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Questa espressione approfondisce la prospettiva escatologica, introdotta dalla citazione della “ricompensa” al v. 41, che invoca una crescita del discepolo nella vita dello Spirito. Il passaggio dalla “vita” al “regno di Dio” al v. 47 conferma che entrare in questo regno non significa accedere a uno spazio geografico, ma entrare nella vita eterna, quella che Dio dona: la vita nello Spirito, la vita dei figli, la vita dei piccoli che hanno fiducia in Dio.
Questa espressione approfondisce la prospettiva escatologica, introdotta dalla citazione della “ricompensa” al v. 41, che invoca una crescita del discepolo nella vita dello Spirito. Il passaggio dalla “vita” al “regno di Dio” al v. 47 conferma che entrare in questo regno non significa accedere a uno spazio geografico, ma entrare nella vita eterna, quella che Dio dona: la vita nello Spirito, la vita dei figli, la vita dei piccoli che hanno fiducia in Dio.
Commento alla Liturgia
Giovedì della VII settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
Gc 5,1-6
1E ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che cadranno su di voi! 2Le vostre ricchezze sono marce, 3i vostri vestiti sono mangiati dalle tarme. Il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si alzerà ad accusarvi e divorerà le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni! 4Ecco, il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre, e che voi non avete pagato, grida, e le proteste dei mietitori sono giunte agli orecchi del Signore onnipotente. 5Sulla terra avete vissuto in mezzo a piaceri e delizie, e vi siete ingrassati per il giorno della strage. 6Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non vi ha opposto resistenza.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 48 (49)
R. Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Questa è la via di chi confida in se stesso,
la fine di chi si compiace dei propri discorsi.
Come pecore sono destinati agli inferi,
sarà loro pastore la morte. R.
Scenderanno a precipizio nel sepolcro,
svanirà di loro ogni traccia,
gli inferi saranno la loro dimora.
Certo, Dio riscatterà la mia vita,
mi strapperà dalla mano degli inferi. R.
Non temere se un uomo arricchisce,
se aumenta la gloria della sua casa.
Quando muore, infatti, con sé non porta nulla
né scende con lui la sua gloria. R.
Anche se da vivo benediceva se stesso:
«Si congratuleranno, perché ti è andata bene»,
andrà con la generazione dei suoi padri,
che non vedranno mai più la luce. R.
Vangelo
Mc 9,41-50
41Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa. 42Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. 43Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. [ 44] 45E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. [ 46] 47E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, 48dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue. 49Ognuno infatti sarà salato con il fuoco. 50Buona cosa è il sale; ma se il sale diventa insipido, con che cosa gli darete sapore? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri".
Note
Approfondimenti
La fiducia nella forza del nome è molto antica nelle religioni e Israele la associa al nome di Dio. In questa pericope di Marco ne troviamo tre occorrenze ravvicinate con l’espressione “nel nome di” riferita a Gesù in qualità di Maestro e di Cristo.
Si possono notare due diverse sfumature: strumentale nei v. 38.41 con la preposizione “in” (en tō onòmati, ἐν τῷ ὀνόματί), di fondamento su cui ci si basa nel v. 39 con la preposizione “su” (epì tō onòmati, ἐπὶ τῷ ὀνόματί).
Il tema sottostante è la relazione fra confessione cristologica (“nel nome di Cristo”) e appartenenza ecclesiale: il Gesù di Marco mostra una fiducia nel Nome come forza che opera il bene al di là della comunità. Letteralmente, al v. 41 si legge “nel nome del fatto che voi siete di Cristo”, “a titolo di” discepoli del Messia, a conferma che il criterio dell’appartenenza non è ecclesiologico ma cristologico.
Fortunato?
Il salmo che accompagna le due letture di questa giornata non è tra quelli che si usano spesso nella preghiera liturgica, eppure è un testo che può aiutare molto nella vita, per non cadere nella trappola di una presunzione che snatura le relazioni. Prima di tutto il salmo ci offre un criterio affinché non ci inganniamo nel giusto apprezzamento di quelli che sono i beni della terra:
«Se vedi un uomo arricchirsi non temere, se aumenta la gloria della sua casa. Quando muore con sé non porta nulla, né scende con lui la sua gloria» (Sal 48,17-18).
Un testo cui fa eco la sapienza popolare che, davanti alla ricchezza talora sfacciata, reagisce dicendo: «non se la porterà mica nella tomba». Inoltre il salmo aiuta a rivedere il criterio di felicità e a rettificarlo: «Nella sua vita si diceva fortunato… andrà con la generazione dei suoi padri che non vedranno mai più la luce» (48,19-20). Mentre il salmo cerca di comunicarci una certa sapienza, illuminando e raddrizzando i nostri criteri di discernimento, ripetiamo un testo fondamentale del vangelo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli».
Del numero di questi «poveri» fanno parte i discepoli del Signore, del cui numero vorremmo far parte. Ed è a noi che il Signore Gesù si rivolge dicendo:
«Chiunque vi darà da bere un bicchiere di acqua nel mio nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa» (Mc 9,41).
Essere fortunati, nella logica del vangelo, non significa non avere bisogno di niente e di nessuno, bensì di poter vivere il proprio bisogno come luogo di crescita nella relazione. In questo senso, la parola tagliente e infuocata dell’apostolo Giacomo ci tocca direttamente e non ci permette scappatoie: «Eccomi ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che vi sovrastano!» (Gc 5,1). C’è infatti una sciagura più grande di quella di illudersi di non avere bisogno di «un bicchiere di acqua?! (Mc 9,41). Cosa c’è di più terribile che cedere alla tentazione di un dorato isolamento che, in realtà, significa morire?
In questo senso, le parole così forti del Signore Gesù, che chiede al discepolo persino di diventare «monco» (9,44) e addirittura «zoppo» (9,45) o «cieco» (9,46) pur di non estraniarsi da «questi piccoli che credono» (9,42) credendosi a loro superiore, non è un estremo rimedio per mali estremi, ma la guida sapiente per le scelte di ogni giorno, in cui siamo chiamati a condire la nostra vita con il «sale» (9,50) della sapienza. Il Signore Gesù ci dà un criterio per discernere il livello di gusto raggiunto dalla nostra esistenza di persone e di credenti, un criterio che è il dono raffinato nel suo stesso mistero pasquale: «siate in pace gli uni con gli altri». Solo così di ciascuno di noi si potrà dire in verità: «ma che fortunato!».
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