www.nellaparola.it
La stessa espressione ricorre in 8,12 per indicare gli appartenenti al popolo dell’alleanza, Israele. Forse un segnale del fatto che nella comunità di Matteo non vi è ancora una frattura tra essere ebreo e essere discepolo di Gesù. Interessante notare che, diversamente dalla parabola del seminatore in cui i semi erano le parole del Regno, qui sono i figli di Israele a essere disseminati nel grande campo del mondo (cf. Mt 28,19-20).
Si potrebbe tradurre anche “compimento del tempo” questa espressione presente solo in Matteo in tutto il NT e caratteristica della letteratura apocalittica giudaica: sul piano semantico, sunteleia aiōnos (συντέλεια αἰῶνός) rimanda a qualcosa che completa quanto è già presente.
Questa immagine presa da Daniele 12,3 richiama anche il Cantico di Debora del libro dei Giudici 5,31. Secondo alcuni esegeti, la descrizione del volto di Gesù nella trasfigurazione raccontata da Matteo richiamerebbe queste parole, a dire che la sua trasfigurazione mostra già ora quale sarà la sorte di tutti i giusti.
Commento alla Liturgia
Martedì della XVII settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
Ger 14,17-22
17Tu riferirai questa parola: I miei occhi grondano lacrime notte e giorno, senza cessare, perché da grande calamità è stata colpita la vergine, figlia del mio popolo, da una ferita mortale. 18Se esco in aperta campagna, ecco le vittime della spada; se entro nella città, ecco chi muore di fame. Anche il profeta e il sacerdote si aggirano per la regione senza comprendere". 19Hai forse rigettato completamente Giuda, oppure ti sei disgustato di Sion? Perché ci hai colpiti, senza più rimedio per noi? Aspettavamo la pace, ma non c'è alcun bene, il tempo della guarigione, ed ecco il terrore! 20Riconosciamo, Signore, la nostra infedeltà, la colpa dei nostri padri: abbiamo peccato contro di te. 21Ma per il tuo nome non respingerci, non disonorare il trono della tua gloria. Ricòrdati! Non rompere la tua alleanza con noi. 22Fra gli idoli vani delle nazioni c'è qualcuno che può far piovere? Forse che i cieli da sé mandano rovesci? Non sei piuttosto tu, Signore, nostro Dio? In te noi speriamo, perché tu hai fatto tutto questo.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 78(79)
R. Salvaci, Signore, per la gloria del tuo nome.
Non imputare a noi le colpe dei nostri antenati:
presto ci venga incontro la tua misericordia,
perché siamo così poveri! R.
Aiutaci, o Dio, nostra salvezza,
per la gloria del tuo nome;
liberaci e perdona i nostri peccati
a motivo del tuo nome. R.
Giunga fino a te il gemito dei prigionieri;
con la grandezza del tuo braccio
salva i condannati a morte. R.
E noi, tuo popolo e gregge del tuo pascolo,
ti renderemo grazie per sempre;
di generazione in generazione narreremo la tua lode. R.
Vangelo
Mt 13,36-43
36Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: "Spiegaci la parabola della zizzania nel campo". 37Ed egli rispose: "Colui che semina il buon seme è il Figlio dell'uomo. 38Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno 39e il nemico che l'ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. 40Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. 41Il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità 42e li getteranno nella fornace ardente , dove sarà pianto e stridore di denti. 43Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!
Note
Senza comprendere
Le domande che il profeta Geremia solleva, di fronte alla situazione di esilio in cui si trova il popolo di Israele, potrebbero essere una drammatica e interessante chiave di accesso alla spiegazione della parabola della zizzania, che oggi ascoltiamo come vangelo:
«Hai forse rigettato completamente Giuda, oppure ti sei disgustato di Sion? Perché ci hai colpiti, senza più rimedio per noi?» (Ger 14,19).
Ogni volta che la realtà diventa un luogo di sconforto e di dolore, dove gli «occhi grondano lacrime notte e giorno, senza cessare», siamo misteriosamente capaci di affrontare e di porre le domande più decisive: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo» (Mt 13,36).
Questa parabola, secondo gli esegeti, è stata inserita nel primo vangelo per la sua evidente preoccupazione di raccogliere tutti gli insegnamenti del Maestro utili a sciogliere le grandi problematiche che la prima chiesa ha dovuto affrontare. Tra queste, una delle domande cruciali che gli apostoli si sono posti è il perché, all’interno della comunità dei credenti, si insinua la presenza del male. Si tratta di un ragionevole dubbio, dal momento che un campo seminato a grano buono non dovrebbe produrre altro che buoni fiori e frutti. La risposta di Gesù ruota attorno all’idea che non si debba alimentare in alcun modo il bisogno e la tentazione di ergersi a giudici di quei processi storici di salvezza, verso i quali solo Dio può avere uno sguardo capace di coniugare verità e misericordia:
«Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti» (Mt 13,40-42).
Attraverso queste parole, il Signore Gesù rinuncia a spiegare perché nel suo Regno possono convivere, gli uni accanto agli altri, «i figli del Regno» e «i figli del Maligno» (13,38), ma vuole affermare che la paternità di quest’ultimo non è Dio, ma il suo «nemico» (13,39), di cui è inutile cercare ulteriori informazioni, mentre è necessario riconoscerne la presenza per non metterla mai sullo stesso piano dell’Autore della vita. L’intenzione della parabola non è dunque quella di spiegare l’origine del male e di illustrarne il suo ultimo destino. Il discorso parabolico, con la sua ricchezza di immagini e di sfumature, anziché formulare risposte precise, ne favorisce la ricerca e l’elaborazione personale nel cuore di chi ascolta e si lascia interrogare. Si tratta di un modo per accrescere la tensione verso le realtà ultime, senza temere la fine dei tempi come una minaccia, ma come un luogo di compimento e di verità.
È vero, l’evidenza del male è spesso schiacciante, sembra soffocare ogni possibile speranza del cuore:
«Se esco in aperta campagna, ecco le vittime della spada; se entro nella città, ecco chi muore di fame. Anche il profeta e il sacerdote si aggirano senza comprendere» (Ger 14,18).
Eppure, le ultime parole con cui il Signore Gesù compendia il suo insegnamento parabolico introducono l’immagine del campo dove crescono il buon seme e la zizzania dentro un’atmosfera luminosa, di vita e di speranza:
«Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti» (Mt 13,43).
Più che essere spiegato e compreso, il male ha solo bisogno di essere avvolto e sconfitto dalla paziente forza del bene, che accetta il confronto con la differenza senza alcun timore. Al discepolo di Cristo non è chiesto di eliminare dal campo del mondo il mistero del male, ma di saperlo combattere avendo sempre l’umiltà e il coraggio di ripartire dalla propria personale responsabilità e dalla solidarietà con quanti ci stanno dietro e accanto:
«Riconosciamo, Signore, la nostra infedeltà, la colpa dei nostri padri: abbiamo peccato contro di te» (Ger 14,20).
Cerca nei commenti