Commento alla Liturgia

Martedì della VIII settimana di Tempo Ordinario

Prima lettura

1Pt 1,10-16

10Su questa salvezza indagarono e scrutarono i profeti, che preannunciavano la grazia a voi destinata; 11essi cercavano di sapere quale momento o quali circostanze indicasse lo Spirito di Cristo che era in loro, quando prediceva le sofferenze destinate a Cristo e le glorie che le avrebbero seguite. 12A loro fu rivelato che, non per se stessi, ma per voi erano servitori di quelle cose che ora vi sono annunciate per mezzo di coloro che vi hanno portato il Vangelo mediante lo Spirito Santo, mandato dal cielo: cose nelle quali gli angeli desiderano fissare lo sguardo. 13Perciò, cingendo i fianchi della vostra mente e restando sobri, ponete tutta la vostra speranza in quella grazia che vi sarà data quando Gesù Cristo si manifesterà. 14Come figli obbedienti, non conformatevi ai desideri di un tempo, quando eravate nell'ignoranza, 15ma, come il Santo che vi ha chiamati, diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta. 16Poiché sta scritto: Sarete santi, perché io sono santo.

Salmo Responsoriale

Dal Sal 97 (98)

R. Il Signore ha rivelato la sua giustizia.

Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo. R.

Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa d’Israele. R.

Tutti i confini della terra hanno veduto
la vittoria del nostro Dio.
Acclami il Signore tutta la terra,
gridate, esultate, cantate inni! R.

Vangelo

Mc 10,28-31

28Pietro allora prese a dirgli: "Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito". 29Gesù gli rispose: "In verità io vi dico: non c'è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, 30che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà. 31Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi saranno primi".

Commento alla Liturgia

Porre speranza

Roberto Pasolini

Le parole con cui Pietro cerca di portare se stesso e gli altri discepoli fuori dall’imbarazzo che si è creato dopo l’episodio del tale ricco (cf. Mc 10,17-27) non sembrano essere tanto un’affermazione, quanto la ricerca di una certa conferma o, meglio ancora, di una rassicurazione riguardo alla bontà della sequela di Cristo:

«Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito» (Mc 10,28).

Forse potrebbe non essere fuori luogo un punto di domanda al termine di queste parole, così cariche di tensione e intrise di perplessità. Anzi, potremmo cogliere in questa frase persino una certa rivendicazione nei confronti di un itinerario spirituale che, più matura e si approfondisce, più diventa paradossale e spiazzante.
Gesù sembra intuire questo sentimento e lo sfida a viso aperto, rispondendo con un pizzico di solennità a Pietro e a ogni discepolo che, lungo il suo cammino, scopre dentro di sé il brivido della medesima perplessità:

«In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà» (Mc 10,29-30).

Essere discepoli del Signore non significa compiere un’eroica rinuncia nei confronti di tutte quelle cose che il mondo e la vita ci offrono come possibilità, sebbene in ogni scelta di vita siano previste e necessarie tante mancanze. Abbracciare la parola del Vangelo deve avere come primaria intenzione il desiderio di entrare in un mondo di relazioni allargate, poiché tutte originate dall’amore del Padre, nelle quali possiamo imparare a scoprirci figli e a riconoscerci fratelli. Gesù ribadisce che accogliere il Regno non significa lasciare nulla, se non in vista di un incremento di vita da ricevere e da restituire nella libertà.
Certo, il prezzo da pagare per una vita così ricca e inclusiva è quello di accettare continuamente il rovesciamento dei parametri che non sono ancora compatibili con la logica dell’amore più grande, secondo il quale «molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi saranno primi» (10,31). Inoltre, non deve sfuggire la memoria che il privilegio di un discepolo di Cristo non può mai coincidere con una logica di esenzione, semmai di consapevole assunzione del servizio agli altri come scelta libera e unilaterale.
La fiamma di questo desiderio, afferma l’apostolo Pietro, era già presente nel cuore e nella voce dei profeti:

«A loro fu rivelato che, non per se stessi, ma per voi erano servitori di quelle cose che ora vi sono annunciate per mezzo di coloro che vi hanno portato il Vangelo mediante lo Spirito Santo, mandato dal cielo» (1Pt 1,12).

Se vogliamo affrancarci dai ritmi e dai pesi di una vita ancora troppo concentrata su noi stessi, è necessario circoncidere continuamente la nostra facoltà di pensiero e la nostra abitudine a rifugiarci nello spazio dell’immaginazione: «Perciò cingendo i fianchi e restando sobri, ponete tutta la vostra speranza in quella grazia che vi sarà data quando Gesù Cristo si manifesterà» (1,13).
L’attesa escatologica degli ultimi giorni, di cui il ritorno del Signore è la massima espressione, non è affatto un modo per fuggire dal mondo, e sottrarsi dal peso delle responsabilità e dalla complessità della vita. È invece l’unico modo per riporre la nostra speranza della vita eterna in quel frutto di giustizia che Dio, nel suo Figlio morto e risorto, ha voluto destinare non soltanto a noi, ma a tutti i fratelli e sorelle a cui la nostra vita è inviata come umile testimonianza:

«Tutti i confini della terra hanno veduto la vittoria del nostro Dio. Acclami il Signore tutta la terra, gridate, esultate, cantate inni!» (Sal 97,3-4).

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L’espressione zōēn aiōnion (ζωὴν αἰώνιον), collocata all’inizio e alla fine della pericope, genera un’inclusione significativa. Con queste parole si intende la vita del tempo futuro, una vita duratura e sovrabbondante, il compimento dell’esistenza. In Marco e nella lettera di San Paolo a Tito si dice che questa vita “si riceve”, “si eredita”, che vi si “entra” e che è oggetto di speranza. Tra il v. 17 e il v. 30 l’evangelista sviluppa il paradosso dell’esperienza cristiana matura: dal “fare” per ottenere al “lasciare” per assistere a una sorprendente crescita, che include sofferenze e persecuzioni.

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