www.nellaparola.it
Gli imperativi biblici esigono dagli uomini più di quanto possano dare. In questo caso, la distanza da assumere nei confronti dei beni corrisponde a una necessità teologica (non si può servire Dio e la ricchezza) ed etica: Luca esige la divisione e non la povertà, per esprimere il distacco interiore dai beni e incoraggiare la carità.
Questa espressione significa avere consapevolezza dell’ora in cui si vive, fissare la propria attenzione sull’essenziale, liberarsi da ogni ingombro, dimenticarsi di se stessi, prepararsi ad accogliere la parola di Dio. Inoltre, allude al simbolismo pasquale, ricordando in particolare le modalità della partenza del popolo ebraico dall’Egitto.
Letteralmente, “lascia” il banchetto nuziale di un amico o di un parente. Infatti, il verbo analùō (ἀναλύω) significa “slegare, levare l’ancora, partire”, e spesso anche “ritornarsene”, come qui.
La traduzione letterale di questa formula suona “alla seconda o alla terza veglia”, in greco phulakē (φυλακῇ). La notte degli ebrei, infatti, si divideva in tre veglie (quattro sotto l’influenza romana).
Il termine hōra (ὥρα) ha una grande importanza in Luca, come in Giovanni. Può designare un momento determinato, una parte del giorno, un’ora importante, il momento utile di cui dispone qualcuno (per es, l’ora delle tenebre, o degli avversari di Gesù). In questi versetti, unita alla coscienza dell’ignoranza, è connessa al tema della vigilanza.
La parola «pronti» (ἕτοιμος) può indicare anche il feto, quando giunto al sesto mese, è ormai vicino alla capacità di evolvere verso una vita piena e autonoma.
il verbo che traduciamo con immaginare (δοκέω) può avere il significato di: «ritenere probabile», «pensare», «credere».
Il termine hōra (ὥρα) ha una grande importanza in Luca, come in Giovanni. Può designare un momento determinato, una parte del giorno, un’ora importante, il momento utile di cui dispone qualcuno (per es, l’ora delle tenebre, o degli avversari di Gesù). In questi versetti, unita alla coscienza dell’ignoranza, è connessa al tema della vigilanza.
Il vocabolo therapèia (θεραπεία) significa “il servizio”, in particolare il servizio domestico, ma anche “le cure” date ai malati e “il culto” reso agli dei. L’economo, dunque, è stato posto a capo del servizio, cioè dei servitori. Dal momento che Luca ama cumulare i significati, probabilmente considera queste cure per gli altri una forma di culto reso a Dio.
L’aggettivo phrònimos (φρόνιμος), “accorto, saggio”, va considerato come espressione di sapienza religiosa, non di intelligenza autonoma; qualifica l’intelligenza del ministro cristiano che compie la volontà di Dio nel servizio reso a beneficio degli altri. Rarissimo in Luca, l’aggettivo rispecchia il senso che ha nella letteratura sapienziale giudaica e paleocristiana: essere “saggi in Dio”.
Letteralmente, il testo dice “lo taglierà in due”, dichotomèō (διχοτομέω). Unica occorrenza di questo verbo nel Nuovo Testamento, forse si riferisce a due punizioni successive: un supplizio di origine persiana applicato allo schiavo condannato e poi la pena definitiva inflitta da Dio come condivisione della sorte degli infedeli. Anche il profeta Geremia aveva evocato questa reazione da parte di Dio verso gli abitanti di Gerusalemme che, dopo aver liberato i loro schiavi, li ridussero di nuovo in schiavitù (34,18: io li renderò come il vitello che tagliarono in due passando fra le due metà).
Commento alla Liturgia
XIX Domenica Tempo Ordinario
Prima lettura
Sap 18,6-9
6Quella notte fu preannunciata ai nostri padri, perché avessero coraggio, sapendo bene a quali giuramenti avevano prestato fedeltà. 7Il tuo popolo infatti era in attesa della salvezza dei giusti, della rovina dei nemici. 8Difatti come punisti gli avversari, così glorificasti noi, chiamandoci a te. 9I figli santi dei giusti offrivano sacrifici in segreto e si imposero, concordi, questa legge divina: di condividere allo stesso modo successi e pericoli, intonando subito le sacre lodi dei padri.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 32(33)
R. Beato il popolo scelto dal Signore.
Esultate, o giusti, nel Signore;
per gli uomini retti è bella la lode.
Beata la nazione che ha il Signore come Dio,
il popolo che egli ha scelto come sua eredità. R.
Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme,
su chi spera nel suo amore,
per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame. R.
L’anima nostra attende il Signore:
egli è nostro aiuto e nostro scudo.
Su di noi sia il tuo amore, Signore,
come da te noi speriamo. R.
Seconda Lettura
Eb 11,1-2.8-19
1La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede. 2Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio. 8Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. 9Per fede, egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. 10Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso. 11Per fede, anche Sara, sebbene fuori dell'età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso. 12Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare e non si può contare. 13Nella fede morirono tutti costoro, senza aver ottenuto i beni promessi, ma li videro e li salutarono solo da lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sulla terra. 14Chi parla così, mostra di essere alla ricerca di una patria. 15Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto la possibilità di ritornarvi; 16ora invece essi aspirano a una patria migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non si vergogna di essere chiamato loro Dio. Ha preparato infatti per loro una città. 17Per fede, Abramo, messo alla prova, offrì Isacco, e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito figlio, 18del quale era stato detto: Mediante Isacco avrai una tua discendenza. 19Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo.
