Commento alla Liturgia

Lunedì della XXV settimana di Tempo Ordinario

Prima lettura

Pr 3,27-35

27Non negare un bene a chi ne ha il diritto, se hai la possibilità di farlo. 28Non dire al tuo prossimo: "Va', ripassa, te lo darò domani", se tu possiedi ciò che ti chiede. 29Non tramare il male contro il tuo prossimo, mentre egli dimora fiducioso presso di te. 30Non litigare senza motivo con nessuno, se non ti ha fatto nulla di male. 31Non invidiare l'uomo violento e non irritarti per tutti i suoi successi, 32perché il Signore ha in orrore il perverso, mentre la sua amicizia è per i giusti. 33La maledizione del Signore è sulla casa del malvagio, mentre egli benedice la dimora dei giusti. 34Dei beffardi egli si fa beffe e agli umili concede la sua benevolenza. 35I saggi erediteranno onore, gli stolti invece riceveranno disprezzo.

Salmo Responsoriale

Dal Sal 14(15)

R. Il giusto abiterà sulla tua santa montagna, Signore.

Colui che cammina senza colpa,
pratica la giustizia
e dice la verità che ha nel cuore,
non sparge calunnie con la sua lingua. R.
 
Non fa danno al suo prossimo
e non lancia insulti al suo vicino.
Ai suoi occhi è spregevole il malvagio,
ma onora chi teme il Signore. R.
 
Non presta il suo denaro a usura
e non accetta doni contro l’innocente.
Colui che agisce in questo modo
resterà saldo per sempre. R.

Vangelo

Lc 8,16-18

16Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la mette sotto un letto, ma la pone su un candelabro, perché chi entra veda la luce. 17Non c'è nulla di segreto che non sia manifestato, nulla di nascosto che non sia conosciuto e venga in piena luce. 18Fate attenzione dunque a come ascoltate; perché a chi ha, sarà dato, ma a chi non ha, sarà tolto anche ciò che crede di avere".

Commento alla Liturgia

Non rinviare

Roberto Pasolini

Le parole del vangelo odierno sono meno semplici di quanto appaiono a una prima lettura. Certo, l’immagine di una lampada destinata a illuminare tutto lo spazio circostante offre un certo conforto, pur rimanendo estremamente generica e priva di un contesto di riferimento:

«Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la mette sotto un letto, ma la pone su un candelabro, perché chi entra veda la luce» (Lc 8,16).

Naturalmente, il suo potere simbolico è molto forte, tanto da saper infondere in noi un certo ottimismo circa la potenzialità di vita nuova ricevuta mediante il battesimo in Cristo, come il canto al Vangelo si preoccupa di ricordare, facendo riferimento al discorso della Montagna: «Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro».
Prima ancora di un riferimento all’illuminazione che può condurre la nostra umanità verso il suo compimento nel disegno e nella volontà di Dio, la metafora della lampada necessariamente luminosa deve essere colta come un riferimento alla persona del Signore Gesù, la cui parola e la cui azione redentrice è la certa luce venuta nel mondo che, nonostante le difficoltà e gli ostacoli, non può avere altro destino che quello di brillare e di essere riconosciuta. Di questo sicuro epilogo, il Verbo di Dio non sembra avere alcun dubbio:

«Non c’è nulla di segreto che non sia manifestato, nulla di nascosto che non sia conosciuto e venga in piena luce» (Lc 8,17).

Verrebbe da chiedersi: perché viene segnalato il timore che la lampada possa finire sotto un vaso con la certezza di spegnersi? Oppure sotto un letto, con il rischio di incendiarlo? Nessuno, evidentemente, vorrebbe consapevolmente compiere azioni tanto sconsiderate. Attraverso queste eventualità, il Signore Gesù non vuole indicare la possibilità di un difetto di volontà, ma di accoglienza della sua parola:

«Fate attenzione dunque a come ascoltate; perché a chi ha, sarà dato, ma a chi non ha, sarà tolto anche ciò che crede di avere» (Lc 8,18).

L’esortazione è misteriosa e intrigante. Letteralmente risuona in questi termini: «Guardate al modo in cui ascoltate». I due sensi — quello della vista e quello dell’udito — sono chiamati a cooperare per una migliore e più autentica esperienza di obbedienza al Dio che ci parla. Gesù sembra dire che non è sufficiente ascoltare, ma è necessario gettare gli occhi dentro il nostro orecchio, per vedere e valutare a quale parola stiamo concedendo autorità di muovere — o non muovere — i passi della nostra vita.
Guardare quello che si ascolta è la proposta con cui Gesù invita i destinatari del vangelo a misurarsi – senza misurare – con il paradosso di una regalità divina che avrà pieno compimento e rivelazione soltanto quando il Crocifisso sorgerà dalla morte, lasciando dietro di sé l’unico segno del sepolcro vuoto. È dunque tutto il mistero di Gesù, narrato dal battesimo fino allo scandalo della croce, la parola di Dio che non può essere solo ascoltata e confinata nei recinti di una valutazione unicamente razionale, ma anche opportunamente guardata con gli occhi della fede. Fino a poter essere una misura di rivelazione non solo di Dio, ma di quello che anche noi possiamo essere, a patto di non rimandare a domani la possibile fedeltà al Vangelo che oggi possiamo autenticare:

«Non negare un bene a chi ne ha il diritto, se hai la possibilità di farlo. Non dire al tuo prossimo: “Va’, ripassa, te lo darò domani”, se tu possiedi ciò che ti chiede» (Pr 3,27-28).

Dio non ci parla solo quando ci aiuta a chiarire le ragioni della nostra fede o quando ci insegna le direzioni in cui possiamo compiere i nostri desideri più profondi. Lo fa, molto più frequentemente, quando ci offre occasioni di amministrare i suoi beni secondo criteri di giustizia e di condivisione. Per diffondere la luce della Pasqua, che niente e nessuno può arrestare:

«Colui che agisce in questo modo resterà saldo per sempre» (Sal 14,5).

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