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Prima occorrenza del sostantivo ypokritēs (ὑποκριτής) nel Vangelo di Matteo, esso rimanda all’associazione tra ipocrisia e ingiustizia, per cui ipocrita è chi rispetta la Torah solo in apparenza. Il termine contiene il verbo krìnō (κρίνω), che nel greco biblico può significare “selezionare, giudicare, condannare”. Ma è dal greco classico, in cui significa “interpretare (i sogni)”, che si sviluppa il senso più noto: l’interpretazione di un ruolo sulla scena, finzione tipica degli attori. Dunque, l’ipocrita non è solo chi falsifica un atteggiamento ma anche chi sceglie una modalità di interpretazione della Torah troppo scrupolosa. Gesù mette in guardia dall’ipocrisia, che può diventare un vero peccato se porta a concentrarsi su di sé e a perdere di vista la sostanza e lo spirito della legge.
Commento alla Liturgia
Mercoledì delle Ceneri
Prima lettura
Gl 2,12-18
12"Or dunque - oracolo del Signore -, ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti. 13Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all'ira, di grande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male". 14Chi sa che non cambi e si ravveda e lasci dietro a sé una benedizione? Offerta e libagione per il Signore, vostro Dio. 15Suonate il corno in Sion, proclamate un solenne digiuno, convocate una riunione sacra. 16Radunate il popolo, indite un'assemblea solenne, chiamate i vecchi, riunite i fanciulli, i bambini lattanti; esca lo sposo dalla sua camera e la sposa dal suo talamo. 17Tra il vestibolo e l'altare piangano i sacerdoti, ministri del Signore, e dicano: "Perdona, Signore, al tuo popolo e non esporre la tua eredità al ludibrio e alla derisione delle genti". Perché si dovrebbe dire fra i popoli: "Dov'è il loro Dio?". 18Il Signore si mostra geloso per la sua terra e si muove a compassione del suo popolo.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 50(51)
R. Perdonaci, Signore: abbiamo peccato.
Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;
nella tua grande misericordia
cancella la mia iniquità.
Lavami tutto dalla mia colpa,
dal mio peccato rendimi puro. R.
Sì, le mie iniquità io le riconosco,
il mio peccato mi sta sempre dinanzi.
Contro di te, contro te solo ho peccato,
quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto. R.
Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo.
Non scacciarmi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo santo spirito. R.
Rendimi la gioia della tua salvezza,
sostienimi con uno spirito generoso.
Signore, apri le mie labbra
e la mia bocca proclami la tua lode. R.
Seconda Lettura
2Cor 5,20–6,2
20In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. 21Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio. 1Poiché siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio. 2Egli dice infatti: Al momento favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso. Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!
Vangelo
Mt 6,1-6.16-18
1State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c'è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli. 2Dunque, quando fai l'elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. 3Invece, mentre tu fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, 4perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. 5E quando pregate, non siate simili agli ipocriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. 6Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. 16E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipocriti, che assumono un'aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. 17Invece, quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il volto, 18perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
Note
Lasciatevi riconciliare
«Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» (2Cor 5,20).
Il linguaggio di Paolo è preciso: egli non ci chiede di impegnarci a riconciliarci, ma di «lasciarci riconciliare», perché il soggetto di questa azione non siamo noi, ma è Dio stesso. Più che fare, dobbiamo lasciare fare, secondo la parola che Gesù consegna a Giovanni Battista nella scena del battesimo, in Matteo: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia» (Mt 3,15). Per adempiere la giustizia, per giungere a quel compimento pieno della giustizia che consiste nella nostra riconciliazione con Dio e con i fratelli, dobbiamo lasciare fare a Dio. A noi, come sempre scrive Paolo, spetta il compito e la responsabilità di non accogliere invano la grazia di Dio. A noi compete di non renderla vana, inefficace, inutile e sprecata nella nostra vita, ma al contrario di consentirle di portare i frutti attesi, tanto da Dio quanto da noi.
