un uomo perfetto, capace di tenere a freno anche tutto il corpo. 3Se mettiamo il morso in bocca ai cavalli perché ci obbediscano, possiamo dirigere anche tutto il loro corpo. 4Ecco, anche le navi, benché siano così grandi e spinte da venti gagliardi, con un piccolissimo timone vengono guidate là dove vuole il pilota. 5Così anche la lingua: è un membro piccolo ma può vantarsi di grandi cose. Ecco: un piccolo fuoco può incendiare una grande foresta! 6Anche la lingua è un fuoco, il mondo del male! La lingua è inserita nelle nostre membra, contagia tutto il corpo e incendia tutta la nostra vita, traendo la sua fiamma dalla Geènna. 7Infatti ogni sorta di bestie e di uccelli, di rettili e di esseri marini sono domati e sono stati domati dall'uomo, 8ma la lingua nessuno la può domare: è un male ribelle, è piena di veleno mortale. 9Con essa benediciamo il Signore e Padre e con essa malediciamo gli uomini fatti a somiglianza di Dio. 10Dalla stessa bocca escono benedizione e maledizione. Non dev'essere così, fratelli miei!
Salmo Responsoriale
Dal Sal 11 (12)
R. Tu, o Signore, ci proteggerai per sempre.
Oppure:
R. Poni sulle mie labbra, o Dio, la tua benedizione.
Salvami, Signore! Non c’è più un uomo giusto;
sono scomparsi i fedeli tra i figli dell’uomo.
Si dicono menzogne l’uno all’altro,
labbra adulatrici parlano con cuore doppio. R.
Recida il Signore le labbra adulatrici,
la lingua che vanta imprese grandiose,
quanti dicono: «Con la nostra lingua siamo forti,
le nostre labbra sono con noi:
chi sarà il nostro padrone?». R.
Le parole del Signore sono parole pure,
argento separato dalle scorie nel crogiuolo,
raffinato sette volte.
Tu, o Signore, le manterrai,
ci proteggerai da questa gente, per sempre. R.
Vangelo
Mc 9,1-12
1Diceva loro: "In verità io vi dico: vi sono alcuni, qui presenti, che non morranno prima di aver visto giungere il regno di Dio nella sua potenza". 2Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro 3e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. 4E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. 5Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: "Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia". 6Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. 7Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: "Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!". 8E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. 9Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risorto dai morti. 10Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti. 11E lo interrogavano: "Perché gli scribi dicono che prima deve venire Elia ?". 12Egli rispose loro: "Sì, prima viene Elia e ristabilisce ogni cosa; ma, come sta scritto del Figlio dell'uomo? Che deve soffrire molto ed essere disprezzato.
Note
Maestri?
L’esortazione di Giacomo è un ottimo aiuto per accogliere il mistero della trasfigurazione:
«non siate in molti a fare da maestri, sapendo che riceveremo un giudizio più severo» (Gc 3,1).
Sul monte, il Signore Gesù si rivela ai suoi discepoli nella veste splendida del suo essere prima di tutto e soprattutto il «Figlio» e «l’amato» (Mc 9,7). Quando la voce del Padre invita non solo i tre discepoli, ma forse persino Elìa e Mosè e, naturalmente, tutti noi con quel solenne «ascoltatelo», ci chiede di aprire fino in fondo gli occhi della nostra mente e del nostro cuore sul mistero che risplende sul volto di Cristo e ci domanda di lasciarci illuminare dalla sua luce, fino a cercare di diventargli conformi. Sul monte, la trasfigurazione diventa rivelazione di che cosa dobbiamo imparare e di che cosa invece siamo chiamati a disimparare:
«deve soffrire molto ed essere disprezzato» (Mc 9,12).
Persino il riferimento a Giovanni viene rivisitato dal Signore Gesù facendone il precursore non più della gloria e della giustizia divine (cfr. Mal 3) ma della divina consegna nelle nostre mani: «Io però vi dico che Elìa è già venuto e gli hanno fatto quello che hanno voluto, come sta scritto di lui» (9,13). La domanda si fa legittima: dove sta scritto ciò che il Signore Gesù dice che sta scritto del Battista?
Lo spiega in un commento particolarmente approfondito e toccante Benoit Standaert, che ritiene siamo di fronte al «vero centro di tutto il racconto evangelico», poiché «si può vedere che esso riunisce alla perfezione tutte le linee che attraversano il vangelo fin dal prologo e riafferma a suo modo l’unità delle due idee principali: in questo Figlio d’uomo si compie la pienezza messianica e questa pienezza deve, secondo le Scritture, passare attraverso un destino di sofferenze. Questo vale per lui, per il suo precursore e per chiunque voglia seguirlo» e la motivazione è tanto chiara quanto tutta da intuire e scoprire nel segreto e nel concreto della vita: «Poiché così è scritto» (B. STANDAERT, Marco. Vangelo di una notte vangelo per la vita, Dehoniane, Bologna 2011, vol. 2, p. 501).
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