Commento alla Liturgia

Lunedì della XXIV settimana di Tempo Ordinario

Prima lettura

1Cor 11,17-26

17Mentre vi do queste istruzioni, non posso lodarvi, perché vi riunite insieme non per il meglio, ma per il peggio. 18Innanzi tutto sento dire che, quando vi radunate in assemblea, vi sono divisioni tra voi, e in parte lo credo. 19È necessario infatti che sorgano fazioni tra voi, perché in mezzo a voi si manifestino quelli che hanno superato la prova. 20Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. 21Ciascuno infatti, quando siete a tavola, comincia a prendere il proprio pasto e così uno ha fame, l'altro è ubriaco. 22Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio e umiliare chi non ha niente? Che devo dirvi? Lodarvi? In questo non vi lodo! 23Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane 24e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: "Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me". 25Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me". 26Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.

Salmo Responsoriale

Dal Sal 39(40)

R. Annunciate la morte del Signore, finché egli venga.

Sacrificio e offerta non gradisci,
gli orecchi mi hai aperto,
non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato.
Allora ho detto: «Ecco, io vengo. R.
 
Nel rotolo del libro su di me è scritto
di fare la tua volontà:
mio Dio, questo io desidero;
la tua legge è nel mio intimo». R.
 
Ho annunciato la tua giustizia
nella grande assemblea;
vedi: non tengo chiuse le labbra,
Signore, tu lo sai. R.
 
Esultino e gioiscano in te
quelli che ti cercano;
dicano sempre: «Il Signore è grande!»
quelli che amano la tua salvezza. R.

Vangelo

Lc 7,1-10

1Quando ebbe terminato di rivolgere tutte le sue parole al popolo che stava in ascolto, Gesù entrò in Cafàrnao. 2Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l'aveva molto caro. 3Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo. 4Costoro, giunti da Gesù, lo supplicavano con insistenza: "Egli merita che tu gli conceda quello che chiede - dicevano -, 5perché ama il nostro popolo ed è stato lui a costruirci la sinagoga". 6Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto distante dalla casa, quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli: "Signore, non disturbarti! Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; 7per questo io stesso non mi sono ritenuto degno di venire da te; ma di' una parola e il mio servo sarà guarito. 8Anch'io infatti sono nella condizione di subalterno e ho dei soldati sotto di me e dico a uno: "Va'!", ed egli va; e a un altro: "Vieni!", ed egli viene; e al mio servo: "Fa' questo!", ed egli lo fa". 9All'udire questo, Gesù lo ammirò e, volgendosi alla folla che lo seguiva, disse: "Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!". 10E gli inviati, quando tornarono a casa, trovarono il servo guarito.

Commento alla Liturgia

Aspettarsi

Roberto Pasolini

Nella figura del centurione, che domanda e ottiene la guarigione di un servo in fin di vita, il Signore Gesù può ammirare un’attitudine di fiducia e di speranza tale da essere indicata alla «folla» di discepoli «che lo seguiva» come un punto di riferimento per chiunque voglia portare a compimento la costruzione della propria umanità secondo il desiderio e il disegno di Dio:

«Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!» (Lc 7,9).

La narrazione evangelica lascia intendere come questa luminosa capacità di affidamento non sia né l’ostentazione di una virtù, né l’improvvisazione di un atteggiamento religioso con cui quest’uomo sembra in grado di affrontare la realtà, anche nelle sue latitudini più sofferte e incerte.
Naturalmente, il primo tratto che emerge dall’affresco che l’evangelista Luca fa di quest’uomo pagano è che, pur essendo estraneo alla sensibilità religiosa di Israele, si manifesta invece molto attento alla custodia delle sue tradizioni. Lo attesta la voce di alcuni anziani Giudei, che sostengono con forza la sua causa davanti a Gesù, manifestando un modo di ragionare tipicamente «religioso»:

«Egli merita che tu gli conceda quello che chiede – dicevano –, perché ama il nostro popolo ed è stato lui a costruirci la sinagoga» (Lc 7,4-5).

In realtà, ciò che fa breccia nel cuore di Gesù non sembra essere tanto la questione del merito — categoria che il suo vangelo intende piuttosto azzerare — quanto quella della sensibilità all’altro, che il centurione sembra avere nei confronti di tutti, anche (e soprattutto) delle persone più deboli e indifese che vivono accanto a lui:

«Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l’aveva molto caro» (Lc 7,2).

Non era affatto scontato per un comandante militare prendersi così a cuore la sorte di uno schiavo, la cui importanza non poteva che essere direttamente proporzionale alla sua capacità di servizio. Eppure, il centurione si mostra capace di un’insolita e genuina compassione nei confronti del suo schiavo, al punto da preoccuparsi e attivarsi per sostenere il suo processo di guarigione.
Una conferma di questa gratuita e premurosa attenzione agli altri possiamo poi scorgerla nella scelta di inviare «alcuni amici» (7,6) per evitare di mettere Gesù nell’imbarazzo di doversi introdurre nella casa di un pagano:

«Signore, non disturbarti! Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo io stesso non mi sono ritenuto degno di venire da te; ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito» (Lc 7,6-7).

Il quadro che emerge di questo centurione, attraverso la penna dell’evangelista Luca, così sensibile al mistero della compassione verso i piccoli e i poveri, è la figura di un’umanità piena di fede perché capace di stima verso tutto e verso tutti, sempre incline a cogliere la presenza della luce e non delle tenebre:

«Anch’io infatti sono nella condizione di subalterno e ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va!», ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa» (Lc 7,8).

La fede è una grande risorsa quando non si rifugia e non si arrocca in un patrimonio di certezze, ma quando si dilata in un’ampiezza di sguardo capace di includere ogni cosa e ogni situazione nel disegno della volontà di Dio, persino quando le circostanze sembrano cospirare contro ogni possibile speranza. È proprio questo tratto di umanità ciò che Paolo non riesce a scorgere nella vita dei cristiani di Corinto, apostrofati per un modo di sedersi a tavola dove ciascuno rimane concentrato sui propri bisogni, anziché accorgersi della fame e delle possibilità dell’altro:

«Ciascuno infatti, quando siete a tavola, comincia a prendere il proprio pasto e così uno ha fame, l’altro è ubriaco» (1Cor 11,21).

Contro questa arsura del cuore, l’apostolo suggerisce un sicuro rimedio: imparare ad avere una così grande attenzione verso il fratello da saperlo attendere. Senza esitazioni, ma con estrema naturalezza:

«Perciò, fratelli miei, quando vi radunate per la cena, aspettatevi gli uni gli altri» (1Cor 11,33).

Cerca nei commenti

Questo racconto paolino dell’istituzione dell’eucaristia è il più antico del NT. Venti anni dopo viene messo per iscritto da Luca nel suo Vangelo.

Paolo attinge probabilmente alla tradizione della comunità cristiana di Antiochia, in cui aveva vissuto per un anno dopo l’incontro con il Signore risorto. Paolo “trasmette” (paradidōmi, παραδίδωμι) l’intenzione di Gesù di portare a compimento la promessa fatta da Dio di un’alleanza nuova con il popolo di Israele.

Non menziona né la Pasqua né Giuda, forse per evocare che l’atto di “tradire” o “consegnare” (paradidōmi, παραδίδωμι) Gesù sia stato assunto liberamente da Cristo stesso: con i gesti eucaristici, Gesù anticipa la propria auto-consegna sulla croce.

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