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In Lc-At come nella Settanta, laos (λαός) ricorre 84 volte su un totale di 142 nel Nuovo Testamento. In 77 occorrenze è l’appellativo teologico riservato al popolo di Israele. Tuttavia, solo qui e in At 15,14 è ridefinito e applicato al popolo universale che Dio raccoglie attorno a Cristo in Israele e fra le nazioni. L’attività di Paolo consiste dunque nel far sorgere un popolo che già appartiene al Signore.
Il bēma (βῆμα), riportato alla luce dagli scavi, è sia una piattaforma per oratori sia un podio sul quale siede il giudice, situato in questo caso sul bordo dell’agorà. Il termine è diventato sinonimo di tribunale.
L’uso del termine hradioùrgēma (ῥᾳδιούργημα), rarissimo in greco, è minimizzante. Viene da hràdios (ῥᾴδιος), che significa “leggero, facile, sconsiderato” e per questo evoca l’atteggiamento frivolo e disinvolto di chi prende la vita alla leggera.
Il verbo κλαίω ricorre più di una volta nel quarto vangelo: in occasione della risurrezione di Lazzaro (11,31.33) e nell'incontro tra Maria di Magdala e il Signore risorto (20,11.13.15).
Il verbo θρηνέω ricorre solo in questo passo nel vangelo di Giovanni. Indica il «lamentarsi» e il «compiangere». Insieme al precedente forma una coppia che sta a indicare il pianto e il lutto che si fa in occasione di una morte.
Il dolore e la sofferenza riferiti ai discepoli sono paragonati a quelli del parto ma sembrano sproporzionati rispetto alla causa, che è la partenza di Gesù per tornare al Padre. La gioia del cuore promessa da Gesù, che ribalta la situazione, non è legata a una trasformazione dei discepoli: non saranno loro a vedere Gesù, ma sarà lui a prendere per primo l’iniziativa di “vederli”.
Il tempo della promessa di risurrezione di questi versetti, accompagnata da una gioia duratura, viene precisato non più in termini di “ora” (hōra, ὥρα), associata al momento della fine, della tristezza, della prova, ma in termini di “giorno” (hēmèra, ἡμέρα) escatologico, che è il tempo dello Spirito in cui i discepoli non avranno più bisogno di chiedere perché sarà lo Spirito a operare in loro e a comunicare una gioia compiuta.
Commento alla Liturgia
Venerdì della VI settimana di Pasqua
Prima lettura
At 18,9-18
9Una notte, in visione, il Signore disse a Paolo: "Non aver paura; continua a parlare e non tacere, 10perché io sono con te e nessuno cercherà di farti del male: in questa città io ho un popolo numeroso". 11Così Paolo si fermò un anno e mezzo, e insegnava fra loro la parola di Dio. 12Mentre Gallione era proconsole dell'Acaia, i Giudei insorsero unanimi contro Paolo e lo condussero davanti al tribunale 13dicendo: "Costui persuade la gente a rendere culto a Dio in modo contrario alla Legge". 14Paolo stava per rispondere, ma Gallione disse ai Giudei: "Se si trattasse di un delitto o di un misfatto, io vi ascolterei, o Giudei, come è giusto. 15Ma se sono questioni di parole o di nomi o della vostra Legge, vedetevela voi: io non voglio essere giudice di queste faccende". 16E li fece cacciare dal tribunale. 17Allora tutti afferrarono Sòstene, capo della sinagoga, e lo percossero davanti al tribunale, ma Gallione non si curava affatto di questo. 18Paolo si trattenne ancora diversi giorni, poi prese congedo dai fratelli e s'imbarcò diretto in Siria, in compagnia di Priscilla e Aquila. A Cencre si era rasato il capo a causa di un voto che aveva fatto.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 46(47)
R. Dio è re di tutta la terra.
Oppure:
R. Alleluia, alleluia, alleluia.
Popoli tutti, battete le mani!
Acclamate Dio con grida di gioia,
perchè terribile è il Signore, l'Altissimo,
grande re su tutta la terra. R.
Egli ci ha sottomesso i popoli,
sotto i nostri piedi ha posto le nazioni.
Ha scelto per noi la nostra eredità,
orgoglio di Giacobbe che egli ama. R.
Ascende Dio tra le acclamazioni,
il Signore al suono di tromba.
Cantate inni a Dio, cantate inni,
cantate inni al nostro re, cantate inni. R.
Vangelo
Gv 16,20-23a
20In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia. 21La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. 22Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia. 23Quel giorno non mi domanderete più nulla. In verità, in verità io vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà.
Note
Il tuo nome è Donna, alleluia!
La Liturgia ci fa riascoltare le parole pronunciate dal Signore Gesù nel Cenacolo per aiutarci a entrare nel mistero della risurrezione non come prova e rivincita contro coloro che hanno crocifisso il Signore, ma come conferma di quell’amore che si è formato tra Gesù e i suoi discepoli, tra Gesù e i suoi amici, tra Gesù e noi. Quando il Signore si racconta, parla di sé con immagini – basti ricordare quella della vite e dei tralci – che ci commuovono e allo stesso tempo ci interpellano per la loro valenza intima e perché ci richiamano continuamente alla necessità di sentire e di vivere nella linea della profondità. Al cuore dei discorsi con cui il Signore prepara il cuore dei discepoli a sostenere lo scandalo della passione vi è questo momento in cui Gesù, per parlare di se stesso, non trova un’immagine più bella e più espressiva di questa:
«La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo» (Gv 16,21).
Questa immagine non è assolutamente nuova, ma è il contesto stesso in cui il Signore Gesù parla con i suoi discepoli alla vigilia della sua passione.
Infatti, se a questo punto il Signore Gesù paragona se stesso a una «donna» nelle doglie del parto ormai prossimo, è perché ha preposto a tutte le sue parole un gesto fondamentale, senza il quale non ci sarebbe possibile comprendere che cosa stia veramente dicendo ai suoi discepoli. Il gesto è la lavanda dei piedi, che il Signore compie non come gesto eminentemente servile, ma intimamente sponsale. Non bisogna dimenticare che, soprattutto nell’imminenza della sua passione, il Signore apprende il modo proprio per dire il suo amore dalle donne… dai gesti di esagerazione e di eccesso dell’amore come quello dell’unzione del suo corpo in vista della sepoltura. Se così è per il Maestro, non può che essere così anche per i suoi discepoli, tanto che l’apostolo Paolo, già chiamato in visione sulla strada di Damasco, è anch’egli come una donna che deve partorire, tanto da conoscere, ancora una volta, i dolori del parto e l’angoscia di dover continuare a rischiare sulla parola del suo Signore.
Per questo il Signore Gesù si fa di nuovo presente con una visione rinnovata, che è un modo per dilatare e approfondire il suo modo di sentire e di interpretare quanto sta avvenendo, e lo rende così padre:
«Non avere paura, continua a parlare e non tacere, perché io sono con te e nessuno cercherà di farti del male: in questa città io ho un popolo numeroso» (At 18,9).
Sembra proprio che il Signore stia accanto all’apostolo quasi per assisterlo in un momento difficile quanto un parto segnato dal dolore e dal rischio della vita. Gli Atti degli apostoli, ancora una volta, ci ricordano che «i Giudei insorsero unanimi contro Paolo e lo condussero davanti al tribunale» (18,12) quasi come fosse una sala parto, in cui però l’apostolo – come ogni discepolo nel tempo della tribolazione – non è solo, ma è sostenuto e incoraggiato dalla presenza del Signore, come uno sposo accanto alla sua donna che partorisce.
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