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Commento alla Liturgia
Lunedì della XIII settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
Am 2,6-10.13-15
6Così dice il Signore: "Per tre misfatti d'Israele e per quattro non revocherò il mio decreto di condanna, perché hanno venduto il giusto per denaro e il povero per un paio di sandali, 7essi che calpestano come la polvere della terra la testa dei poveri e fanno deviare il cammino dei miseri, e padre e figlio vanno dalla stessa ragazza, profanando così il mio santo nome. 8Su vesti prese come pegno si stendono presso ogni altare e bevono il vino confiscato come ammenda nella casa del loro Dio. 9Eppure io ho sterminato davanti a loro l'Amorreo, la cui statura era come quella dei cedri e la forza come quella della quercia; ho strappato i suoi frutti in alto e le sue radici di sotto. 10Io vi ho fatto salire dalla terra d'Egitto e vi ho condotto per quarant'anni nel deserto, per darvi in possesso la terra dell'Amorreo. 13Ecco, vi farò affondare nella terra, come affonda un carro quando è tutto carico di covoni. 14Allora nemmeno l'uomo agile potrà più fuggire né l'uomo forte usare la sua forza, il prode non salverà la sua vita 15né l'arciere resisterà, non si salverà il corridore né il cavaliere salverà la sua vita.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 49(50)
R. Perdona, Signore, l’infedeltà del tuo popolo.
«Perché vai ripetendo i miei decreti
e hai sempre in bocca la mia alleanza,
tu che hai in odio la disciplina
e le mie parole ti getti alle spalle? R.
Se vedi un ladro, corri con lui
e degli adùlteri ti fai compagno.
Abbandoni la tua bocca al male
e la tua lingua trama inganni. R.
Ti siedi, parli contro il tuo fratello,
getti fango contro il figlio di tua madre.
Hai fatto questo e io dovrei tacere?
Forse credevi che io fossi come te!
Ti rimprovero: pongo davanti a te la mia accusa. R.
Capite questo, voi che dimenticate Dio,
perché non vi afferri per sbranarvi
e nessuno vi salvi.
Chi offre la lode in sacrificio, questi mi onora;
a chi cammina per la retta via
mostrerò la salvezza di Dio». R.
Vangelo
Mt 8,18-22
18Vedendo la folla attorno a sé, Gesù ordinò di passare all'altra riva. 19Allora uno scriba si avvicinò e gli disse: "Maestro, ti seguirò dovunque tu vada". 20Gli rispose Gesù: "Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo". 21E un altro dei suoi discepoli gli disse: "Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre". 22Ma Gesù gli rispose: "Seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti".
Affondare
Le parole di Gesù nel vangelo di oggi appaiono dure e nette. Troppo, forse, se poste in relazione con i desideri — apparentemente — sinceri e le richieste — apparentemente — legittime che uno scriba e un discepolo provano a manifestare a un Signore sempre più deciso a portare a termine la sua missione:
«Seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti» (Mt 8,22).
In realtà le risposte di Gesù, per quanto possano sembrare poco sensibili alle condizioni — magari anche alla fragilità — dei suoi interlocutori, nascono da una profonda attenzione al modo con cui la nostra umanità è capace di rimanere in posizioni tragicamente ambigue. Pur vedendo molta folla attorno a sé, il Maestro intuisce che essere vicini non significa necessariamente essere anche disposti a mettere il Regno di Dio prima di ogni altra cosa, davanti a ogni dono ricevuto e restituito. Per questo la sua proposta di viaggio si trasforma in un preciso ordine «di passare all’altra riva» (8,18). Il Signore Gesù conosce bene quanto sia per noi difficile rimanere in questa vita come pellegrini e forestieri. Esperto della nostra umanità, è consapevole che il nostro freno a mano — sempre tirato — è la paura del cambiamento, che si declina nelle innumerevoli forme di indecisione e di indolenza con cui tentiamo di fotocopiare i giorni, anziché liberarli a un “di più” e a un meglio sempre possibili nella logica e nella creatività dell’amore. Per questo ci regala parole così decise nei confronti di una sequela che deve strapparci, anzitutto, da noi stessi e dal rischio di preservare la nostra vita, sotto il nobile pretesto di conservare quella degli altri e i legami stabiliti con loro.
Mentre «il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (8,20) pare che i ricchi apostrofati dal profeta Amos non si facciano tanti scrupoli nel posare i piedi sui più deboli e inermi, incuranti della loro situazione di bisogno:
«Essi che calpestano come la polvere della terra la testa dei poveri e fanno deviare il cammino dei miseri, e padre e figlio vanno dalla stessa ragazza, profanando così il mio santo nome» (Am 2,7).
Forse non ci accorgiamo di quanto siano intimamente connessi il poco coraggio nella conversione al vangelo e il quotidiano — e tanto — egoismo di cui vorremmo liberarci. Eppure il salmista è lucidissimo nella sua analisi: esiste un modo di avere «in bocca l’alleanza» solo apparente, capace di convivere con un «odio» nei confronti della «disciplina» e un’abitudine a gettare il «fango contro il figlio di tua madre» (salmo responsoriale).
Quando la distanza tra noi e Dio si fa così grande — pur dentro l’illusione di una certa prossimità — ci possono salvare solo la forza impetuosa di una minaccia e la prospettiva di una sanzione. Non quella di chi, adirato, vuole infliggerci una punizione per la nostra condotta. Quella di chi, così affezionato a noi e amante della nostra vita, è disposto a metterci a nudo, piuttosto che vederci camminare, dietro a lui, coperti di stracci e di maschere. E così ordina alla terra sotto i nostri piedi di tremare. Per dirci, apertamente, che affondare è meglio che sopravvivere:
«Ecco, vi farò affondare nella terra, come affonda un carro quando è tutto carico di covoni. Allora nemmeno l’uomo agile potrà più fuggire né l’uomo forte usare la sua forza, il prode non salverà la sua vita né l’arciere resisterà, non si salverà il corridore né il cavaliere salverà la sua vita» (Am 2,13-15).
Il coraggio che salva — e cambia — la nostra vita, insieme a quella degli altri, non è quello che ci fa osare sempre nuove sfide, ma quello che ci fa fuggire via così come siamo, poveri come la realtà — talvolta — è capace di fotografarci. Per consegnarci a un nuovo incontro con «la salvezza di Dio» (salmo responsoriale).
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