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Letteralmente “mammona di ingiustizia” (mamōnã tēs adikìas, μαμωνᾶ τῆς ἀδικίας), l’espressione è di origine semitica ma si diffonde al tempo del Nuovo Testamento. L’etimologia di “mammona” è incerta, ma potrebbe essere assimilata a quella del nostro “amen”: ciò in cui si ha fiducia, su cui si può contare, su cui ci si può appoggiare. E visto che gli uomini fanno affidamento sul denaro, il termine ha finito per designare i beni materiali. Qui si tratta di un denaro acquisito male. Dal punto di vista del regno non esiste un denaro “pulito”: dilapidare a beneficio degli altri (cioè donare) è il solo modo per ripulire il denaro sporco.
Letteralmente il testo dice “tende (al singolare skēnē, σκηνή) eterne”. Sono le dimore riservate ai credenti nella casa del Padre, qui come nel Vangelo di Giovanni. Nell’esodo, la tenda era il luogo in cui si poteva incontrare Dio, ma anche lo spazio familiare in cui gli israeliti amavano alloggiare una volta sedentarizzati, e quindi esposti anche al rischio dell’idolatria. Nel senso spirituale sono possibili due significati: le “tende eterne” sia come il luogo a cui accedono i credenti alla loro morte sia come il luogo in cui saranno accolti nella parusia. Si tratta comunque di un modo ricco di immagini per parlare del regno di Dio.
L’aramaico e l’ebraico contrappongono “amare” a “odiare” per significare “preferire, optare per, tenere per priorità”. Gesù invita a schierarsi dalla parte di Dio. Presentata come una scelta personale, questa presuppone l’emergere delle nozioni di “persona” e di “libertà di scelta”. Per appartenere a Dio, dunque, non basta far parte del popolo d’Israele per nascita. Pur rimanendo il passaggio di appartenenza da un padrone (mammona) all’altro (Dio), è in Cristo che la sottomissione diventa libertà.
Commento alla Liturgia
XXV Domenica Tempo Ordinario
Prima lettura
Am 8,4-7
4Ascoltate questo, voi che calpestate il povero e sterminate gli umili del paese, 5voi che dite: "Quando sarà passato il novilunio e si potrà vendere il grano? E il sabato, perché si possa smerciare il frumento, diminuendo l' efa e aumentando il siclo e usando bilance false, 6per comprare con denaro gli indigenti e il povero per un paio di sandali? Venderemo anche lo scarto del grano"". 7Il Signore lo giura per il vanto di Giacobbe: "Certo, non dimenticherò mai tutte le loro opere.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 112(113)
R. Benedetto il Signore che rialza il povero.
Lodate, servi del Signore,
lodate il nome del Signore.
Sia benedetto il nome del Signore,
da ora e per sempre. R.
Su tutte le genti eccelso è il Signore,
più alta dei cieli è la sua gloria.
Chi è come il Signore, nostro Dio,
che siede nell’alto
e si china a guardare
sui cieli e sulla terra? R.
Solleva dalla polvere il debole,
dall’immondizia rialza il povero,
per farlo sedere tra i prìncipi,
tra i prìncipi del suo popolo. R.
Seconda Lettura
1Tm 2,1-8
1Raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, 2per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. 3Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, 4il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità. 5Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, 6che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza egli l'ha data nei tempi stabiliti, 7e di essa io sono stato fatto messaggero e apostolo - dico la verità, non mentisco -, maestro dei pagani nella fede e nella verità. 8Voglio dunque che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando al cielo mani pure, senza collera e senza polemiche.
Vangelo
Lc 16,1-13
1Diceva anche ai discepoli: "Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. 2Lo chiamò e gli disse: "Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare". 3L'amministratore disse tra sé: "Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l'amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. 4So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall'amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua". 5Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: "Tu quanto devi al mio padrone?". 6Quello rispose: "Cento barili d'olio". Gli disse: "Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta". 7Poi disse a un altro: "Tu quanto devi?". Rispose: "Cento misure di grano". Gli disse: "Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta". 8Il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. 9Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne. 10Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. 11Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? 12E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? 13Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza".
