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Il verbo hēgeomai (ἡγέομαι) è tipico della Lettera ai Filippesi e indica un giudizio una valutazione fondata che porta a una corrispondente decisione.
Il sostantivo tapeinosophrune (ταπεινοφροσύνη) non è utilizzato nell’AT (dove compare invece l’aggettivo), mentre nel NT descrive il rapporto con Dio oppure tra cristiani nelle loro relazioni comunitarie. La collocazione del termine qui prepara così il verbo corrispondente in 2,8.
Diversi sono stati i tentativi di traduzione dell’intera espressione, che letteralmente suona “e che vi sia così una compensazione per te”. Il termine antapòdoma (ἀνταπόδομα), che letteralmente significa “compensazione, retribuzione” (antì, apò, dìdōmi), è stato poi tradotto con “contraccambio”. Tuttavia, l’idea prevalente, come suggerisce il v. 14, sembra essere quella della ricompensa: invitando solo amici e parenti, ci si priva della ricompensa celeste.
Bisogna intendere bene questo futuro èsē (ἔσῃ), che potrebbe riferirsi alla risurrezione generale dei morti e al regno di Dio oppure al tempo della chiesa e della vita cristiana. In questo secondo caso, il senso è che la felicità sia possibile oggi, che anche questo tempo può essere l’anticamera del regno, anticipato dal pranzo offerto agli emarginati.
Commento alla Liturgia
Lunedì della XXXI settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
Fil 2,1-4
1Se dunque c'è qualche consolazione in Cristo, se c'è qualche conforto, frutto della carità, se c'è qualche comunione di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, 2rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi. 3Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. 4Ciascuno non cerchi l'interesse proprio, ma anche quello degli altri.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 130(131)
R. Custodiscimi presso di te, Signore, nella pace.
Signore, non si esalta il mio cuore
né i miei occhi guardano in alto;
non vado cercando cose grandi
né meraviglie più alte di me. R.
Io invece resto quieto e sereno:
come un bimbo svezzato in braccio a sua madre,
come un bimbo svezzato è in me l’anima mia. R.
Israele attenda il Signore,
da ora e per sempre. R.
Vangelo
Lc 14,12-14
12Disse poi a colui che l'aveva invitato: "Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch'essi e tu abbia il contraccambio. 13Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; 14e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti".
Note
Consolazione
L’apostolo Paolo sembra sentire il bisogno di ricevere e di dare «consolazione» (Fil 2,1). In questa ricerca, che corrisponde all’anelito più naturale e continuo del cuore umano, la prima lettura ci aiuta a comprendere come ogni consolazione non può che nascere da una sincera condivisione di conforto e non semplicemente dal soddisfare il proprio personale bisogno di essere consolati. In una delle preghiere più toccanti di Francesco d’Assisi – la cosiddetta Preghiera Semplice – il santo invoca il suo amato Signore chiedendogli di essere capace di consolare piuttosto che cercare di essere consolato. Il Signore Gesù lo dice in un altro modo, invitando quel «capo dei farisei che l’aveva invitato» (Lc 14,12) non solo a invitare generosamente piuttosto che aspettare di essere onorato da qualche invito, ma ad andare ancora più oltre:
«quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti» (Lc 14,13-14).
Quello del Signore Gesù sembra un invito a trovare tutta la propria consolazione nella capacità e nel desiderio di fare della propria vita un dono per gli altri piuttosto che una ricerca del proprio benessere.
In questo modo siamo invitati a un duplice salto di qualità nella nostra vita. Prima di tutto si tratta di superare ampiamente e a piè pari la logica del «contraccambio» (14,12) per entrare così nella logica di quella gratuità che è capace, per quanto ci possa costare in termini di dedizione e di cura, di dare al nostro cuore il balsamo della consolazione. Le parole conclusive della prima lettura rappresentano una vera sfida:
«Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri» (Fil 2,4).
Il Signore Gesù, con quelle parole rivolte al notabile che si è degnato di invitarlo a casa sua, sembra rincarare la dose: non cercare l’interesse proprio, ma prima di tutto e soprattutto quello degli altri. Per arrivare a vivere con questo atteggiamento di fondo, è necessario un cammino di liberazione interiore che esige un profondo lavoro su se stessi, per non vivere più nell’attesa di un riconoscimento che ci venga da fuori di noi, ma che sta al profondo di noi stessi. Solo un simile processo interiore può darci la piena libertà di invitare continuamente tutti a condividere ogni briciola di vita e di gioia della nostra umana avventura, facendo così della nostra esistenza una tavola imbandita.
Perché tutto ciò possa concretizzarsi nella nostra vita e incarnarsi nelle nostre relazioni, ci viene indicato anche lo stile necessario: l’umiltà. Il salmo ci dona una grande speranza su noi stessi, che è quella di giungere ad avere un cuore «quieto e sereno» (Sal 130,2) capace di trovare pace e gioia nelle realtà quotidiane, senza guardare troppo e inutilmente «in alto» (130,1). Si tratta di non scegliere più i nostri interlocutori tra quanti progettano la loro esistenza sui nostri stessi valori e servendosi dei nostri stessi parametri, tanto da diventare uno specchio che riflette semplicemente la nostra immagine. Il Signore Gesù ci spinge, invece, oltre noi stessi, facendo saltare i nostri steccati e i nostri parametri per imparare a invitare alla mensa della nostra vita chi è diverso e ci provoca, con la sua diversità, a cambiare e ad arricchire il nostro orizzonte… a rendere la nostra tavola più interessante e fonte di autentica consolazione.
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