Commento alla Liturgia

Martedì della XXV settimana di Tempo Ordinario

Prima lettura

Pr 21,1-6.10-13

1Il cuore del re è un corso d'acqua in mano al Signore: lo dirige dovunque egli vuole. 2Agli occhi dell'uomo ogni sua via sembra diritta, ma chi scruta i cuori è il Signore. 3Praticare la giustizia e l'equità per il Signore vale più di un sacrificio. 4Occhi alteri e cuore superbo, lucerna dei malvagi è il peccato. 5I progetti di chi è diligente si risolvono in profitto, ma chi ha troppa fretta va verso l'indigenza. 6Accumulare tesori a forza di menzogne è futilità effimera di chi cerca la morte. 10L'anima del malvagio desidera fare il male, ai suoi occhi il prossimo non trova pietà. 11Quando lo spavaldo viene punito, l'inesperto diventa saggio; egli acquista scienza quando il saggio viene istruito. 12Il giusto osserva la casa del malvagio e precipita i malvagi nella sventura. 13Chi chiude l'orecchio al grido del povero invocherà a sua volta e non otterrà risposta.

Salmo Responsoriale

Dal Sal 118(119)

R. Guidami, Signore, sul sentiero dei tuoi comandi.

Beato chi è integro nella sua via
e cammina nella legge del Signore.
Fammi conoscere la via dei tuoi precetti
e mediterò le tue meraviglie. R.
 
Ho scelto la via della fedeltà,
mi sono proposto i tuoi giudizi.
Dammi intelligenza, perché io custodisca la tua legge
e la osservi con tutto il cuore. R.
 
Guidami sul sentiero dei tuoi comandi,
perché in essi è la mia felicità.
Osserverò continuamente la tua legge,
in eterno, per sempre. R.

Vangelo

Lc 8,19-21

19E andarono da lui la madre e i suoi fratelli, ma non potevano avvicinarlo a causa della folla. 20Gli fecero sapere: "Tua madre e i tuoi fratelli stanno fuori e desiderano vederti". 21Ma egli rispose loro: "Mia madre e miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica".

Commento alla Liturgia

Cuore regale

Roberto Pasolini

Si potrebbe fare facile retorica sul dispiacere che «la madre» di Gesù deve aver provato quel giorno in cui ha cercato di avvicinarsi a lui per fargli visita insieme ai «suoi fratelli» (Lc 8,19). Le narrazioni dei vangeli sinottici sono piuttosto sobrie, seppure concordi nel documentare l’impossibilità di accedere alla relazione con Gesù, dopo l’inizio del suo ministero pubblico in Galilea:

«… ma non potevano avvicinarlo a causa della folla» (Lc 8,19).

Curiosamente, mentre Matteo e Marco pongono questo (non) incontro tra Gesù e i suoi familiari come introduzione al discorso in parabole (Mt 12,46-50; Mc 3,31-35), Luca fa esattamente la scelta opposta, collocandolo come conclusione, anzi come autorevole commento alla parabola del seminatore, dove quelli che ascoltano la Parola «con cuore integro e buono» sono coloro che «la custodiscono e producono frutto con perseveranza» (Lc 8,15). Il Signore Gesù, nell’ottavo capitolo del vangelo di Luca, è ormai un seme che sta fecondando i diversi terreni della nostra umanità per rivelare e confermare la pienezza del tempo. L’adesione a questa missione del Padre rende il suo cuore pienamente libero di «deludere» le aspettative dei suoi cari, pur di rimanere fedele al ministero di guarigione e di salvezza di cui è imprescindibile garante e interprete:

«Mia madre e miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica» (Lc 8,21).

Il commento di un grande padre della Chiesa va dritto al cuore della questione ermeneutica, senza perdersi in domande sterili e impossibili, a cui questo testo, così intenzionalmente ellittico e ruvido, non può e, forse, non vuole rispondere: «Egli risponde: Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? Lo diceva non perché si vergognasse di sua madre né per disconoscere colei che l’aveva generato, perché se si fosse vergognato, non sarebbe passato per quell’utero, ma per indicare che ella non ne avrebbe tratto alcun vantaggio se non avesse fatto tutto quello che doveva» (Giovanni Crisostomo, Omelie sul Vangelo di Matteo 44,1).
Dietro l’apparente «insensibilità» di Gesù alle esigenze di sua madre e dei suoi fratelli siamo invitati a cogliere il desiderio di far diventare noi maggiormente sensibili alle conseguenze dell’Incarnazione. Secondo l’esperienza diretta della Vergine, che in prima persona e in perfetta solitudine ha saputo aprire le porte al desiderio di Dio di trovare finalmente comunione piena con noi, la più grande conseguenza del Vangelo per la nostra umanità è proprio la possibilità di fare, finalmente, quello che dobbiamo. Fino a scoprire che quello che «dobbiamo» fare, in accordo con la voce di Dio e con la nostra sensibilità, è precisamente quello che «vogliamo» fare per raggiungere la gioia di una comunione condivisa con gli altri.
Per questo motivo possiamo immaginare che Maria non si sia trovata in imbarazzo di fronte a questa risposta di Gesù, anzi abbia riconosciuto nelle sue parole i tratti di quella regalità a cui lei stessa ha saputo offrire il proprio desiderio profondo:

«Il cuore del re è un corso d’acqua in mano al Signore: lo dirige dovunque egli vuole» (Pr 21,1).

Il libro dei Proverbi ricorre a una singolare immagine per esprimere dove risieda la regalità — cioè il carattere divino — di un’esistenza. Paragona il cuore del re a un fiume che si lascia dirigere dove vuole la mano di chi lo ha posto in essere, affinché non manchi alla terra la fertilità e la bellezza. Proprio questa potente immagine riesce a spiegare la capacità di Gesù di rimanere nella trama di nuove relazioni senza paura di ferire quelle più antiche. Noi pure, anziché cedere alla tentazione di rifugiarci nel privilegio di relazioni e appartenenze esclusive, dovremmo ogni giorno riscoprire la gioia — e la libertà — di fluire e di donarci. Proprio come fa un fiume. Felice di non dover mai arrestare la sua corsa fino al mare, ma di potersi perdere dentro il mistero di una vita più grande.

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