La fiducia nella forza del nome è molto antica nelle religioni e Israele la associa al nome di Dio. In questa pericope di Marco ne troviamo tre occorrenze ravvicinate con l’espressione “nel nome di” riferita a Gesù in qualità di Maestro e di Cristo.
Si possono notare due diverse sfumature: strumentale nei v. 38.41 con la preposizione “in” (en tō onòmati, ἐν τῷ ὀνόματί), di fondamento su cui ci si basa nel v. 39 con la preposizione “su” (epì tō onòmati, ἐπὶ τῷ ὀνόματί).
Il tema sottostante è la relazione fra confessione cristologica (“nel nome di Cristo”) e appartenenza ecclesiale: il Gesù di Marco mostra una fiducia nel Nome come forza che opera il bene al di là della comunità. Letteralmente, al v. 41 si legge “nel nome del fatto che voi siete di Cristo”, “a titolo di” discepoli del Messia, a conferma che il criterio dell’appartenenza non è ecclesiologico ma cristologico.
Commento alla Liturgia
Mercoledì della VII settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
Gc 4,13-17
13E ora a voi, che dite: "Oggi o domani andremo nella tal città e vi passeremo un anno e faremo affari e guadagni", 14mentre non sapete quale sarà domani la vostra vita! Siete come vapore che appare per un istante e poi scompare. 15Dovreste dire invece: "Se il Signore vorrà, vivremo e faremo questo o quello". 16Ora invece vi vantate nella vostra arroganza; ogni vanto di questo genere è iniquo. 17Chi dunque sa fare il bene e non lo fa, commette peccato.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 48 (49)
R. Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Ascoltate questo, popoli tutti,
porgete l’orecchio, voi tutti abitanti del mondo,
voi, gente del popolo e nobili,
ricchi e poveri insieme. R.
Perché dovrò temere nei giorni del male,
quando mi circonda la malizia
di quelli che mi fanno inciampare?
Essi confidano nella loro forza,
si vantano della loro grande ricchezza. R.
Certo, l’uomo non può riscattare se stesso
né pagare a Dio il proprio prezzo.
Troppo caro sarebbe il riscatto di una vita:
non sarà mai sufficiente
per vivere senza fine e non vedere la fossa. R.
Vedrai infatti morire i sapienti;
periranno insieme lo stolto e l’insensato
e lasceranno ad altri le loro ricchezze. R.
Vangelo
Mc 9,38-40
38Giovanni gli disse: "Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva". 39Ma Gesù disse: "Non glielo impedite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: 40chi non è contro di noi è per noi.
Approfondimenti
La fiducia nella forza del nome è molto antica nelle religioni e Israele la associa al nome di Dio. In questa pericope di Marco ne troviamo tre occorrenze ravvicinate con l’espressione “nel nome di” riferita a Gesù in qualità di Maestro e di Cristo.
Si possono notare due diverse sfumature: strumentale nei v. 38.41 con la preposizione “in” (en tō onòmati, ἐν τῷ ὀνόματί), di fondamento su cui ci si basa nel v. 39 con la preposizione “su” (epì tō onòmati, ἐπὶ τῷ ὀνόματί).
Il tema sottostante è la relazione fra confessione cristologica (“nel nome di Cristo”) e appartenenza ecclesiale: il Gesù di Marco mostra una fiducia nel Nome come forza che opera il bene al di là della comunità. Letteralmente, al v. 41 si legge “nel nome del fatto che voi siete di Cristo”, “a titolo di” discepoli del Messia, a conferma che il criterio dell’appartenenza non è ecclesiologico ma cristologico.
La fiducia nella forza del nome è molto antica nelle religioni e Israele la associa al nome di Dio. In questa pericope di Marco ne troviamo tre occorrenze ravvicinate con l’espressione “nel nome di” riferita a Gesù in qualità di Maestro e di Cristo.
