www.nellaparola.it
Il termine «cittadinanza», in greco πολίτευμα, indica la vita, l'organizzazione e le norme di uno «stato». La vulgata (versione latina) lo traduce con conversatio, il cui significato oltrepassa quello di cittadinanza: 1) soggiorno frequente, convivenza, 2) intimità, 3) familiarità, dimestichezza, 4) condotta, contegno. Tutte queste sfumature arricchiscono la condizione di vita del cristiano, il quale può vivere in questo mondo sentendosi già familiare di Dio e del suo Regno.
“L’aspetto del suo volto cambiò, divenne altro” (èteros, ἕτερος), suona il testo originale. Dunque, l’identità di Gesù non cambia: questo aspetto diverso riguarda la relazione di Gesù con il Padre, che si esprime mediante la preghiera e che Luca spiega pochi versetti dopo attraverso la voce di Dio. Per un istante, è rivelata in Gesù la sua vera identità.
È un verbo raro exastràptō (ἐξαστράπτω), che significa “lanciare dei lampi, scintillare come il lampo”. Luca potrebbe conoscerlo dalle visioni dell’Antico Testamento con i loro elementi apocalittici. Questa trasformazione della veste allude al fatto che Gesù appartiene alla sfera divina, visto che la veste esprimeva il rango sociale e, in senso ampio, l’identità di una persona. I Padri della Chiesa vi hanno visto una correlazione con Adamo, inizialmente rivestito di splendore come qui Gesù, mentre dopo la caduta il rivestimento diventa di foglie.
Tradotto anche con “uscita, partenza”, èxodos (ἔξοδος) ha un duplice significato: Luca lo usa come eufemismo per la morte, ma indica anche un evento misterioso, a suggerire la promessa della resurrezione, perché la morte non è la fine del progetto di Dio. Luca usa lo stesso termine per descrivere l’ascensione, raccontata come una separazione e una partenza, esito del cammino di Gesù attraverso il venerdì santo e la pasqua. Nel termine risuona anche l’esperienza fondativa di Israele: l’uscita dall’Egitto.
Tra i sinottici, è Luca a introdurre il termine dòxa (δόξα), usandolo non nel senso greco di “opinione, fama, onore”, ma nel senso biblico di “splendore, gloria divina”. Dal significato originario ebraico di “peso” si è passati a “luce, splendore”. È così che la versione greca della Bibbia ebraica (Settanta) rende l’ebraico kābōd. Secondo Luca, la dòxa è legata a Dio ed è associata alla resurrezione di Gesù: in tal modo la dimensione escatologica e quella cristologica non sono separabili.
Tra i sinottici, è Luca a introdurre il termine dòxa (δόξα), usandolo non nel senso greco di “opinione, fama, onore”, ma nel senso biblico di “splendore, gloria divina”. Dal significato originario ebraico di “peso” si è passati a “luce, splendore”. È così che la versione greca della Bibbia ebraica (Settanta) rende l’ebraico kābōd. Secondo Luca, la dòxa è legata a Dio ed è associata alla resurrezione di Gesù: in tal modo la dimensione escatologica e quella cristologica non sono separabili.
L’epiteto eklelegmènos (ἐκλελεγμένος) è un hapax in tutto il Nuovo Testamento. Nel prediligere il verbo eklègomai (ἐκλέγομαι), “scegliere”, Luca segue probabilmente una tradizione semitica che aveva formulato, già in Is 42, il titolo “l’eletto di Dio”, inteso non solo in senso messianico. Se l’espressione “mio figlio” unisce Gesù al Padre, “l’eletto” lo collega alla sua missione, al suo popolo. La trasfigurazione associa dunque Gesù a Mosè, nel suo ruolo di mediazione profetica. Da ascoltare, però, non sono le parole della legge ma quelle della salvezza, e la missione/elezione di Gesù è collegata alla sua passione.