Vangelo
Lc 12,32-48
32Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno. 33Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. 34Perché, dov'è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore. 35Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; 36siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. 37Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. 38E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell'alba, li troverà così, beati loro! 39Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. 40Anche voi tenetevi pronti perché, nell'ora che non immaginate, viene il Figlio dell'uomo". 41Allora Pietro disse: "Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?". 42Il Signore rispose: "Chi è dunque l'amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? 43Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. 44Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi. 45Ma se quel servo dicesse in cuor suo: "Il mio padrone tarda a venire" e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, 46il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l'aspetta e a un'ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli. 47Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; 48quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più.
Note
Approfondimenti
In questo versetto si opera una distinzione tra ogni servitore, che ha ricevuto perché gli è stato dato (dìdōmi, δίδωμι) in termini di talenti naturali e di salvezza, e ogni responsabile, colui al quale il padrone ha affidato (paratìthēmi, παρατίθημι) un incarico direttivo particolare nella sua chiesa.
Una distinzione che non riguarda la quantità (definita in entrambi i casi con “molto”), ma lo statuto del gesto: dono esigente in un caso e affidamento di responsabilità nell’altro.
Senza inasprire la distinzione, a tutti Dio dona, ad alcuni affida. Per Luca, poi, la vita cristiana e la vita ecclesiale includono necessariamente una resa dei conti, prevista dalla benevolenza di Dio, cioè nel senso dell’amore.
In questo versetto si opera una distinzione tra ogni servitore, che ha ricevuto perché gli è stato dato (dìdōmi, δίδωμι) in termini di talenti naturali e di salvezza, e ogni responsabile, colui al quale il padrone ha affidato (paratìthēmi, παρατίθημι) un incarico direttivo particolare nella sua chiesa.
Una distinzione che non riguarda la quantità (definita in entrambi i casi con “molto”), ma lo statuto del gesto: dono esigente in un caso e affidamento di responsabilità nell’altro.
Senza inasprire la distinzione, a tutti Dio dona, ad alcuni affida. Per Luca, poi, la vita cristiana e la vita ecclesiale includono necessariamente una resa dei conti, prevista dalla benevolenza di Dio, cioè nel senso dell’amore.
Coraggio
Siamo come bambini cui è stata fatta una promessa e che attendono il ritorno della mamma o del papà, in attesa di scoprire concretamente di quale dono si tratti. L’unica cosa che i bambini, a cui è stata fatta la promessa di un dono, non riescono a pensare - anche quando nell’attesa ciondolano dal sonno - è che il papà non torni e che la promessa si possa rivelare, in reatà, un inganno:
«siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito» (Lc 12,36).
All’immagine dei bambini che attendono fiduciosi il concretizzarsi delle promesse, il Vangelo accosta quella di servi che - in una gioia contagiosa - attendono trepidi il ritorno del loro padrone dalle nozze. Del resto, cosa mai non si è capaci di dare quando si è innamorati e si vive l’ebrezza di un amore coronato, in questa attesa fatta di certezza irremovibile? Alla fine, è molto difficile distinguere se la cosa più importante sia il dono atteso o la conferma che ci si può fidare della parola di chi si è legato a noi nell’alleanza di una promessa scambiata, tanto da non poter minimamente dubitare della sua parola. Noi tutti, sin dalla più tenera età e talora fino al penultimo respiro, ci dibattiamo in questo combattimento della fiducia nell’altro, questa fiducia è l’anima dello stesso combattimento della fede come promessa di compimento:
«Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno» (Lc 12,32).
La fede di cui si parla nella seconda lettura è il viaggio di cui si parla nella prima. Ma come dimenticare che la fede non è qualcosa che riguarda noi, ma che riguarda prima di tutto e soprattutto Dio stesso? È come quando si parte in montagna: i nostri cammini sono sempre incerti, faticosi e, non raramente, si ha la tentazione di fermarsi. Nondimeno, la certezza che la montagna non si sposti e resti dove è ad attenderci, dà la sicurezza della meta all’incerto e faticoso cammino. Se le montagne si spostassero… allora la cosa sarebbe disperante perché ogni passo potrebbe rivelarsi inutile, fino a esasperare ogni speranza di poter raggiungere la meta. La Sapienza esorta ardentemente facendo memoria: «La notte della liberazione fu preannunciata ai nostri padri, perché avessero coraggio, sapendo bene a quali giuramenti avevano prestato fedeltà» tanto che
«i figli santi dei giusti offrivano sacrifici in segreto e si imposero, concordi, questa legge divina: di condividere allo stesso modo successi e pericoli» (Sap 18,6.9).
Di quesi «successi e pericoli» troviamo un’evocazione litanica nel capitolo undecimo della Lettera agli Ebrei, di cui leggiamo una parte nella liturgia di questa domenica. La cifra riassuntiva di Abramo, come archetipo dell’uomo di fede, è che «Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso» (Eb 11,10). È in questa fiducia irremovibile nella promessa di un altro che si basa la capacità di attendere e di vegliare. L’invito alla fiducia del Signore è un invito alla laboriosità e alla veglia festosa e serena poiché
«A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più» (Lc 12,48).
Ci trovi il Signore al posto del nostro desiderio e, nel frattempo, vigiliamo e lavoriamo perché esso trovi il suo giusto posto nel quotidiano «coraggio» dell’esodo quotidiano.
Cerca nei commenti