Commento alla Liturgia

S. Francesco d'Assisi

Prima lettura

Gal 6,14-18

14Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo. 15Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l'essere nuova creatura. 16E su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia, come su tutto l'Israele di Dio. 17D'ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo. 18La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli. Amen.

Salmo Responsoriale

Dal Sal 15 (16)

R. Tu sei, Signore, mia parte di eredità.

Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio.
Ho detto al Signore: «Il mio Signore sei tu».
Il Signore è mia parte di eredità e mio calice:
nelle tue mani è la mia vita. R.
 
Benedico il Signore che mi ha dato consiglio;
anche di notte il mio animo mi istruisce.
Io pongo sempre davanti a me il Signore,
sta alla mia destra, non potrò vacillare. R.
 
Mi indicherai il sentiero della vita,
gioia piena alla tua presenza,
dolcezza senza fine alla tua destra. R.

Vangelo

Mt 11,25-30

25In quel tempo Gesù disse: "Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. 26Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. 27Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. 28Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. 29Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. 30Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero".

Commento alla Liturgia

Lasciarsi amare

Luigi Maria Epicoco

Il fascino che San Francesco continua ad esercitare su molti potrebbe trarci in inganno. Ad esempio potremmo convincerci che la sua grandezza risieda nell’eroismo della radicalità, della povertà, della testimonianza senza fronzoli della vita del Vangelo e in quella serie infinita di fioretti sulla sua vita che i suoi contemporanei ci hanno lasciato. Potremmo quasi convincerci che la sua santità risieda in quella stranezza che tanto metteva a disagio i grandi, i benpensanti e persino la sua famiglia. Ma il segreto di San Francesco non è nella sua forza, o nella sua stranezza ma nell’amore con cui è stato conquistato da Cristo. Infatti mai dobbiamo dimenticare che l’iniziativa non è mai nostra ma sempre di Gesù:

“nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare”.

E allora che merito ha San Francesco se in fondo gli è solo capitata la grazia di essere amato fino al punto da conoscere l’amore del Padre? Il suo merito è nell’essersi lasciato amare. È questa la cosa più difficile della vita. È fin troppo facile vivere la povertà, i sacrifici, gli sforzi umani, ma la cosa più difficile della vita è lasciarsi amare senza porre nessuno ostacolo a questo amore. È questa la definizione di umiltà. L’umile (il piccolo) è colui che si lascia amare e si sente forte solo ed esclusivamente di questo amore. La grandezza di Francesco d’Assisi è tutta qui. Imitarlo non significa per forza fare le cose che lui ha fatto, ma fare come lui ha fatto. 

Cerca nei commenti

Nel Vangelo di Matteo, i piccoli sono considerati i destinatari del Vangelo di salvezza. Così come i termini “sapienti” (sophos, σοφός) e “intelligenti” (dotti, sunetos, συνετός), anche “piccoli” (nēpios, νήπιος) si presenta senza articolo. Questa assenza sottolinea una caratteristica piuttosto che una categoria precisa di persone: tutti possono rivestire questo ruolo, talvolta riuscendo a essere piccoli, altre volte credendosi intelligenti. Il verbo epighinōsko (ἐπιγινώσκω), con la sua sfumatura di “riconoscimento”, assume qui un valore teologico e significa non un fatto intellettuale ma l’accoglienza reciproca tra il Padre e il Figlio. Questo termine πραΰς (praùs) è proprio solo di Matteo in tutto il Nuovo Testamento, se si esclude una occorrenza in 1Pt 3,4. La mitezza è presentata come una beatitudine (Mt 5,5) e come una caratteristica peculiare di Gesù. Esplicito il richiamo alla descrizione del re messianico fatta dal profeta Zaccaria (21,5), che Matteo cita al momento dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme subito prima della Passione. Mitezza e umiltà erano infatti le prerogative del Messia atteso nella tradizione ebraica, che riferisce queste qualità anche a Mosè. L’immagine del ζυγός (zugòs), strumento ben noto alle antiche attività agricole, nella letteratura neotestamentaria assume essenzialmente un senso figurato, in riferimento al peso della schiavitù oppure, come in questo caso, interpretato come il peso dell’osservanza della Legge, che nella tradizione giudaica l’ebreo accettava di portare per servire Dio. Gesù può definirlo “dolce” e “leggero” perché lui stesso si offre di condividerlo.

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