In questo «lasciar fare», il verbo «riconciliare», nel greco in cui l’apostolo e tutto il Nuovo Testamento lo utilizza, mette in luce una sfumatura che mi pare preziosa e utile per vivere bene la grazia quaresimale. Il verbo greco usato è infatti katallasso: allasso significa «cambiare» ed è preceduto dalla preposizione kata, che indica il movimento «dall’alto verso il basso». È il contrario di ana, che definisce il movimento dal basso verso l’alto. Risurrezione è anastasis, un tornare a stare in piedi, un rialzarsi, dal basso verso l’alto, appunto. La riconciliazione presuppone il movimento opposto: dall’alto verso il basso. Richiede cioè un discendere, un abbassarsi, la disponibilità a perdere qualcosa. Ci si può riconciliare, o meglio lasciarsi riconciliare, soltanto se siamo disponibili a vivere questo abbassamento, questa perdita di noi stessi. La rinuncia, ad esempio, a vedere riconosciuto il proprio diritto ingiustamente ferito o compromesso; la rinuncia a vendicare un torto subito; la rinuncia al proprio punto di vista o alla propria sensibilità per entrare maggiormente nella visione dell’altro, e così via. Gli esempi si possono facilmente moltiplicare, ma vanno tutti nella stessa direzione, tracciano tutti la medesima parabola: dall’alto verso il basso.
Dio, il quale, come Paolo ricorda, è il primo soggetto, è l’autore della riconciliazione, vive lui stesso questo movimento e lo vive nel Figlio, che il Padre dona alla nostra carne, e lo dona fino alla croce. Dio stesso in Gesù scende, si abbassa nella nostra condizione umana e ancor più discende fino alla morte e fino agli inferi. Anche questo Paolo lo ricorda con un linguaggio ancora più duro, più sconcertante:
«Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio» (2Cor 5,21).
In questo versetto di Paolo c’è sia la katabasis sia l’anabasis, sia la «discesa» sia la «salita»: il Figlio di Dio discende nella nostra condizione di peccato per farci salire nella sua condizione di giustizia.
La discesa di Dio giunge sino a questo punto, ad amare chi lo odia e così riconciliare con sé persino i propri nemici. Entrare in un cammino quaresimale per lasciarci riconciliare con Dio, vivere non in modo vano ma fruttuoso questo tempo favorevole, significa dunque accettare di entrare a nostra volta in questo cammino di discesa, di abbassamento, di perdita, di rinuncia, per fare spazio all’agire di Dio che ci riconcilia, per fare spazio agli altri, con i quali siamo chiamati a riconciliarci.
Le tre opere di pietà che oggi Matteo ci ricorda ci invitano anch’esse a vivere una perdita e una rinuncia: a non cercare l’ammirazione degli altri, ma la verità dell’incontro con Dio. A non cercare di possedere, ma di condividere. A non cercare confidenza in se stessi, ma affidarsi a Dio nella preghiera. A scegliere di digiunare per ricordare che a farci vivere è il dono di Dio e non la voracità con cui pretendiamo di saziare egoisticamente il nostro desiderio o il nostro bisogno.
In questo giorno ci vengono imposte sul capo le ceneri. Le possiamo accogliere con questo sguardo. Esse ci ricordano non solo la povertà dalla quale veniamo e verso la quale torniamo; non solo la penitenza che il nostro peccato esige. Possono e debbono ricordarci soprattutto che cenere è ciò che rimane di quanto il fuoco brucia e consuma. Allora, più che la miseria del nostro peccato, che pure c’è, la cenere è per noi il segno di ciò che rimane se davvero l’amore ci consente di vivere delle rinunce, delle perdite, degli abbassamenti e delle discese. Spesso ci troviamo a terra, come cenere. Possiamo però vivere questa esperienza in modo molto diverso. Essere a terra perché il nostro peccato ci ha buttato giù; essere a terra perché ci siamo abbassati nell’amore e perché desideriamo lasciarci riconciliare dall’amore.
Questo ora è il momento favorevole, questo è il giorno della salvezza: il giorno in cui percepiamo che Dio scende, si abbassa, si curva sulla nostra cenere, e la riconcilia a sé, e ci riconcilia tra noi, in quell’amore che sa vivere molte rinunce, fino alla Croce, pur di non rinunciare a noi.
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