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A Gerusalemme persiste, nel corso delle epoche e malgrado i cambiamenti politici, un’aristocrazia sacerdotale di orientamento conservatore, alla quale resta legato l’appellativo Saddukàios (Σαδδουκαῖος), risalente a Sadoq, uno dei principali sacerdoti attivo durante il regno di Davide. Il Dio immaginato dai sadducei era un Dio poco interventista, che lasciava gli uomini pienamente responsabili delle proprie azioni. Essi diffidavano inoltre della tradizione orale e come Scrittura Sacra riconoscevano solo la legge affidata da Dio a Mosè. Infine, non credevano nella risurrezione dei morti.
Il verbo usato da Luca al participio aoristo passivo – kataxioō (καταξιόω) – ha una connotazione morale che si può intendere in due modi: nel senso di una passività umana che porta alla luce l’intervento di Dio, oppure nel senso etico della dignità che pone l’accento sulla ricompensa offerta a un comportamento virtuoso. Probabilmente, Luca non intende contrapporre il lato divino e quello umano, ma suggerire una risposta umana all’iniziativa di Dio nella cornice felice dell’alleanza.
Questa espressione, che ricorre in una forma simile al v. 34 e al v. 35, vuol dire anzitutto che le condizioni di vita di quanti sono ritenuti “degni della vita futura” sono radicalmente diverse da quelle dei comuni mortali. Suggerisce quindi un’applicazione al presente e non solo al futuro dopo la morte. Implica anche un impegno ascetico: chi ha accolto i tempi nuovi e in essi è stato accolto non si preoccupa più del mondo, ma si dedica totalmente al Signore (cf. 1Cor 7,32-34).
Questa espressione appartiene al vocabolario religioso di Israele: al plurale può designare gli angeli o il popolo dell’alleanza, al singolare il re presente o il Messia. Esprime inoltre la convinzione della teologia ebraica sui legami tra Dio e gli uomini come adozione e non come procreazione. Di conseguenza, si diventa “figli di Dio” per un atto della volontà di Dio e non per un atto naturale.
Con questa formula solenne e ripetitiva si fa riferimento al Dio d’Israele, il Dio fedele a ogni generazione. Tuttavia, la frase non dice solo che Dio è Dio, il Dio adorato dai patriarchi, quanto piuttosto il Dio che si è fatto carico di Abramo, Isacco e Giacobbe e che non smetterà di preoccuparsi del suo popolo. Per questo i patriarchi non sono abbandonati alla morte ma vivranno ancora grazie alla fedeltà di Dio. E con loro anche quanti, al tempo di Gesù e dei primi cristiani, hanno attraversato la persecuzione e il martirio.
Commento alla Liturgia
Sabato della XXXIII settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
Ap 11,4-12
4Questi sono i due olivi e i due candelabri che stanno davanti al Signore della terra. 5Se qualcuno pensasse di fare loro del male, uscirà dalla loro bocca un fuoco che divorerà i loro nemici. Così deve perire chiunque pensi di fare loro del male. 6Essi hanno il potere di chiudere il cielo, perché non cada pioggia nei giorni del loro ministero profetico. Essi hanno anche potere di cambiare l'acqua in sangue e di colpire la terra con ogni sorta di flagelli, tutte le volte che lo vorranno. 7E quando avranno compiuto la loro testimonianza, la bestia che sale dall'abisso farà guerra contro di loro, li vincerà e li ucciderà. 8I loro cadaveri rimarranno esposti sulla piazza della grande città, che simbolicamente si chiama Sòdoma ed Egitto, dove anche il loro Signore fu crocifisso. 9Uomini di ogni popolo, tribù, lingua e nazione vedono i loro cadaveri per tre giorni e mezzo e non permettono che i loro cadaveri vengano deposti in un sepolcro. 10Gli abitanti della terra fanno festa su di loro, si rallegrano e si scambiano doni, perché questi due profeti erano il tormento degli abitanti della terra. 11Ma dopo tre giorni e mezzo un soffio di vita che veniva da Dio entrò in essi e si alzarono in piedi , con grande terrore di quelli che stavano a guardarli. 12Allora udirono un grido possente dal cielo che diceva loro: "Salite quassù" e salirono al cielo in una nube, mentre i loro nemici li guardavano.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 143(144)
R. Benedetto il Signore mia roccia.
Oppure:
R. Sei tu, Signore, mio rifugio e mia salvezza.
Benedetto il Signore, mia roccia,
che addestra le mie mani alla guerra,
le mie dita alla battaglia. R.
