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Il termine greco tradotto con “gratitudine” è chàris (χάρις), che in questo caso non ha un significato teologico, e per questo non è tradotto con “grazia”. Nei testi sapienziali, risalenti all’epoca giudeo-ellenistica, ricorre con il significato di “servizio reso in cambio, favore reso”. Luca non abbandona, quindi, l’antico principio di reciprocità, ma lo traspone dal piano interpersonale a quello del rapporto tra Dio e l’uomo. Operando una rottura con la reciprocità calcolatrice per amare i nemici, si può ricevere una grazia (qui in senso teologico!) da Dio: l’adozione a figli.
Questo versetto sembra rimandare all’affermazione teologica, rara nell’Antico Testamento, dell’imitazione di Dio (“siate misericordiosi come il Padre vostro”, cf. Lv 19.2). Nella Bibbia dei LXX il termine oiktìrmōn (οἰκτίρμων), “compassionevole, misericordioso”, è usato per lo più in riferimento a Dio, insieme all’altro principale attributo che è la santità. Luca evangelista sceglie la misericordia come fondamento teologico del comportamento cristiano.
Commento alla Liturgia
VII Domenica Tempo Ordinario
Prima lettura
1Sam 26,2.7-9.12-13.22-23
2Saul si mosse e scese nel deserto di Zif, conducendo con sé tremila uomini scelti d'Israele, per ricercare Davide nel deserto di Zif. 7Davide e Abisài scesero tra quella gente di notte, ed ecco Saul dormiva profondamente tra i carriaggi e la sua lancia era infissa a terra presso il suo capo, mentre Abner con la truppa dormiva all'intorno. 8Abisài disse a Davide: "Oggi Dio ti ha messo nelle mani il tuo nemico. Lascia dunque che io l'inchiodi a terra con la lancia in un sol colpo e non aggiungerò il secondo". 9Ma Davide disse ad Abisài: "Non ucciderlo! Chi mai ha messo la mano sul consacrato del Signore ed è rimasto impunito?". 12Così Davide portò via la lancia e la brocca dell'acqua che era presso il capo di Saul e tutti e due se ne andarono; nessuno vide, nessuno se ne accorse, nessuno si svegliò: tutti dormivano, perché era venuto su di loro un torpore mandato dal Signore. 13Davide passò dall'altro lato e si fermò lontano sulla cima del monte; vi era una grande distanza tra loro. 22Rispose Davide: "Ecco la lancia del re: passi qui uno dei servitori e la prenda! 23Il Signore renderà a ciascuno secondo la sua giustizia e la sua fedeltà, dal momento che oggi il Signore ti aveva messo nelle mie mani e non ho voluto stendere la mano sul consacrato del Signore.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 102 (103)
R. Il Signore è buono e grande nell'amore.
Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tutti i suoi benefici. R.
Egli perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue infermità;
salva dalla fossa la tua vita,
ti circonda di bontà e misericordia. R.
Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Non ci tratta secondo i nostri peccati,
non ci ripaga secondo le nostre colpe. R.
Come dista l’oriente dall’occidente,
così egli allontana da noi le nostre colpe.
Come è tenero un padre verso i figli,
così il Signore è tenero
verso quelli che lo temono. R.
Seconda Lettura
1Cor 15,45-49
45il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l'ultimo Adamo divenne spirito datore di vita. 46Non vi fu prima il corpo spirituale, ma quello animale, e poi lo spirituale. 47Il primo uomo, tratto dalla terra, è fatto di terra; il secondo uomo viene dal cielo. 48Come è l'uomo terreno, così sono quelli di terra; e come è l'uomo celeste, così anche i celesti. 49E come eravamo simili all'uomo terreno, così saremo simili all'uomo celeste.
Vangelo
Lc 6,27-38
27Ma a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, 28benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. 29A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l'altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. 30Da' a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro. 31E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. 32Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. 33E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. 34E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. 35Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell'Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi. 36Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. 37Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. 38Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio".
Note
Approfondimenti
Questo versetto solleva un problema vitale: è possibile amare i propri nemici? La possibilità si basa anzitutto sull’iniziativa di Dio – “perché egli è benevolo” – che per primo ha amato noi, “suoi nemici”. Dunque non si tratta di imitarlo, ma di agire all'interno di un rapporto reciproco.
