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La formula intera è una citazione del Sal 6,9 secondo il testo dei LXX, il quale però utilizza il termine anomìa invece che adikìa (ἀδικία). Per i greci, l’adikìa era un comportamento sbagliato e in Israele un’espressione riassuntiva per il peccato. Paolo ne fa una sintesi dell’ostilità umana di fronte a Dio. Così in Luca, che pure non usa molto di frequente questo termine, il significato è forte: chi ama e teme Dio non conosce l’ingiustizia, che invece esclude dalla comunione con il Signore nel regno.
La formula dello stridore (brugmòs, βρυγμός) di denti è radicata nell’Antico Testamento. Il verbo brùchō (βρύχω) significa “sgranocchiare, rodere, divorare” e talora “stridere”.
Matteo indica solo due direzioni: l’oriente, cioè il luogo dell’esilio, e l’occidente, cioè la terra di schiavitù sotto il faraone. Pensa quindi alla raccolta escatologica del popolo di Dio, secondo la tradizione biblica. Questa stessa tradizione conosce anche un pellegrinaggio escatologico di tutte le nazioni al monte Sion, e in questo senso le quattro direzioni di Luca possono essere interpretate sul piano missionario cristiano, che vuole includere nel regno gli eletti delle nazioni e non più solo i giudei dispersi nella diaspora. Questo annuncio di speranza e universalismo, capace di rompere le barriere, conquisterà il mondo antico.
Commento alla Liturgia
XXI Domenica Tempo Ordinario
Prima lettura
Is 66,18b-21
18con le loro opere e i loro propositi. Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria. 19Io porrò in essi un segno e manderò i loro superstiti alle popolazioni di Tarsis, Put, Lud, Mesec, Ros, Tubal e Iavan, alle isole lontane che non hanno udito parlare di me e non hanno visto la mia gloria; essi annunceranno la mia gloria alle genti. 20Ricondurranno tutti i vostri fratelli da tutte le genti come offerta al Signore, su cavalli, su carri, su portantine, su muli, su dromedari, al mio santo monte di Gerusalemme - dice il Signore -, come i figli d'Israele portano l'offerta in vasi puri nel tempio del Signore. 21Anche tra loro mi prenderò sacerdoti leviti, dice il Signore.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 116(117)
R. Tutti i popoli vedranno la gloria del Signore.
Genti tutte, lodate il Signore,
popoli tutti, cantate la sua lode. R.
Perché forte è il suo amore per noi
e la fedeltà del Signore dura per sempre. R.
Seconda Lettura
Eb 12,5-7.11-13
5e avete già dimenticato l'esortazione a voi rivolta come a figli: Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d'animo quando sei ripreso da lui; 6perché il Signore corregge colui che egli ama e percuote chiunque riconosce come figlio. 7È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non viene corretto dal padre? 11Certo, sul momento, ogni correzione non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo, però, arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati. 12Perciò, rinfrancate le mani inerti e le ginocchia fiacche 13e camminate diritti con i vostri piedi, perché il piede che zoppica non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire.
Vangelo
Lc 13,22-30
22Passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. 23Un tale gli chiese: "Signore, sono pochi quelli che si salvano?". Disse loro: 24"Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. 25Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: "Signore, aprici!". Ma egli vi risponderà: "Non so di dove siete". 26Allora comincerete a dire: "Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze". 27Ma egli vi dichiarerà: "Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia! ". 28Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. 29Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. 30Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi".
Note
Approfondimenti
L’imperativo presente con valore durativo di agōnìzomai (ἀγωνίζομαι) esorta alla perseveranza. Il termine “lotta, combattimento” (agōn, ἀγών) in esso contenuto, usato dai greci nell’ambito dei giochi pubblici, al tempo di Luca viene utilizzato in senso figurato per definire la vita del saggio o dell’uomo di Dio.
L’immagine del combattimento presuppone un avversario, un buon allenamento e una grande forza di carattere. È più una lotta della fede che dell’obbedienza. Probabilmente Luca si ispira all’insegnamento della sua chiesa, che concepisce la vita cristiana come prova e combattimento, incluso quello ultimo dell’angoscia davanti alla morte (agōnìa, ἀγωνία), che Gesù stesso ha affrontato.
Luca, che intende costruire un racconto allegorico, usa qui il termine thùra (θύρα), che indica la porta di una casa o di un podere contadino circondato da un muro. Per questo, il padrone può chiuderla.
