Matteo è l’unico evangelista a usare l’aggettivo tèleios (τέλειος), qui e in 19,21 con il giovane ricco. Questa idea è presente soprattutto nelle lettere paoline, in 1Gv e in Gc.
L’aggettivo, tuttavia, è ben radicato nell’Antico Testamento e nella tradizione giudaica, con diverse possibili sfumature: l’irreprensibilità di Israele, l’uomo interamente rivolto a Dio, l’animale idoneo al sacrificio in quanto privo di imperfezioni (Es 12,5). Noè, l’unico “giusto” nel libro della Genesi, è definito anche “perfetto” (Gen 6,9), nel senso di “integro”.
Qui, nel contesto del Discorso della Montagna, l’invito alla perfezione potrebbe indicare la scelta di andare oltre il senso letterale della Legge per individuarne e metterne in pratica il cuore.
Commento alla Liturgia
Martedì della XI settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
1Re 21,17-29
17Allora la parola del Signore fu rivolta a Elia il Tisbita: 18"Su, scendi incontro ad Acab, re d'Israele, che abita a Samaria; ecco, è nella vigna di Nabot, ove è sceso a prenderne possesso. 19Poi parlerai a lui dicendo: "Così dice il Signore: Hai assassinato e ora usurpi!". Gli dirai anche: "Così dice il Signore: Nel luogo ove lambirono il sangue di Nabot, i cani lambiranno anche il tuo sangue"". 20Acab disse a Elia: "Mi hai dunque trovato, o mio nemico?". Quello soggiunse: "Ti ho trovato, perché ti sei venduto per fare ciò che è male agli occhi del Signore. 21Ecco, io farò venire su di te una sciagura e ti spazzerò via. Sterminerò ad Acab ogni maschio, schiavo o libero in Israele. 22Renderò la tua casa come la casa di Geroboamo, figlio di Nebat, e come la casa di Baasà, figlio di Achia, perché tu mi hai irritato e hai fatto peccare Israele. 23Anche riguardo a Gezabele parla il Signore, dicendo: "I cani divoreranno Gezabele nel campo di Izreèl". 24Quanti della famiglia di Acab moriranno in città, li divoreranno i cani; quanti moriranno in campagna, li divoreranno gli uccelli del cielo". 25In realtà nessuno si è mai venduto per fare il male agli occhi del Signore come Acab, perché sua moglie Gezabele l'aveva istigato. 26Commise molti abomini, seguendo gli idoli, come avevano fatto gli Amorrei, che il Signore aveva scacciato davanti agli Israeliti. 27Quando sentì tali parole, Acab si stracciò le vesti, indossò un sacco sul suo corpo e digiunò; si coricava con il sacco e camminava a testa bassa. 28La parola del Signore fu rivolta a Elia, il Tisbita: 29"Hai visto come Acab si è umiliato davanti a me? Poiché si è umiliato davanti a me, non farò venire la sciagura durante la sua vita; farò venire la sciagura sulla sua casa durante la vita di suo figlio".
Salmo Responsoriale
Dal Sal 50(51)
R. Pietà di noi, Signore: abbiamo peccato.
Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;
nella tua grande misericordia
cancella la mia iniquità.
Lavami tutto dalla mia colpa,
dal mio peccato rendimi puro. R.
Sì, le mie iniquità io le riconosco,
il mio peccato mi sta sempre dinanzi,
Contro di te, contro te solo ho peccato,
quello che è male ai tuoi occhi, io l'ho fatto. R.
Distogli lo sguardo dai miei peccati,
cancella tutte le mie colpe.
Liberami dal sangue, o Dio, Dio mia salvezza:
la mia lingua esalterà la tua giustizia. R.
Vangelo
Mt 5,43-48
43Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. 44Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, 45affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. 46Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? 47E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? 48Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.
Approfondimenti
Matteo è l’unico evangelista a usare l’aggettivo tèleios (τέλειος), qui e in 19,21 con il giovane ricco. Questa idea è presente soprattutto nelle lettere paoline, in 1Gv e in Gc.
L’aggettivo, tuttavia, è ben radicato nell’Antico Testamento e nella tradizione giudaica, con diverse possibili sfumature: l’irreprensibilità di Israele, l’uomo interamente rivolto a Dio, l’animale idoneo al sacrificio in quanto privo di imperfezioni (Es 12,5). Noè, l’unico “giusto” nel libro della Genesi, è definito anche “perfetto” (Gen 6,9), nel senso di “integro”.
Qui, nel contesto del Discorso della Montagna, l’invito alla perfezione potrebbe indicare la scelta di andare oltre il senso letterale della Legge per individuarne e metterne in pratica il cuore.
Amare i nemici
Se ieri il libro dei Re ci è servito per non fraintendere la parola del vangelo, oggi accade il contrario. Sono le infuocate parole di Gesù a farci entrare nelle profondità di un racconto di peccato, pentimento e perdono. Vicenda purtroppo così ordinaria, nella quale ci risulta sempre un po’ difficile fare i conti con chi sembra porsi contro i nostri movimenti e i nostri progetti. Coloro che il nostro cuore non esita a considerare nemici.
«Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo” e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,43-44).
Se in astratto questo invito non può che sembrarci esagerato e arduo da praticare, in pratica esso risulta molto più realistico e possibile di molte altre strade, (solo) apparentemente più facili o risolutive. Ne offre una singolare conferma la storia di Acab, colpevole di aver ceduto ai capricci del cuore e, ancora di più, di aver permesso alla moglie di tradurli in progetti di prevaricazione e di morte. Raggiunto dalla temibile sentenza di condanna che il Signore ha affidato alla voce del profeta Elia, sorprendentemente, il malvagio re si lascia trovare.
Acab disse a Elìa: «Mi hai dunque trovato, o mio nemico?». Quello soggiunse: «Ti ho trovato, perché ti sei venduto per fare ciò che è male agli occhi del Signore» (1Re 21,20-21).
Il breve scambio di battute tra il re e il profeta contiene due rivelazioni. Il male lo possiamo fare solo dopo esserci venduti ad altri, anziché esserci offerti — così come siamo — a Dio. Questa è la prima. La seconda è ancora più abbagliante: il nostro vero nemico non è chi ci perseguita, ma chi viene a svelarci la verità del nostro bisogno di essere salvati. Acab si arrende di fronte al nemico dei suoi misfatti, lasciando che quella particolare forma di inimicizia il cui nome è — semplicemente — “verità” lo introduca in una profonda umiliazione.
Quando sentì tali parole, Acab si stracciò le vesti, indossò un sacco sul suo corpo e digiunò; si coricava con il sacco e camminava a testa bassa (1Re 21,27).
Amare i nemici non è un comandamento impossibile. È un cammino di verità per chi ha cominciato ad avere un’idea di sé non più ingannata, ma purificata dalle umiliazioni e dai fallimenti della vita. I nemici li può amare chi sa che la vita ha bisogno di essere perdonata per crescere. Chi è persuaso che la perfezione è — solo — nell’amore. Che (si) dona anche quando non è giusto e non conviene. Perché così è bello.
«[...] affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5,45).
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