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Il termine aparchē (ἀπαρχή), che designa il primo frutto della terra, richiama con ogni probabilità le prescrizioni cultuali della Legge mosaica secondo cui il sabato successivo alla Pasqua si doveva sacrificare al Signore il primo covone come segno dell’offerta dell’intero raccolto (cf. Lv 23,10-11). Definire il Risorto come “primizia” significa che la sua risurrezione non solo precede quella di tutti i cristiani, ma ne è anche la causa e il modello.
Commento alla Liturgia
Venerdì della XXIV settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
1Cor 15,12-20
12Ora, se si annuncia che Cristo è risorto dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non vi è risurrezione dei morti? 13Se non vi è risurrezione dei morti, neanche Cristo è risorto! 14Ma se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede. 15Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato il Cristo mentre di fatto non lo ha risuscitato, se è vero che i morti non risorgono. 16Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; 17ma se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. 18Perciò anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. 19Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini. 20Ora, invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 16(17)
R. Ci sazieremo, Signore, contemplando il tuo volto.
Oppure:
R. Mostrami, Signore, la luce del tuo volto.
Ascolta, Signore, la mia giusta causa,
sii attento al mio grido.
Porgi l'orecchio alla mia preghiera:
sulle mie labbra non c'è inganno. R.
Io t'invoco poiché tu mi rispondi, o Dio;
tendi a me l'orecchio, ascolta le mie parole,
mostrami i prodigi della tua misericordia,
tu che salvi dai nemici chi si affida alla tua destra. R.
Custodiscimi come pupilla degli occhi,
all'ombra delle tue ali nascondimi.
Ma io nella giustizia contemplerò il tuo volto,
al risveglio mi sazierò della tua immagine. R.
Vangelo
Lc 8,1-3
1In seguito egli se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio. C'erano con lui i Dodici 2e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni; 3Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte altre, che li servivano con i loro beni.
Note
Vuota
L’apostolo Paolo mette in grande rilievo quello che è il nucleo incandescente della nostra fede:
«Se non vi è risurrezione dei morti, neanche Cristo è risorto! Ma se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la nostra fede» (1Cor 15,13-14).
Il rischio che la nostra vita di fede sia «vuota» è un’esperienza quotidiana a fronte di tutti gli stimoli che ci richiedono di essere testimoni di una vita realmente risorta. Credere nella risurrezione non è semplicemente avere una credenza nell’aldilà, ma significa vivere ogni giorno nel dinamismo della risurrezione come continua insurrezione della speranza contro ogni tentazione di ripiegamento e di disperazione. L’apostolo Paolo crea un legame indissolubile tra la fede nella risurrezione e una vita segnata da una speranza non solo operosa, ma talmente vitale da essere naturalmente affacciata sull’eternità:
«Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini» (1Cor 15,19).
Il messaggio dell’apostolo scuote il cuore dei discepoli di ogni tempo perché ci richiede di non accontentarci di credere, ma di far sì che la nostra fede diventi sempre di più un dinamismo di vita che non si accontenta di una mera sopravvivenza, ma si apre a una vitalità che ci rende partecipi, già nel presente, della vita divina.
Non raramente facciamo confusione tra la vita eterna cui siamo promessi e la ricerca di un’immortalità che vorremmo darci da soli, per evitare di misurarci con il mistero della nostra morte e l’attraversamento delle nostre morti quotidiane. Credere nella risurrezione e vivere nel dinamismo di una vita risorta significa accettare fino in fondo le esigenze pasquali della nostra vita come uomini e donne e come discepoli e discepole. Il breve passaggio del Vangelo, tipicamente lucano, ci rammenta come la risurrezione è una esperienza di relazione. Questo vale per Cristo che «Dio» ha «risuscitato» (15,15) dai morti e questo vale per ciascuno di noi – uomini e donne – nella misura in cui ci lasciamo profondamente toccare e guarire dal Signore Gesù. L’evocazione del gruppo delle donne che accompagnano il Signore Gesù e lo sostengono nel suo ministero di predicazione e di annuncio dell’irruzione del «regno di Dio» (Lc 8,1) nella storia rimanda a quella che potremmo definire la risurrezione quotidiana cui ciascuno di noi è chiamato.
Attorno al Signore Gesù queste donne ritrovano la speranza di una vita piena perché «guarite» (8,2) da «spiriti cattivi e da infermità». La fede nella risurrezione porta il frutto di una dilatazione della speranza e il segno di quella che potremmo definire la guarigione profonda dalla paura di morire è la disponibilità a fare della propria vita un dono:
«che li servivano con i loro beni» (Lc 8,3).
Credere nella risurrezione significa fare spazio alla risurrezione nella nostra vita di oggi perché sia già segnata dal sapore di eternità che è proprio del frutto di un amore ritrovato e capace di donarsi senza temere mai di sprecarsi.
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