www.nellaparola.it
Il verbo diakonèō (διακονέω) compare in Matteo altre quattro volte, confermando per lo più il significato di “servire a tavola”, di prendersi cura del bisogno di un altro, ma allo stesso tempo lo amplia, come in questo versetto, fino a esprimere il servizio proprio di Gesù, per cui egli è venuto: quello che arriva a dare la vita a favore di altri.
Unica occorrenza nel Vangelo di Matteo, il sostantivo lutron (λύτρον) contiene il verbo luō (λύω), che significa “sciogliere, slegare, liberare”, e indica propriamente il “prezzo del riscatto” che nell’antichità occorreva pagare per l’affrancamento degli schiavi. In Matteo richiama anche il rituale giudaico del giorno dell’Espiazione, e in questa ottica sacrificale il primo evangelista anticipa la riflessione sulla passione di Cristo, la cui morte è data “in cambio per” la vita e la salvezza altrui.
L’aggettivo polùs (πολύς) è molto importante in questo detto, che esprime l’autocoscienza di Gesù rispetto alla propria missione salvifica. Nel linguaggio dei profeti, i “molti” per eccellenza sono Israele, ed è anzitutto per il suo popolo che Gesù offre la sua morte, ma già nei profeti la prospettiva si allarga includendo le nazioni, ovvero i pagani, citati qui al v. 19 come coloro a cui il Signore viene consegnato. Quando Gesù dice “molti”, infatti, non è per escludere qualcuno, ma per cominciare da qualcuno e arrivare a includere “tutti”.
Commento alla Liturgia
S. Giacomo
Prima lettura
2Cor 4,7-15
7Noi però abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi. 8In tutto, infatti, siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; 9perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, 10portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. 11Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo consegnati alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale. 12Cosicché in noi agisce la morte, in voi la vita. 13Animati tuttavia da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto: Ho creduto, perciò ho parlato , anche noi crediamo e perciò parliamo, 14convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi. 15Tutto infatti è per voi, perché la grazia, accresciuta a opera di molti, faccia abbondare l'inno di ringraziamento, per la gloria di Dio.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 125(126)
R. Chi semina nelle lacrime mieterà nella gioia.
Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion,
ci sembrava di sognare.
Allora la nostra bocca si riempì di sorriso,
la nostra lingua di gioia. R.
Allora si diceva tra le genti:
«Il Signore ha fatto grandi cose per loro».
Grandi cose ha fatto il Signore per noi:
eravamo pieni di gioia. R.
Ristabilisci, Signore, la nostra sorte,
come i torrenti del Negheb.
Chi semina nelle lacrime
mieterà nella gioia. R.
Nell'andare, se ne va piangendo,
portando la semente da gettare,
ma nel tornare, viene con gioia,
portando i suoi covoni. R.
Vangelo
Mt 20,20-28
20Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedeo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa. 21Egli le disse: "Che cosa vuoi?". Gli rispose: "Di' che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno". 22Rispose Gesù: "Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?". Gli dicono: "Lo possiamo". 23Ed egli disse loro: "Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato". 24Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli. 25Ma Gesù li chiamò a sé e disse: "Voi sapete che i governanti delle nazioni dóminano su di esse e i capi le opprimono. 26Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore 27e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. 28Come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti".
Note
Al largo
In un inno della Liturgia monastica per gli Apostoli si canta così: «Lo Spirito soffia su di voi, uomini che prendono il largo, gettate in noi l’amo del desiderio di Dio e rilanciate il nostro cammino». Parole adattissime all’apostolo Giacomo, fratello di Giovanni, che il Vangelo di questa festa ci presenta in una luce almeno ambigua, per la richiesta maldestra di sua «madre» (Mt 20,20) che, nella tradizione della Chiesa, è legata al mare: dall’inizio a oltre la fine. È infatti in riva al «mare della Galilea» (Mc 1,16) che la sua storia di intimità con il Maestro comincia, ed è al cospetto dell’Oceano che la tradizione vuole sia conservata la sua tomba. Sappiamo dagli Atti che il desiderio di sua madre venne esaudito, poiché verso l’anno 44 Erode Agrippa «fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni» (At 12,2). La liturgia fa memoria di questo privilegio quando prega dicendo: «tu hai voluto che san Giacomo, primo fra gli apostoli, sacrificasse la vita per il vangelo» (Colletta). Ma come dimenticare la domanda postagli direttamente dal Signore Gesù al cospetto della madre intrigante: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». La risposta fu immediata e unanime:
«Lo possiamo» (Mt 20,22).
E così questi due apostoli-fratelli sono posti - dalla tradizione - agli estremi del tempo, nel dono della vita per Cristo e il suo vangelo: Giacomo per primo e Giovanni per ultimo, quasi a sigillo della partecipazione pasquale dell’intero gruppo degli apostoli:
«a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale» (2Cor 4,11).
L’apostolo Giacomo - che molto probabilmente non è mai uscito dai confini della sua terra - ha veramente gettato la rete della sua vita al largo. Quelle reti bucate che lui e il fratello «riassettavano» (Mt 4,21) sulla barca, con il loro padre, sono diventate un cuore che si è lasciato sprofondare nel mare del mistero di Cristo, fino a portarlo pienamente come «un tesoro in vasi di creta» (2Cor 4,7). Le conchiglie che i pellegrini portano con sé, come ricordo del loro pellegrinaggio a Campostela, sono la memoria di questo desiderio di immergersi nell’oceano del mistero pasquale di Cristo, portandosi sempre di più «al largo» (Lc 5,4) del suo amore. Ed è così che si compie la parola del salmo:
«Nell’andare, se ne va e piange, portando la semente da gettare, ma nel tornare, viene con giubilo, portando i suoi covoni» (Sal 125,6).
Chiamato assieme a suo fratello, Giacomo non ha smesso di seguire il Signore insieme ad altri e, di questo pellegrinaggio infinito, la sua tomba si fa punto di riferimento. Nella vita di fede non si possono cercare privilegi, neppure quelli di una maggiore vicinanza al Signore e Maestro della nostra vita: questo tradirebbe infatti la stessa logica del discepolato che, per sua natura, è vissuto in comunione. Nessuno è soltanto uditore e nessuno è solo protagonista, ma si cammina insieme senza troppi programmi e in docilità crescente alla logica della strada. La parola di ciascuno, sottomessa all’ascesi del silenzio, entra in armonia e in contrappunto con la parola dell’altro. Come spiega stupendamente un autore contemporaneo: nessuno può pensare di credere veramente alla verità se pensa di esserne l’unico discepolo e garante spinoso e solitario. Così afferma: «La verità vive nell’amore ma si sottrae alla sua gelosia». Chi infatti – pur con le migliori intenzioni - esclude l’altro, non fa che separarsi da una parte di se stesso poiché, come continua la citazione di cui sopra: «l’assoluto che si riceve è quello che si condivide» (P.A. LESORT, Une brassée de confessions de foi, Seuil, p. 191).
Cerca nei commenti