Mio alleato e mia fortezza,
mio rifugio e mio liberatore,
mio scudo in cui confido,
colui che sottomette i popoli al mio giogo. R.
O Dio, ti canterò un canto nuovo,
inneggerò a te con l’arpa a dieci corde,
a te, che dai vittoria ai re,
che scampi Davide, tuo servo, dalla spada iniqua. R.
Vangelo
Lc 20,27-40
27Gli si avvicinarono alcuni sadducei - i quali dicono che non c'è risurrezione - e gli posero questa domanda: 28"Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. 29C'erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. 30Allora la prese il secondo 31e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. 32Da ultimo morì anche la donna. 33La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l'hanno avuta in moglie". 34Gesù rispose loro: "I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 35ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: 36infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. 37Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. 38Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui". 39Dissero allora alcuni scribi: "Maestro, hai parlato bene". 40E non osavano più rivolgergli alcuna domanda.
Note
Relazione
Di certo vi è una cosa che sta a cuore al Signore Gesù e per la quale è disposto anche a rischiare di entrare in conflitto con quanti, nel suo tempo, sanno e vogliono contare come i sadducei. Laddove l’interesse personale e la difesa dei propri privilegi induce la classe più potente e ricca del popolo a togliere ai più poveri persino l’estrema speranza della risurrezione, il Signore Gesù, invece, ribadisce un principio che, prima di essere dogmatico, è esistenziale e storico: il Creatore non è la fonte del potere, bensì il modello di una relazione fatta di amore e di cura:
«Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui» (Lc 20,38).
Sotto l’apparenza o col pretesto di una discussione accademica, di cui si possono occupare solo quanti non hanno certo la preoccupazione della sopravvivenza, si nasconde una concezione del mondo che, nel caso dei sadducei, è dominata dalla legge del più forte e dall’interesse di chi ha degli interessi da difendere. La domanda posta al Signore Gesù, infatti, sembra occuparsi della storia così provante di una donna che perde uno dopo l’altro sette mariti come se si trattasse di una cosa di cui certificare l’appartenenza e la proprietà e il cui dramma di sofferenza e di umiliazione sembra non interessare affatto: «La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie» (20,33).
La risposta del Maestro sembra disattendere la domanda dei suoi interlocutori:
«quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio» (Lc 20,35-36).
La differenza tra lo sguardo di Gesù e quello dei sadducei è sostanziale perché il primo è capace di evidenziare il mistero della persona in relazione a quel Dio di cui è immagine e che, a motivo di un disegno di amore di cui la relazione di coppia è riflesso, non può essere intaccato radicalmente dalla morte né tantomeno sottostare alle leggi del mercato e alle logiche del comodo. Nelle parole del Signore Gesù si avverte una sottile ed efficace protesta contro tutto ciò che si oppone alla vita intesa come relazione che radica in Dio e si ridona continuamente tra quanti di lui sono figli e in cui si sentono legati da un’alleanza e un patto di solidarietà:
«Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe» (Lc 20,37).
Al cospetto delle macchinazioni dei sadducei, il Signore Gesù si rivela come il «tormento» (Ap 11,10) di tutto ciò che si oppone alla verità di Dio, che è sempre il fondamento della verità della nostra umanità. Il libro dell’Apocalisse ci ricorda che il combattimento che oppone logiche diverse è ancora in atto. I due testimoni che si lasciano abitare da «un soffio di vita che veniva da Dio» (11,11) riempie di «terrore» quanti pensavano di essersi definitivamente sbarazzati di loro. La vita, infatti, terrorizza sempre quanti, in realtà, temono la vita perché pensano di poter comprare e vendere tutto e tutti pur di conservare se stessi e i propri privilegi.
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