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Normalmente, sukàminos (συκάμινος) è il gelso, difficile da sradicare per i suoi aculei e radici. Nella Bibbia dei LXX questo vocabolo sembra invece designare un’altra specie, il sicomoro, considerato inestirpabile e con una dimensione che suggerisce un contrasto più marcato con il granello di senape.
Questa espressione somiglia a una formulazione cristologica propria di Luca, che in 12,37 parla del padrone (kùrios) che “si stringerà le vesti… e passerà a servire” i suoi servi: se si rilegge la parabola nella dimensione ecclesiale, che i termini utilizzati dall’evangelista possono richiamare, è verosimile che Luca consideri il servizio offerto da Cristo come il modello del servizio compiuto dai ministri della Chiesa.
L'aggettivo ἀχρεῖος (achreios), che traduciamo con «inutile», significa letteralmente privo di utile, di necessità economica. A dispetto di un'accezione negativa e svalutante, l'aggettivo può dunque esprimere tutta la libertà e la dignità di chi è disposto a mettersi a servizio non in vista di un tornaconto, ma solo per la gioia di poterlo fare. Potremmo tradurlo con: «senza utile», «gratuito».
Commento alla Liturgia
XXVII Domenica Tempo Ordinario
Prima lettura
Ab 1,2-3.2,2-4
2Fino a quando, Signore, implorerò aiuto e non ascolti, a te alzerò il grido: "Violenza!" e non salvi? 3Perché mi fai vedere l'iniquità e resti spettatore dell'oppressione? Ho davanti a me rapina e violenza e ci sono liti e si muovono contese. 2Il Signore rispose e mi disse: "Scrivi la visione e incidila bene sulle tavolette, perché la si legga speditamente. 3È una visione che attesta un termine, parla di una scadenza e non mentisce; se indugia, attendila, perché certo verrà e non tarderà. 4Ecco, soccombe colui che non ha l'animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede".
Salmo Responsoriale
Dal Sal 94(95)
R. Ascoltate oggi la voce del Signore.
Venite, cantiamo al Signore,
acclamiamo la roccia della nostra salvezza.
Accostiamoci a lui per rendergli grazie,
a lui acclamiamo con canti di gioia. R.
Entrate: prostràti, adoriamo,
in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti.
È lui il nostro Dio
e noi il popolo del suo pascolo,
il gregge che egli conduce. R.
Se ascoltaste oggi la sua voce!
«Non indurite il cuore come a Merìba,
come nel giorno di Massa nel deserto,
dove mi tentarono i vostri padri:
mi misero alla prova
pur avendo visto le mie opere». R.
Seconda Lettura
2Tm 1,6-8.13-14
6Per questo motivo ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l'imposizione delle mie mani. 7Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza. 8Non vergognarti dunque di dare testimonianza al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui; ma, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo. 13Prendi come modello i sani insegnamenti che hai udito da me con la fede e l'amore, che sono in Cristo Gesù. 14Custodisci, mediante lo Spirito Santo che abita in noi, il bene prezioso che ti è stato affidato.
Vangelo
Lc 17,5-10
5Gli apostoli dissero al Signore: 6"Accresci in noi la fede!". Il Signore rispose: "Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: "Sràdicati e vai a piantarti nel mare", ed esso vi obbedirebbe. 7Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: "Vieni subito e mettiti a tavola"? 8Non gli dirà piuttosto: "Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu"? 9Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 10Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: "Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare"".
Note
Una fede genuina, un servizio gratuito
Nella XXVII domenica del Tempo Ordinario, l’evangelista Luca ci conduce in un momento di particolare intensità del rapporto tra Gesù e i suoi. Egli ci mostra che il discepolato dei Dodici non si limita ai momenti del ministero pubblico di Gesù, ma diventa una sorta di apprendistato permanente dove tutto diventa opportunità di crescita e maturazione. È proprio durante un momento di assenza delle folle che gli apostoli approfittano della solitudine del Maestro per rivolgergli una richiesta che ha il sapore di un grido: «Accresci in noi la fede!». Sono interpreti del grido che si leva dal cuore di ogni uomo e ogni donna credente che scopre che la fede è, sì, uno straordinario dinamismo interiore ma che, al tempo stesso, è una realtà fragile, delicata, che corre il rischio di atrofizzarsi. I discepoli si rivolgono quindi a Gesù fiduciosi nel suo intervento, certi che egli può davvero dinamizzare la loro fede. La loro richiesta è suggerita e stimolata dall’insegnamento precedente di Gesù che prima si è soffermato sulla gravità degli scandali all’interno della comunità e sulla necessità di evitarli (cf. Lc 17,1-3a) e poi ha invitato i suoi a esercitare il perdono verso i peccatori, coltivando nel cuore il desiderio di ricostruire a tutti i costi i legami fraterni spezzati o messi in crisi (cf. Lc 17,3b-4).
Il Maestro risponde alla loro richiesta con un detto dal sapore fortemente sapienziale:
«Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe» (Lc 17,6).
Gesù spiega in tal modo che la fede non è una realtà soggetta a dimensioni e quantità, ma un dinamismo che richiede di fare alleanza con la verità e la sincerità del cuore. La fede è dinamica e opera solo se è genuina. Ne basta poca per fare cose grandi. Il paradosso dell’albero sradicato e piantato nel mare traduce la potenza della fede che, pur somigliando al granello di senape (che in Mt 13,31 e Mc 4,31 è ritenuto il seme più piccolo presente in natura), può realmente incidere nella storia e operare portenti.
Dopo l’immagine paradossale dell'albero, Gesù ricorre a una parabola (presente solo nel vangelo di Luca) per completare il suo insegnamento. Presenta la figura di un agricoltore che sfrutta il suo servo senza riconoscergli alcun diritto alla ricompensa e alla gratitudine. Il focus della parabola è lo statuto di un servo. Egli è quell’uomo che, dopo un’intera giornata di lavoro, non può sperare nel riposo ma sa che c’è ancora da preparare il pasto da servire al suo padrone. Egli è l’uomo che dev’essere disponibile alle richieste del suo padrone in ogni momento, imparando a saper fare a meno del suo grazie. Se allora appartiene allo statuto del servo obbedire senza attendere apprezzamenti o riconoscimenti, il suo atteggiamento dovrà essere caratterizzato sempre da disponibilità e gratuità assolute nei confronti del proprio padrone.
La conclusione della parabola presenta una conseguenza importante per i discepoli:
«Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”» (Lc 17,10).
Ai suoi, Gesù chiede un servizio disinteressato e gratuito. Essere servi del Signore non ha nulla a che vedere con la rivendicazione di un rapporto di tipo contrattuale. Servire il Signore è una condizione che non può prevedere clausole o condizionamenti. Al Dio che si rivela e che chiama alla sua sequela, la creatura umana può rispondere solo con un coinvolgimento pieno e totale di sé. Una fede genuina e un servizio disinteressato sono le basi di un’esistenza cristiana piena, capace di testimoniare la gioia e di portare frutto.
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