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Declinato al passivo, il verbo σῴζω (sòzo) indica il carattere decisivo della salvezza, quello di essere dono di un altro, cioè di Dio, la cui azione salvifica è espressa spesso con il cosiddetto “passivo divino”. I due verbi che lo affiancano – credere e essere battezzati – riprendono l’inizio del Vangelo di Marco per sottolineare che la salvezza si riceve dentro una relazione personale con il Cristo, ormai risorto. E nella relazione con lui “essere salvati” vuol dire che i limiti non possono più nuocere ma diventano segni – strumenti e occasioni – di un’eccedenza che ciascun credente porta in sé.
Commento alla Liturgia
S. Marco Ev.
Prima lettura
1Pt 5,5b-14
5Anche voi, giovani, siate sottomessi agli anziani. Rivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri, perché Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili. 6Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, affinché vi esalti al tempo opportuno, 7riversando su di lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi. 8Siate sobri, vegliate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare. 9Resistetegli saldi nella fede, sapendo che le medesime sofferenze sono imposte ai vostri fratelli sparsi per il mondo. 10E il Dio di ogni grazia, il quale vi ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo Gesù, egli stesso, dopo che avrete un poco sofferto, vi ristabilirà, vi confermerà, vi rafforzerà, vi darà solide fondamenta. 11A lui la potenza nei secoli. Amen! 12Vi ho scritto brevemente per mezzo di Silvano, che io ritengo fratello fedele, per esortarvi e attestarvi che questa è la vera grazia di Dio. In essa state saldi! 13Vi saluta la comunità che vive in Babilonia e anche Marco, figlio mio. 14Salutatevi l'un l'altro con un bacio d'amore fraterno. Pace a voi tutti che siete in Cristo!
Salmo Responsoriale
Dal Sal 88(89)
R. Canterò in eterno l'amore del Signore.
Canterò in eterno l'amore del Signore,
di generazione in generazione
farò conoscere con la mia bocca la tua fedeltà,
perché ho detto: «È un amore edificato per sempre;
nel cielo rendi stabile la tua fedeltà». R.
I cieli cantano le tue meraviglie, Signore,
la tua fedeltà nell'assemblea dei santi.
Chi sulle nubi è uguale al Signore,
chi è simile al Signore tra i figli degli dèi? R.
Beato il popolo che ti sa acclamare:
camminerà, Signore, alla luce del tuo volto;
esulta tutto il giorno nel tuo nome,
si esalta nella tua giustizia. R.
Vangelo
Mc 16,15-20
15E disse loro: "Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. 16Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. 17Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, 18prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno". 19Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. 20Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.
Note
Più che autentico
Gli ultimi versetti del vangelo di Marco, che la chiesa ascolta nel giorno della sua festa liturgica, non sono stati scritti dal medesimo autore del secondo vangelo. Il lessico, la sintassi, l’incedere narrativo: tutto lascia pensare che un diverso autore abbia sentito l’esigenza di aggiungere al secondo vangelo un finale che risolvesse la sua apparente incompiutezza: «(Le donne) uscirono e fuggirono via dal sepolcro, perché erano piene di spavento e di stupore. E non dissero niente a nessuno, perché erano impaurite» (Mc 16,8). Le ragioni per cui Marco (non) chiude la sua narrazione, lasciando il lettore con questa sconcertante “disobbedienza” delle donne all’invito di portare l’annuncio della Pasqua ai discepoli, non possono essere stabilite con certezza. Due ipotesi, tuttavia, sembrano più che verosimili: la volontà di non “appiattire” il più antico documento scritto sul mistero di Gesù Cristo all’ovvietà di una “buona notizia” e la possibile cornice liturgica del vangelo di Marco nella prassi della primitiva chiesa. In parole più semplici, Marco avrebbe lasciato il suo libro “aperto” sia per favorire il coinvolgimento del lettore/ascoltatore, sia perché la sua lettura si collocava all’interno di ampie liturgie che, con tutta probabilità, prevedevano anche altri momenti celebrativi e riti sacramentali. Quando, poi, l’esperienza e la prassi della Chiesa sono mutate, può essere sorta la necessità di “aggiungere” un secondo finale al libro di Marco per uniformarlo al contenuto e alla prospettiva degli altri vangeli.
In tal modo, il secondo vangelo ha acquisito un “secondo” finale — considerato dalla chiesa ispirato e quindi «utile per insegnare, convincere, correggere ed educare» (2Tm 3,16) — che conferisce al racconto marciano una nuova connotazione missionaria:
«In quel tempo Gesù apparve agli Undici e disse loro: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato”» (Mc 16,15-16).
A partire dalla realtà di questa inserzione inautentica eppure ispirata, possiamo riflettere su quale sia la «vera grazia di Dio» (1Pt 5,12). Uno dei più bei frutti della pasqua del Signore, infatti, non è tanto il potenziamento della nostra umanità, ma la possibilità di assumere il mistero della nostra vita in pienezza, con tutte le sue luci e le sue ombre. Dopo la risurrezione di Cristo, non tutte le cose vere sono — né tantomeno devono essere — necessariamente autentiche. «Sotto la potente mano di Dio» (5,6), ogni cosa può essere assunta e integrata nel disegno di salvezza, nella misura in cui viene accolta nella comunione della chiesa e resa partecipe del corpo di Cristo.
Non c’è dunque alcuna imprecisione “teologica” nell’assumere oggi come vangelo l’unico testo che, con molta probabilità, non è stato scritto dall’evangelista Marco. Le «solide fondamenta» (5,11) del Regno di Dio, che siamo chiamati ad annunciare e testimoniare, non coincidono con l’esattezza delle motivazioni e l’inerranza delle fonti, ma con quell’umiltà capace di avvolgere e permeare tutto ciò che si lascia trasformare nel deposito della fede:
«Carissimi, rivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri, perché Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili» (1Pt 5,5).
Del resto, l’umiltà è una misura di bellezza e di verità più convincente di ogni esattezza, perché essa non cerca mai il proprio interesse, ma sempre l’affermazione dell’altro. Ne erano pervasi i primi testimoni della Risurrezione, per nulla preoccupati di avere i documenti esatti della Pasqua, ma di esserne gioiosamente inebriati:
«Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano» (Mc 16,20).
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