Note
Grande affare
Come interpretare questa strana parabola in cui si loda un «amministratore disonesto» (Lc 16,8) tenendo conto della raccomandazione dell’apostolo - nella seconda lettura – che chiede di pregare «alzando al cielo mani pure, senza collera e senza contese» (1Tm 2,8)? Rileggendo questa parabola sembrerebbe proprio che le «mani» di questo tale siano più propense a «sperperare» (Lc 16,1) beni che, per giunta, non sono suoi, ma gli sono stati affidati con una fiducia che sembrerebbe eccessiva e mal riposta. Eppure, alla fine «il padrone» si compiace del suo servo proprio perché «aveva agito con scaltrezza» (16,8). Viene naturale chiedersi che cosa in verità ci sia da ammirare in questo amministratore con cui siamo inclini a paragonarci. Ma forse un simile approccio rischia di essere errato o almeno fuorviato: il vero protagonista della parabola – così come si è nuovamente sottolineato domenica scorsa rileggendo la cosiddetta parabola del “figlio prodigo” – non è l’amministratore ma il «padrone». Tutta la nostra ammirazione deve proprio essere rivolta a questa capacità che il padrone ha di ammirare la creatività del suo servo, persino quando approfitta della sua posizione e usa a proprio vantaggio di beni non suoi. Solo un padrone tanto «ricco» (Ef 2,4; Gc 5,11) può permettersi di essere così prodigo, da preferire l’ammirazione per la scaltra creatività del suo amministratore, piuttosto che la sottile invidia di coloro che l’avevano «accusato dinanzi a lui» (Lc 16,1).
Il Signore Gesù di certo non ci invita a «sperperare», né tantomeno ad agire in modo disonesto, ma piuttosto vuole che «possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio». Come spiega l’apostolo:
«Questa è una cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati» (1Tm 2,2-4)
ma tutto ciò va perseguito con tenacia, audacia e risolutezza. La domanda si fa urgente: come fare a discernere se si sta agendo come «figli di questo mondo» o come «figli della luce» (Lc 16,8)? Una risposta e un criterio possibili ci vengono offerti dal profeta Amos nella prima lettura: a partire da quello che è il nostro atteggiamento verso «il povero» e verso «gli umili» (Am 8,4). Se accettiamo di fare di questi ultimi i nostri «amici» (Lc 16,9), saranno loro ad accoglierci nelle «dimore eterne» facendoci spazio, già fin d’ora, nella loro vita.
La Parola di Dio ci invita a considerare come non ci siano circostanze che non si possano accettare e accogliere come foriere di una grazia possibile… persino quando si cade in disgrazia. Pertanto, perché ciò sia possibile, è necessario avere un cuore umile, sottomesso e – al contempo – creativo e intrigante: anche il fallimento è una parola di Dio che ci viene rivolta e che esige da parte nostra una risposta. L’importate e ciò che piace al «padrone« è che si sia degli amministratori e non degli amministrati, dei potenziali amici e non dei tristi burocrati e patetici funzionari persino delle cose di Dio. Tutto nella vita è un’opportunità! Anche il denaro può servire e diventare persino simbolo d’amore. Lungi da un pauperismo sentimentale, il Signore invita sempre nella stessa e medesima direzione: l’amore come condivisione. C’è un rapporto - che talora non osiamo tanto nominare - tra il nostro modo di usare «il poco» (16,10) che sono le nostre possibilità in genere, e non ultime quelle materiali, e il “grande affare” che è la nostra vita in Dio e con i suoi «amici». Il Signore Gesù vuole che arrossiamo di vergogna davanti alla nostra indolenza e pusillanimità confrontate con la passione e alla scaltrezza dei «figli di questo mondo» (16,8) che – troppo spesso – ci superano in generosità e professionalità!
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