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Sullo sfondo di questo brano vi è il Deuteronomio: con il plurale “comandamenti” si potrebbero intendere le miswoth giudaiche, che Gesù fa proprie. Ma occorre considerare che, nel Vangelo di Giovanni, Gesù si pone come il fondamento della legge giudaica, al contempo relativizzandola in rapporto a sé: Gesù stesso fa assumere degli obblighi nell’amore e in nome dell’amore per lui. Egli stesso diventa la norma, rispettando sia la funzione della legge mosaica nel disegno di Dio sia la fedeltà a ciò che la relazione d’amore con lui comanda.
Il simbolo della dimora (monē, μονή, dal verbo mènō, μένω, rimanere, e quindi “luogo in cui rimanere”) è legato a un contesto sacerdotale. In questa massima sapienziale esprime il rapporto di colui che ama e crede con Gesù.
Il verbo didàskō (διδάσκω) è il verbo della didachê cristiana, dei didàskaloi della comunità giudeo-cristiana, ma anche della Torah dell’Antico Testamento e del giudaismo. La sua funzione complementare è quella della memoria come appropriazione dinamica del significato, attualizzazione in funzione dell’esperienza. Questa esperienza, trasmessa in ambiente giovanneo, risale allo stesso Maestro, quando ha parlato dello Spirito a Nicodemo (Gv 3) e della fonte dell’acqua alla Samaritana (Gv 4): si tratta probabilmente del nucleo più antico dell’eredità giovannea.
Commento alla Liturgia
Lunedì della V settimana di Pasqua
Prima lettura
At 14,5-18
5Ma quando ci fu un tentativo dei pagani e dei Giudei con i loro capi di aggredirli e lapidarli, 6essi lo vennero a sapere e fuggirono nelle città della Licaònia, Listra e Derbe, e nei dintorni, 7e là andavano evangelizzando. 8C'era a Listra un uomo paralizzato alle gambe, storpio sin dalla nascita, che non aveva mai camminato. 9Egli ascoltava Paolo mentre parlava e questi, fissandolo con lo sguardo e vedendo che aveva fede di essere salvato, 10disse a gran voce: "Àlzati, ritto in piedi!". Egli balzò in piedi e si mise a camminare. 11La gente allora, al vedere ciò che Paolo aveva fatto, si mise a gridare, dicendo, in dialetto licaònio: "Gli dèi sono scesi tra noi in figura umana!". 12E chiamavano Bàrnaba "Zeus" e Paolo "Hermes", perché era lui a parlare. 13Intanto il sacerdote di Zeus, il cui tempio era all'ingresso della città, recando alle porte tori e corone, voleva offrire un sacrificio insieme alla folla. 14Sentendo ciò, gli apostoli Bàrnaba e Paolo si strapparono le vesti e si precipitarono tra la folla, gridando: 15"Uomini, perché fate questo? Anche noi siamo esseri umani, mortali come voi, e vi annunciamo che dovete convertirvi da queste vanità al Dio vivente, che ha fatto il cielo, la terra, il mare e tutte le cose che in essi si trovano. 16Egli, nelle generazioni passate, ha lasciato che tutte le genti seguissero la loro strada; 17ma non ha cessato di dar prova di sé beneficando, concedendovi dal cielo piogge per stagioni ricche di frutti e dandovi cibo in abbondanza per la letizia dei vostri cuori". 18E così dicendo, riuscirono a fatica a far desistere la folla dall'offrire loro un sacrificio.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 113 B
R. Non a noi, Signore, ma al tuo nome dà gloria.
Oppure:
R. Alleluia, alleluia, alleluia.
Non a noi, Signore, non a noi,
ma al tuo nome dà gloria,
per il tuo amore, per la tua fedeltà.
Perché le genti dovrebbero dire:
«Dov'è il loro Dio?». R.
Il nostro Dio è nei cieli:
tutto ciò che vuole, egli lo compie.
I loro idoli sono argento e oro,
opera delle mani dell'uomo. R.
Siate benedetti dal Signore,
che ha fatto cielo e terra.
I cieli sono i cieli del Signore,
ma la terra l'ha data ai figli dell'uomo. R.
Vangelo
Gv 14,21-26
21Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui". 22Gli disse Giuda, non l'Iscariota: "Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo?". 23Gli rispose Gesù: "Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. 25Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
Note
Il tuo nome è Dimora, alleluia!
Al cuore del tempo pasquale il tono diventa sempre più intimo. La Liturgia ci fa riprendere i testi dell’ultimo dialogo del Signore Gesù con i suoi discepoli, che ha tutto il tono di una protesta d’amore nell’imminente esperienza dell’abbandono, del rinnegamento e del tradimento. Proprio nel momento in cui l’intimità e il calore del gruppo dei discepoli sta per essere profondamente ferita, la consapevolezza di ciò che sta per accadere, invece di far sprofondare il cuore di Cristo nell’amarezza, si fa più forte la tenerezza. Quando tutto quello che si è costruito giorno dopo giorno in termini di fiducia e complicità discepolare sta per crollare, il Signore ribadisce l’amore:
«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23).
Non c’è nulla che possa interrompere il flusso dell’amore come rivelazione del modo proprio di essere di Dio riconosciuto, invocato e indicato come «Padre». Ciascuno a partire dal suo vissuto concreto è chiamato a lasciarsi accogliere nell’intimità di quella vita divina che diventa sorgente di uno stile di umanità riconoscibile e affidabile. In tal modo persino la sofferenza della separazione, del malinteso e del tradimento diventano solchi di possibile crescita in consapevolezza e responsabilità.
Per questo la passione che Gesù assume su di sé, con i sentimenti del Servo del Signore profetizzato da Isaia, manifesta al mondo che il Figlio è maestro nell’amare anche quando l’amore è calpestato. La promessa rimane invariata, anzi è radicalmente confermata:
«Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui» (Gv 14,21).
È come se il Signore, alla vigilia della sua passione, volesse piantare nel cuore dei discepoli quel seme di fiducia radicale in Dio che permetterà di ritrovare pure la fiducia tra di loro dopo la consumazione della Pasqua. Ciò che sta per avvenire renderà i discepoli più consapevoli del mistero di Gesù e della sua rivelazione di un volto di Dio che rifonda il nostro modo di sentirci umani. In questo contesto, la protesta di Barnaba e Paolo si manifesta in tutta la sua profondità:
«Uomini, perché fate questo? Anche noi siamo essere umani» (At 14,15).
Lo sforzo religioso di riconoscere negli altri delle caratteristiche divine che li allontanano dalla vita consueta di tutti, per il mistero pasquale di Cristo si trasforma nel gioioso riconoscimento che la nostra dimora di umanità condivisa è il luogo della nostra identità accolta e condivisa in una parità rasserenante. Il fatto che la vita divina sia ormai a «dimora» dentro il cuore di ciascuno permette di sentirci tutti a casa senza sognare nessun altro luogo di felicità e di salvezza se non quello delle nostre relazioni, segnate da una fraternità finalmente ritrovata «per la letizia dei vostri cuori» (14,17).
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