Passando dalla terza persona “… quei Galilei fossero” alla seconda persona plurale “se non vi convertite”, riferita ai propri interlocutori, Gesù li rimanda a se stessi, offrendo un vero cambiamento di prospettiva. Pentirsi, convertirsi: nel significato del verbo metanoèō (μετανοέω) vi è la concezione positiva e relazionale che Luca ha del ritorno a Dio, un Dio datore di vita, che entra in dialogo con gli uomini, la cui immagine si trasforma ai loro occhi diventando più buono che onnipotente.
Per questo, il ritorno a Dio non è solo a partire dal peccato (v. 2) o dalla cattiva coscienza, ma dalla fiducia di fondo nella riconciliazione, di cui ciascuno può essere artefice. Morire o perdersi dipenderà dalle proprie decisioni, non nel senso che la morte possa essere evitata, ma nel senso che può essere affrontata diversamente, con fiducia, come un processo di salvezza auspicato dal Padre e favorito dal Figlio. Questa è la responsabilità che Luca attribuisce alla conversione, al pentimento.
Commento alla Liturgia
III Domenica di Quaresima
Prima lettura
Es 3,1-8a.13-15
1Mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l'Oreb. 2L'angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava. 3Mosè pensò: "Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?". 4Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: "Mosè, Mosè!". Rispose: "Eccomi!". 5Riprese: "Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!". 6E disse: "Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe". Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio. 7Il Signore disse: "Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. 8Sono sceso per liberarlo dal potere dell'Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l'Ittita, l'Amorreo, il Perizzita, l'Eveo, il Gebuseo. 13Mosè disse a Dio: "Ecco, io vado dagli Israeliti e dico loro: "Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi". Mi diranno: "Qual è il suo nome?". E io che cosa risponderò loro?". 14Dio disse a Mosè: "Io sono colui che sono!". E aggiunse: "Così dirai agli Israeliti: "Io-Sono mi ha mandato a voi"". 15Dio disse ancora a Mosè: "Dirai agli Israeliti: "Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, mi ha mandato a voi". Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 102 (103)
R. Il Signore ha pietà del suo popolo.
Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tutti i suoi benefici. R.
Egli perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue infermità,
salva dalla fossa la tua vita,
ti circonda di bontà e misericordia. R.
Il Signore compie cose giuste,
difende i diritti di tutti gli oppressi.
Ha fatto conoscere a Mosè le sue vie,
le sue opere ai figli d’Israele. R.
Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Perché quanto il cielo è alto sulla terra,
così la sua misericordia è potente su quelli che lo temono. R.
Seconda Lettura
1Cor 10,1-6.10-12
1Non voglio infatti che ignoriate, fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nube, tutti attraversarono il mare, 2tutti furono battezzati in rapporto a Mosè nella nube e nel mare, 3tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, 4tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo. 5Ma la maggior parte di loro non fu gradita a Dio e perciò furono sterminati nel deserto. 6Ciò avvenne come esempio per noi, perché non desiderassimo cose cattive, come essi le desiderarono. 10Non mormorate, come mormorarono alcuni di loro, e caddero vittime dello sterminatore. 11Tutte queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per nostro ammonimento, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi. 12Quindi, chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere.
Vangelo
Lc 13,1-9
1In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. 2Prendendo la parola, Gesù disse loro: "Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? 3No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. 4O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? 5No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo". 6Diceva anche questa parabola: "Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. 7Allora disse al vignaiolo: "Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest'albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?". 8Ma quello gli rispose: "Padrone, lascialo ancora quest'anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. 9Vedremo se porterà frutti per l'avvenire; se no, lo taglierai"".
Approfondimenti
Passando dalla terza persona “… quei Galilei fossero” alla seconda persona plurale “se non vi convertite”, riferita ai propri interlocutori, Gesù li rimanda a se stessi, offrendo un vero cambiamento di prospettiva. Pentirsi, convertirsi: nel significato del verbo metanoèō (μετανοέω) vi è la concezione positiva e relazionale che Luca ha del ritorno a Dio, un Dio datore di vita, che entra in dialogo con gli uomini, la cui immagine si trasforma ai loro occhi diventando più buono che onnipotente.
Per questo, il ritorno a Dio non è solo a partire dal peccato (v. 2) o dalla cattiva coscienza, ma dalla fiducia di fondo nella riconciliazione, di cui ciascuno può essere artefice. Morire o perdersi dipenderà dalle proprie decisioni, non nel senso che la morte possa essere evitata, ma nel senso che può essere affrontata diversamente, con fiducia, come un processo di salvezza auspicato dal Padre e favorito dal Figlio. Questa è la responsabilità che Luca attribuisce alla conversione, al pentimento.
