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Questa espressione è propria esclusivamente di Matteo e include anche le parole del Messia, non solo le opere.
Una traduzione più letterale suonerebbe “colui che viene”, poiché il participio erchòmenos (ὁ ἐρχόμενος) indica un’azione in corso, che sta già accadendo, non che accadrà o deve accadere. Che Gesù sia o meno “il veniente” è la questione intorno a cui ruota tutto il racconto di Matteo, passando per la confessione di Pietro (16,16) e fino alla domanda di Kaifa (26,63). La risposta data qui da Gesù è aperta, perché viene lasciato all’interlocutore lo spazio di libertà necessario per ogni decisione di fede in lui.
Letteralmente, “non inciampa in me”. Il verbo skandalìzō (σκανδαλίζω), molto usato da Matteo (13 occorrenze contro le 8 di Marco e le 2 di Luca), significa “far trovare un ostacolo”, e quindi “dare scandalo”, nel senso di fare qualcosa che fa cadere. Nei vangeli, fare qualcosa che impedisce a qualcuno di giungere alla fede in Gesù o che induce a perderla.
In greco, il termine è “angelo” (ànghelos, ἄγγελος) ed è una citazione di Es 23,20, dove si parla dell’angelo di Dio che protegge Israele nel suo esodo verso la terra della promessa. Potrebbe anche richiamare un angelo escatologico, con cui il Battista viene identificato, che precede il Messia e di cui parlava il libro di Malachia, l’ultimo libro profetico dell’Antico Testamento.
Commento alla Liturgia
III Domenica di Avvento
Prima lettura
Is 35,1-6a.8a.10
1Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa. Come fiore di narciso 2fiorisca; sì, canti con gioia e con giubilo. Le è data la gloria del Libano, lo splendore del Carmelo e di Saron. Essi vedranno la gloria del Signore, la magnificenza del nostro Dio. 3Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. 4Dite agli smarriti di cuore: "Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi". 5Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. 6Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto, perché scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa. 8Ci sarà un sentiero e una strada e la chiameranno via santa; nessun impuro la percorrerà. Sarà una via che il suo popolo potrà percorrere e gli ignoranti non si smarriranno. 10Su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore e verranno in Sion con giubilo; felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 145(146)
R. Vieni, Signore, a salvarci.
Oppure:
R. Alleluia, alleluia, alleluia.
Il Signore rimane fedele per sempre
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri. R.
Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri. R.
Egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione. R.
Seconda Lettura
Gc 5,7-10
7Siate dunque costanti, fratelli, fino alla venuta del Signore. Guardate l'agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge. 8Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina. 9Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati; ecco, il giudice è alle porte. 10Fratelli, prendete a modello di sopportazione e di costanza i profeti che hanno parlato nel nome del Signore.
Vangelo
Mt 11,2-11
2Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò 3a dirgli: "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?". 4Gesù rispose loro: "Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: 5i ciechi riacquistano la vista , gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. 6E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!". 7Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: "Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? 8Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! 9Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. 10Egli è colui del quale sta scritto: Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via. 11In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui.
Note
Finché
Giunti ormai a metà del tempo di Avvento, la voce ardente del «più grande» (Mt 11,11) profeta mai esistito fino alla venuta del Signore Gesù ci viene consegnata dalla liturgia come un esile interrogativo. Ormai prigioniero della codarda aggressività di un re fasullo (Erode), «avendo sentito parlare delle opere del Cristo» (11,2), Giovanni manda un’ambasciata a dirgli:
«Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?» (Mt 11,3).
Il Battista, ormai prossimo a testimoniare la fedeltà di Dio alle sue promesse con la sua stessa vita, non ha più alcuna certezza da esibire, ma soltanto alcune domande da porre a Cristo, colui che sta rivelando nella sua carne i lineamenti del Dio invisibile.
Noi discepoli di ogni tempo non finiremo mai di ringraziare il Precursore per queste sofferte parole, per esserci maestro e guida anche nel delicato momento in cui il cuore va in crisi, quando un certo modo di rapportarsi a Dio è chiamato a morire e risorgere per aprirci a una relazione più libera e profonda. Attingendo alla tradizione profetica di Israele, Gesù offre a Giovanni solo un parziale conforto per il suo tormento interiore. Certo, «i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo» (Mt 11,4-5), ma tutto ciò si compie senza un’improvvisa rimozione del male e delle sue terribili manovre. Il Dio rigoroso e temibile, atteso per un ritorno della giustizia sulla terra, si rivela piuttosto, in Gesù, «lento all’ira» (Es 34,6) e premuroso nei confronti di chi sbaglia e pecca. Il giudice severo della storia non si manifesta seduto su un alto trono, ma nella carne di un Figlio dell’uomo sdraiato a mensa con i peccatori e gli «smarriti di cuore» (Is 35,4). Attorno a lui la vita inceppata rifiorisce, «le mani fiacche» tornano capaci di operare, «le ginocchia vacillanti» (35,3) possono riprendere la marcia nei sentieri della vita. Di fronte a questo modo di venire a salvare la storia umana, anche noi, forse, come Giovanni, dovremmo fare attenzione a non inseguire e bramare altre modalità di salvezza, magari più incisive e rapide:
«E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!» (Mt 11,6).
L’apostolo Giacomo suggerisce un atteggiamento per saper apprezzare il modo della venuta del Signore: la macrothumìa, cioè quella speranza paziente necessaria all’«agricoltore» il quale, dopo aver compiuto il suo lavoro, «aspetta il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge» (Gc 5,7). Non è facile attendere nella pace quando i frutti tardano a venire, oppure quando le tribolazioni della vita ci inseguono e ci raggiungono. Eppure, il motivo e la forza per rimanere in una speranza viva e fiduciosa non dovrebbero mai sfuggire dal cuore della nostra preghiera:
«Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina» (Gc 5,8).
Si tratta allora di imparare a riconoscere anche nel «più piccolo» indizio della realtà la presenza del «più grande» simbolo di speranza, secondo la logica del «regno dei cieli» (Mt 11,11). Questo infatti è il paradosso del Natale, in cui celebriamo la venuta dell’onnipotenza divina nel gracile corpo di un piccolo bambino. Questa terza domenica di Avvento ci esorta ad accogliere sentimenti di gioia (Gaudete), perché la venuta del Signore non avviene nella terra della forza e della grandezza, da cui molti sono sempre in esilio, ma in quella della piccolezza e della fragilità, dove la nostra umanità sempre ha la possibilità di maturare. Possiamo dunque rallegrarci del Natale del Signore nella misura in cui sapremo convertire le nostre aspettative di vita e di gioia nella disponibilità ad accettare la scelta povera e debole dell’Incarnazione. Senza scandalizzarci quando i suoi modi e i suoi tempi ci costringono a desiderare ancora. E…
«fuggiranno tristezza e pianto» (Is 35,10).
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