Commento alla Liturgia
II Domenica di Quaresima
Prima lettura
Gen 15,5-12.17-18
5Poi lo condusse fuori e gli disse: "Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle"; e soggiunse: "Tale sarà la tua discendenza". 6Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia. 7E gli disse: "Io sono il Signore, che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti in possesso questa terra". 8Rispose: "Signore Dio, come potrò sapere che ne avrò il possesso?". 9Gli disse: "Prendimi una giovenca di tre anni, una capra di tre anni, un ariete di tre anni, una tortora e un colombo". 10Andò a prendere tutti questi animali, li divise in due e collocò ogni metà di fronte all'altra; non divise però gli uccelli. 11Gli uccelli rapaci calarono su quei cadaveri, ma Abram li scacciò. 12Mentre il sole stava per tramontare, un torpore cadde su Abram, ed ecco terrore e grande oscurità lo assalirono. 17Quando, tramontato il sole, si era fatto buio fitto, ecco un braciere fumante e una fiaccola ardente passare in mezzo agli animali divisi. 18In quel giorno il Signore concluse quest'alleanza con Abram: "Alla tua discendenza io do questa terra, dal fiume d'Egitto al grande fiume, il fiume Eufrate;
Salmo Responsoriale
Dal Sal 26 (27)
R. Il Signore è mia luce e mia salvezza.
Il Signore è mia luce e mia salvezza:
di chi avrò timore?
Il Signore è difesa della mia vita:
di chi avrò paura? R.
Ascolta, Signore, la mia voce.
Io grido: abbi pietà di me, rispondimi!
Il mio cuore ripete il tuo invito:
«Cercate il mio volto!».
Il tuo volto, Signore, io cerco. R.
Non nascondermi il tuo volto,
non respingere con ira il tuo servo.
Sei tu il mio aiuto, non lasciarmi,
non abbandonarmi, Dio della mia salvezza. R.
Sono certo di contemplare la bontà del Signore
nella terra dei viventi.
Spera nel Signore, sii forte,
si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore. R.
Seconda Lettura
Fil 3,17–4,1
17Fratelli, fatevi insieme miei imitatori e guardate quelli che si comportano secondo l'esempio che avete in noi. 18Perché molti - ve l'ho già detto più volte e ora, con le lacrime agli occhi, ve lo ripeto - si comportano da nemici della croce di Cristo. 19La loro sorte finale sarà la perdizione, il ventre è il loro dio. Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra. 20La nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, 21il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose. 1Perciò, fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete in questo modo saldi nel Signore, carissimi!
Vangelo
Lc 9,28b-36
28Circa otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. 29Mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. 30Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, 31apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. 32Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. 33Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: "Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia". Egli non sapeva quello che diceva. 34Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All'entrare nella nube, ebbero paura. 35E dalla nube uscì una voce, che diceva: "Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo!". 36Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.
Note
Vegliare e pregare nella luce
Nel deserto della prova Gesù ha vinto la tentazione del divisore che cercava di separarlo dal Padre. Ora, sul Tabor, in questa esperienza di preghiera che egli vive, si manifesta in tutta la sua bellezza la comunione filiale che unisce Gesù al Padre. Dai racconti evangelici sappiamo che Gesù era solito trascorrere le notti nel silenzio e nella solitudine, nella preghiera. Probabilmente anche qui siamo in una di queste notti di veglia e di preghiera. Ed è proprio mentre sta pregando – sottolinea il racconto – che il suo volto cambia di aspetto, diviene altro. Dunque, mentre è nel segreto e nell’intimità della relazione con il Padre. È la gloria del Figlio quella che qui si manifesta, e si manifesta proprio nella preghiera, ossia in quello spazio in cui Gesù può vivere più intimamente la relazione con Dio. Nel momento in cui Gesù vive il «faccia a faccia» più radicale con il Padre trova la propria identità di Figlio, che si manifesta anche corporalmente nella gloria del suo volto. Non soltanto sul monte Tabor, ma sempre questa doveva essere l’intensità e la luminosità della preghiera di Gesù. Un po’ più avanti nel suo racconto, all’inizio del capitolo 11, Luca narra che «un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei discepoli gli disse: “Signore, insegnaci a pregare”» (Lc 11,1). La preghiera di Gesù doveva avere una bellezza percepibile anche da altri, che attraeva e induceva a desiderare di diventare capaci di pregare come lui sapeva pregare. Signore, insegnaci a pregare! La preghiera di Gesù sul Tabor cosa può insegnarci?
Come già era accaduto nella prova del deserto, è l’ascolto della Parola a guidare Gesù e a nutrire la sua preghiera, giacché egli, conversando con Mosè ed Elia, dialoga con tutte le Scritture. Gesù era solito trascorrere notti di preghiera nella solitudine. Questa volta prende con sé tre discepoli, i quali, sorpresi da quanto avviene, vorrebbero fare qualcosa: costruire tre capanne. Questa reazione è tuttavia giudicata inadeguata dall’evangelista, che commenta:
«egli non sapeva quello che diceva» (Lc 9,33).