Il roveto e il fico
In questa terza domenica di quaresima ascoltiamo il Vangelo di Luca nel quale Gesù, dopo aver riportato due fatti di cronaca – i Galilei fatti uccidere da Pilato e le diciotto persone morte sotto il crollo della torre di Siloe – rivolge ai discepoli un forte invito alla conversione (cf. Lc 13, 1-9). Quello che accade non può limitarsi a suscitare un giudizio, deve anche sollecitare a una conversione personale. Il Cardinale Martini aveva scelto questo testo di Luca per il suo Discorso alla città, in occasione della solennità di sant’Ambrogio del 2001, quindi pochi mesi dopo l’attentato alle Torri Gemelle e la conseguente guerra in Afghanistan. Le sue parole di allora suonano ancora attuali oggi. Scriveva ad esempio:
«Questi fatti ci addolorano, ci interpellano, ci sconvolgono. Pensiamo con dolore agli innumerevoli morti, ai feriti che porteranno per tutta la vita il segno della tragedia, alle famiglie distrutte, ai milioni di profughi, al pianto dei bambini mutilati. Nascono molte domande, ipotesi, inquietudini. Domande di carattere umano e religioso e anche di carattere politico. Si vorrebbe capire, giudicare, vedere come agire per farla finita con il terrorismo, la paura, la guerra, come operare seriamente per una pace duratura».
Probabilmente l’attualità di questo testo non sta tanto nell’intuito profetico del Cardinale, quanto nel fatto, di cui dobbiamo sempre dolorosamente prendere coscienza, che la storia umana non cambia e ripresenta i suoi orrori. Quello che accadeva allora in Afghanistan e in Medio Oriente accade ora in Europa, in Ucraina. E Martini, come sempre, cercava criteri di discernimento nella parola di Dio. In questo caso in Luca 13, che così interpretava:
«Gesù non entra in nessuno dei problemi che hanno in mente i suoi interlocutori e che riguardavano l'attribuzione delle colpevolezze per gravi fatti di sangue, la ricerca di capri espiatori. Superando ogni giudizio morale categoriale sulle azioni di singoli o di gruppi, Gesù rimanda alla radice profonda di tutti questi mali, cioè alla peccaminosità di tutti, alla connivenza interiore di ciascuno con la violenza e il male, ripetendo per ben due volte: “se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”. Egli invita a cercare in ciascuno di noi i segni della nostra complicità con l'ingiustizia. Ci ammonisce a non limitarsi a sradicarla qui o là, ma a cambiare scala di valori, a cambiare vita.
Ciò in un primo momento ci sorprende. Ci sembra una fuga dal presente, un volare troppo alto di fronte a eventi che richiedono con urgenza decisioni e giudizi. Ci sembra un generalizzare un problema che rischia di confondere torti e ragioni, carnefici e vittime, tutti accomunati sotto un unico denominatore.
Ma Gesù non intende per nulla togliere a ciascuno la sua concreta responsabilità. Ognuno è responsabile delle sue azioni e ne porta le conseguenze. […] Ma gli importa molto di più segnalare che tutti gli sforzi umani di distruggere il male con la forza delle armi non avranno mai un effetto duraturo se non si prenderà seriamente coscienza di come le cause profonde del male stanno dentro, nel cuore e nella vita di ogni persona, etnia, gruppo, nazione, istituzione che è connivente con l'ingiustizia. Se non si mette mano a questi più ambiti più profondi mutando la nostra scala di valori tra breve ci ritroveremo di fronte a quei mali che abbiamo cercato con ogni sforzo esteriore di eliminare».
Possiamo trovare in queste parole criteri anche per noi oggi, per non limitarci soltanto a un giudizio, magari a volte troppo frettoloso e superficiale, ma cercare di cogliere, pur sempre attraverso un giudizio obiettivo che occorre dare nel modo più consapevole e responsabile possibile, quell’appello alla conversione che comunque deve riguardare la vita di ciascuno di noi.
Una conversione che è sostenuta da due tratti del volto di Dio che oggi la liturgia ci propone attraverso due immagini paraboliche: un roveto che arde e un fico senza frutti. Ci narrano entrambe l’amore di Dio, mettendone in luce due aspetti sugli altri: la sua compassione e la sua misericordia. Secondo il midrash, Dio parla a Mosè dal roveto, circondato da spine, perché egli partecipa personalmente alle sofferenze del suo popolo. Il fico ci rivela la misericordia con cui il vignaiolo della parabola decide di accordare ancora un anno alla sua sterilità, per vedere
«se porterà frutti per l’avvenire» (Lc 13,9).
Tra queste due immagini, la liturgia ci consegna il forte appello di Gesù alla conversione. Noi non siamo più o meno peccatori dei galilei fatti uccidere da Pilato, o dei diciotto uomini uccisi dal crollo della torre di Siloe. Il male continua a presentarsi nella nostra storia in tutta la sua assurdità e noi rimaniamo senza parole in grado di spiegarlo. Ed è giusto che sia così: non ci sono parole che possano giustificare o spiegare il suo non-senso. C’è però una parola che possiamo sempre dire, quella della nostra conversione, per passare dalle logiche assurde del male alle logiche di Dio, quelle rappresentate dal roveto e dal fico: la sua compassione e la sua misericordia.
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