La tradizione che Luca riprende fa riferimento, invece, alla pesante porta della città (pùlē, πύλη) che viene chiusa al calare della notte. A quel punto, per i ritardatari e le urgenze, vi è una piccola apertura accessibile a una persona per volta.
Si tratta di uno scenario escatologico, in cui la decisione da prendere è quella dell’ultima possibilità della piccola porta ancora accessibile. Luca sottolinea meno l’escatologia ma conserva l’urgenza della decisione personale.
La porta stretta
Spesso le domande che poniamo — anche quelle rivolte a Dio — manifestano i sospetti e tradiscono i timori del cuore. Come quella formulata da «un tale» (Lc 13,23) allo stesso Gesù, mentre i suoi passi hanno ormai scelto di dirigersi risolutamente «verso Gerusalemme» (13,22), per vivere con intensità la gioia e il dolore del mistero pasquale:
«Signore, sono pochi quelli che si salvano?» (Lc 13,23).
Potremmo chiederci come mai, nei nostri ragionamenti e nelle nostre paure, la salvezza è immaginata come un dono che Dio dovrebbe riservare solo a una piccola élite e non un destino più accessibile e universale. Sin dai tempi più antichi, i profeti hanno provato ad annunciare — attraverso la funzione mediatrice e rappresentativa di Israele — un’intenzione di salvezza che Dio avrebbe esteso con estrema generosità «a tutte le genti» e a «tutte le lingue» (Is 66,18).
Persino dai popoli stranieri il Signore avrebbe attinto i suoi ministri: «Anche tra loro mi prenderò sacerdoti levìti» (66,21), affinché la fedeltà del suo amore fosse universalmente celebrata. Eppure, nonostante i copiosi indizi di inclusività che accompagnano la rivelazione di Dio, in noi insorge sempre il bisogno di giudicare e suddividere le persone in due categorie, collocandoci — molto modestamente — in quella dei vincenti e dei benedetti.
Il Signore Gesù non sembra gradire questo genere di domande, preferendo la strada del coinvolgimento rispetto alla scorciatoia del sondaggio. Così rilancia il discorso a migliori levature e a più concrete riflessioni:
«Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno» (Lc 13,24).
L’elusione dell’interrogativo posto a Gesù da quel tale vuole essere, anzitutto, un invito ad abbandonare la pericolosa china dei ragionamenti astratti, e a non dimenticare che le questioni più decisive non si risolvono mai attraverso teorie e ragionamenti, ma solo mediante un’iniziazione seria e responsabile alla bellezza e alla complessità dell’esistenza. In secondo luogo, trasferendo il sospetto di una piccola misura di salvezza sopra l’immagine di una porta piccola — dunque stretta — il Signore Gesù sembra volerci dire che la vera paura da custodire non è quella di non essere salvati, ma quella di poterci ritrovare molto lontani da lui, pur essendo dentro un sincero cammino di discepolato:
«Voi non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!» (Lc 13,27).
L’epilogo amaro di questo vangelo fa sorgere allora un’altra, più utile domanda: perché il Signore ci rivolge parole che non sembrano «sul momento causa di gioia, ma di tristezza» (Eb 12,11)? Come mai di fronte alla paura di non salvarci, cioè di perderci nel difficile viaggio della vita, il buon Pastore ricorre a immagini e profezie che possono addirittura terrorizzare l’animo del suo gregge:
«Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori» (Lc 13,28)?
Forse perché ogni messaggio ha bisogno di una forma adeguata per poter assolvere il suo intento comunicativo. Solo visualizzando una possibile, tragica deriva per i nostri passi, diventiamo capaci di ricordare che la vita non è un film a lieto fine scontato. Che la nostra libertà è davvero un dono grande, ma pure una drammatica responsabilità. Che non è vero che le scelte siano indifferenti: fare il male o il bene, obbedire o trasgredire, praticare la giustizia oppure no. Solo con una parola di correzione, capace di fendere senza offendere, ci possiamo accorgere che le «mani» sono diventate «inerti», le «ginocchia fiacche» (Is 66,12) e «i piedi» (66,13) da troppo tempo forse zoppicano. Il vangelo di Dio, del resto, non afferma che siamo tutti salvi, ma che tutti potremo essere salvati se, nuotando nelle acque del nostro battesimo in Cristo, sapremo fare dei nostri giorni un dono, sempre più vero e sempre più libero. Fino a diventare anche «un segno» (Is 66,19), discreto e convincente, di quella vita nuova che Dio offre a tutti gli uomini e a tutte le donne di buona volontà. Nel suo regno, dalle porte strette e dalle stanze grandi e accoglienti.
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