Si possono notare due diverse sfumature: strumentale nei v. 38.41 con la preposizione “in” (en tō onòmati, ἐν τῷ ὀνόματί), di fondamento su cui ci si basa nel v. 39 con la preposizione “su” (epì tō onòmati, ἐπὶ τῷ ὀνόματί).
Il tema sottostante è la relazione fra confessione cristologica (“nel nome di Cristo”) e appartenenza ecclesiale: il Gesù di Marco mostra una fiducia nel Nome come forza che opera il bene al di là della comunità. Letteralmente, al v. 41 si legge “nel nome del fatto che voi siete di Cristo”, “a titolo di” discepoli del Messia, a conferma che il criterio dell’appartenenza non è ecclesiologico ma cristologico.
Vapore
Le parole che l’apostolo Giacomo rivolge ai suoi lettori-ascoltatori sembrano nate proprio alla sequela del Signore Gesù. Infatti l’apostolo dice con forza:
«ma che è mai la vostra vita? Siete come vapore che appare per un istante e poi scompare» (Gc 4,14).
L’apostolo Giovanni fa una certa fatica a capire che la vicinanza con il Signore non fa maturare dei diritti o dei privilegi tali da permettere di guardare gli altri dall’alto in basso e con un certo disprezzo misto a supponenza. Forte della sua intimità con il Signore, ritiene di avere così guadagnato una sorta di diritto a valutare il livello di vicinanza degli altri al Maestro, a partire da se stesso e dai suoi condiscepoli… in una parola, a partire dal gruppo e scadendo – più o meno inavvertitamente – nella deriva settaria:
«abbiamo visto uno che scacciava i demòni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito, perché non era dei nostri» (Mc 9,38).
Non passa di certo inosservato il fatto che Giovanni e gli altri discepoli “informano” il loro Maestro a cose fatte, e questo proprio per quel senso di sicurezza, misto a supponenza, che è proprio di coloro che si sentono in una situazione di privilegio a motivo della loro frequentazione di persone di alto rango. Il Signore Gesù non si lascia intimidire dall’ingenua superbia dei suoi discepoli e non ha nessun timore a redarguire con forza, ribadendo la centralità del suo criterio di valutazione che è , per sua natura, inclusivo e non esclusivo:
«Non glielo proibite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me» (Mc 9,39).
Questa parola del Signore ha una forza e una bellezza magnifiche, perché non si fonda su una verifica, bensì su una evidenza: se uno agisce come il Signore, non può che essere del Signore persino in una sorta di ignoranza di lui. È come se il Maestro lasciasse, a questi tali redarguiti e, in certo modo, perseguitati dai suoi discepoli, tutta la libertà di andare per la loro strada senza neanche cercare di stabilire un contatto più diretto con loro per chiarire e verificare. Il Signore Gesù sembra dire: se agiscono «nel mio nome», prima o poi la loro strada si incontrerà con la mia senza che ci sia bisogno di agire con pressioni o di indulgere a repressioni.
Il rischio per chi si sente troppo vicino al Signore, e quasi garantito, non solo della sua amicizia, ma anche dalla sua amicizia, è quello di cominciare a fare progetti, ragionamenti, pianificazioni che, prima o poi, fanno maturare delle esclusioni:
«Oggi o domani andremo nella tale città e vi passeremo un anno e faremo affari e guadagni…» (Gc 4,13).
Questo tipo di discorsi può anche riguardare la sensibilità spirituale e le strategie pastorali. In ogni modo - e sempre - prima di impedire a chicchessia qualunque cosa, ricordiamo, custodiamo e lasciamoci guidare dalla parola del Signore Gesù: «Chi non è contro di noi, è per noi» (Mc 9,40). Lasciamoci addomesticare dalla parola dell’apostolo:
«Chi dunque sa fare il bene e non lo compie, commette peccato» (Gc 4,17)
con la conseguenza che il fatto di non permettere agli altri di «fare il bene» che sanno compiere risulta essere un peccato ancora più grande.
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