Inoltre, Gesù che enuncia questo imperativo lo ha compiuto di persona. Amare i propri nemici significa, quindi, camminare sulle sue tracce.
Ancora, pur accompagnato dalla promessa della più alta delle ricompense che si possano sperare, l’amore dei nemici non si esaurisce in un sistema di retribuzioni individuali, ma agisce a favore dell’altro, per conquistarlo al vangelo.
In altre parole, la buona comprensione dell’amore ai nemici non è quella bipolare, ma quella che include un terzo polo vivente: Gesù che ci parla e preventivamente ci ama.
Simili
In questa domenica, lasciando maturare tutte le conseguenze del manifesto programmatico – e profetico – delle beatitudini, il Signore ci tocca con una parola in grado di intercettare e sollecitare le corde più delicate del nostro cammino come discepoli:
«Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono» (Lc 6,27).
L’invito a mantenere uno sguardo di speranza nei confronti dell’altro, anche quando la sua vita si mostra in modo palese contro la nostra, risuona sempre molto, troppo impegnativo per la nostra sensibilità, al punto da sentirci quasi scoraggiati prima ancora di provare a metterlo in pratica.
Forse, ciò che maggiormente crea un senso di panico nell’ascolto di questa Parola non è tanto la sua impossibilità a realizzarsi nella nostra vita, quanto il rischio di perdere il controllo se scegliamo di esporci a una trasformazione di tutto il nostro modo di essere e di sentire:
«E come eravamo simili all’uomo terreno, così saremo simili all’uomo celeste» (1Cor 15,45).
La riflessione che Paolo elabora, ponendo a confronto «il primo uomo» (Adamo) con «il secondo uomo» (Cristo), diventa l’occasione di domandarci con quanta serietà stiamo assumendo la responsabilità del nostro battesimo, dove è stata inaugurata un’umanità nuova, il cui criterio di riferimento non può essere solo il nostro sentire, ma anche la potenza d’amore di Dio e la forza rigenerante del suo Spirito.
La narrazione offerta dalla liturgia come prima lettura è un ulteriore elemento di riflessione, perché ci segnala come l’amore per il nemico sia una scelta possibile nella misura in cui osserviamo l’altro non solo a partire dal nostro bisogno, ma anche dalla sua relazione con l’Altissimo:
«Non ucciderlo! Chi mai ha messo la mano sul consacrato del Signore ed è rimasto impunito?» (1Sam 26,9).
Davide avrebbe l’occasione – e forse anche il diritto – di farsi giustizia contro il suo avversario (Saul), il quale «dormiva profondamente tra i carriaggi e la sua lancia era infissa a terra presso il suo capo» (26,7). È questo il modo con cui Abisài interpreta la circostanza in cui sembra che la provvidenza abbia disposto le cose in favore di Davide: «Oggi Dio ti ha messo nelle mani il tuo nemico» (26,8).
Eppure, proprio quando il nostro «nemico» è alla portata delle nostre mani, abbiamo finalmente la possibilità di compiere l’incessante passaggio dall’uomo «fatto di terra» verso «l’uomo» nuovo che «viene dal cielo» (1Cor 15,47), gustando l’unica ricompensa di una vita riconosciuta e amata dal Padre celeste:
«Amate i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi» (Lc 6,35).
Davide scopre di avere dentro di sé i tratti essenziali di questa regalità – prima ancora di ricevere lo scettro di Giuda e di Israele (cf. 2Sam 5) – nel momento in cui decide di non «stendere la mano» sull’altro anche se «nessuno» poteva accorgersene: «Tutti dormivano, perché era venuto su di loro un torpore mandato dal Signore» (1Sam 26,12). Il futuro re di Israele intuisce che un atto di violenza non sarebbe altro che l’illusione di rimuovere l’evidenza e la differenza dell’altro. Davide rifiuta la proposta di Abisài lasciando che sia il Signore – con i suoi tempi – a valutare e a giudicare ogni cosa secondo la sua giustizia: «Lascia dunque che io l’inchiodi a terra con la lancia in un sol colpo e non aggiungerò il secondo» (26,8). In realtà, la terra da cui tutti siamo stati tratti è il luogo in cui non conviene inchiodare nessuno, ma a cui possiamo farci inchiodare dalla logica dell’amore più grande, fino a diventare simili al Signore «buono e grande nell’amore»: egli «non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe» (salmo responsoriale).
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