Dov’è l’errore di Pietro? Cosa c’è nel suo atteggiamento da purificare o correggere? Pietro vuole costruire tre capanne, e la capanna è il simbolo di un cammino che si arresta. Attendarsi significa sostare, interrompere la marcia. Pietro, rapito com’è da ciò che sta vedendo, vorrebbe fissare, trattenere nella tenda la presenza gloriosa di Gesù. Vorrebbe fermarsi ad assaporare la bellezza di questa visione, contemplandola, ma dall’esterno, come uno spettatore estasiato che rimane però sulla soglia del mistero, senza entrarvi. Pietro desidera arrestare nella tenda la visione, per continuare a gustare il volto glorioso di Gesù, senza comprendere che la gloria di Gesù non può essere fissata e trattenuta nella tenda sul monte, perché può solo manifestarsi lungo la via, nel cammino verso Gerusalemme e la Pasqua. È una gloria pasquale, crocifissa e risorta, capace di attraversare la morte e di vincerla, come una luce che risplende nell’oscurità delle tenebre e vince la notte.
Anche per Gesù e i suoi discepoli, dopo l’esperienza straordinaria del Tabor, riprende il cammino nella discesa dal monte, forse con la stessa fatica di prima, anzi con una fatica che si fa ancora più grave, giacché ora il cammino si precisa sempre più come un cammino verso Gerusalemme e verso la croce. Ma ora diviene un cammino che può essere vissuto con un cuore trasfigurato dall’incontro con Dio nella preghiera. Questo è stato vero innanzitutto per l’esperienza di fede che ha vissuto Gesù. La scena della Trasfigurazione ci rivela infatti la gloria e la luce in cui Gesù ha potuto vivere fino in fondo, nella fedeltà e nella perseveranza, nell’ascolto della Parola e nell’obbedienza al Padre, il suo cammino esodico e pasquale. Rivela non semplicemente la gloria e la luce che lo attendevano al termine del cammino, ma la gloria nella cui luce ha potuto egli stesso camminare verso la Pasqua. Vorrei esprimere questo con una immagine. Nella tradizione dell’Oriente cristiano, l’icona della Trasfigurazione è una delle più significative. Proprio a partire da questa icona gli iconografi parlano di una luce taborica, di una luce cioè che rovescia le prospettive, e che è tipica della luminosità delle icone. Nelle icone infatti la luce non viene immaginata come proveniente da una sorgente esterna, ma dal centro dell’icona stessa, dai personaggi in essa raffigurati, in particolare dai loro volti. Dunque, è una luce che proviene da questo centro interno e segreto, e poi si irradia tutto intorno, eliminando via via ogni ombra. Questa è la gloria luminosa con cui Gesù ha potuto affrontare e vivere le tenebre del suo cammino. Mentre attorno a lui tutto si oscurava, egli aveva la sorgente della luce dentro di sé, e proprio questa luce intima, segreta, gloriosa, ha continuato a illuminare anche nella notte i suoi passi. E l’aveva dentro di sé, ci ha ricordato il racconto di Luca, perché ha vegliato nella preghiera e ha conversato con le Scritture. Chi non prega e non ascolta la parola di Dio, come inizialmente accade a Pietro, rimane nella notte e viene sopraffatto dal sonno.
Spesso, nei momenti più difficoltosi della nostra vita, quando il cammino può farsi più incerto, noi cerchiamo un po’ di luce che rischiari il senso di ciò che stiamo vivendo. Talora però cerchiamo questa luce in modo sbagliato, in una sorgente esterna a noi, e non sempre la troviamo. La scena della Trasfigurazione può insegnarci a rovesciare la prospettiva: la luce, quando fuori è buio, va cercata dentro di noi, dobbiamo essere noi luminosi, perché questa luce intima e segreta possa poi irradiarsi e riverberarsi attorno a noi. E le condizioni per essere nella luce sono quelle che hanno qualificato l’esperienza storica di Gesù: vegliare nella preghiera, conversare con tutte le Scritture, ascoltare e obbedire alla parola del Padre, in una relazione filiale che ci introduce nello spazio della nube, che è la tenda che Dio pianta in mezzo a noi, l’umanità del suo Figlio, da seguire nel suo esodo pasquale.
Cerca nei commenti