www.nellaparola.it
Il sostantivo typos si pone in continuità con il vocabolario della mimesi, e anche questo è proprio del linguaggio paolino (8 delle 15 ricorrenze del termine nel NT si trovano nelle lettere paoline), mentre con questo significato non compare nel resto del NT, tranne in 1Pt 5,3, dove è usato per chiedere ai pastori di essere modelli del gregge.
Il termine «cittadinanza», in greco πολίτευμα, indica la vita, l'organizzazione e le norme di uno «stato». La vulgata (versione latina) lo traduce con conversatio, il cui significato oltrepassa quello di cittadinanza: 1) soggiorno frequente, convivenza, 2) intimità, 3) familiarità, dimestichezza, 4) condotta, contegno. Tutte queste sfumature arricchiscono la condizione di vita del cristiano, il quale può vivere in questo mondo sentendosi già familiare di Dio e del suo Regno.
Solo in questo versetto, nelle sue lettere autoriali, Paolo attribuisce a Gesù Cristo l’appellativo sōtēr (σωτήρ), unito a kurios (κύριος). Nell’AT, il sostantivo sōtēr è attribuito a Dio soprattutto con la formula “Dio il mio (o nostro) salvatore”, tipica dei Salmi (cf. Tra altri Sal 24,5; 26,9). Tuttavia, nell’AT il termine non assume mai un significato messianico. Qui il salvatore atteso non è visto soltanto come salvatore dell’anima, ma dell’intera persona umana in stato di trasformazione, come esplicita il v. 21. Così, nel v. 20 si congiungono l’orizzonte escatologico con quello apocalittico dell’azione salvifica di Dio in Cristo.
Del corpo (sōma, σῶμα) Paolo parla raramente in questa lettera. Ne tratta soprattutto in 1Cor. Nella sua concezione del corpo emerge una visione non dualista (il corpo distinto dall’anima) o dispregiativa ma unitaria e positiva. In questione non è ciò che si ha (corpo, carne, anima) ma ciò che si è, per questo nel v. 21 si potrebbe tradurre sōma con “umanità”: la nostra condizione umana assunta da Gesù Cristo è indirizzata verso la definitiva trasfigurazione nel suo corpo glorioso, e senza l’umile corpo questo non è possibile.
L’aggettivo summorphos (σύμμορφος) è usato solo qui e in Rm 8,29, a proposito del disegno di Dio che ha predestinato i credenti a essere “conformi all’icona del suo Figlio”. È interessante notare che il testo originale è abbreviato e, per renderlo comprensibile, è stato tradotto con “per renderlo conforme”. Tuttavia, alla lettera il testo afferma che Cristo trasfigurerà il nostro corpo “già conforme” al suo corpo glorioso. In pratica, la nostra conformazione al corpo di Cristo – itinerario che attraversa l’esistenza del credente – è iniziata con la partecipazione alla sua morte e dovrà soltanto vivere una trasfigurazione definitiva.
Commento alla Liturgia
Venerdì della XXXI settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
Fil 3,17–4,1
17Fratelli, fatevi insieme miei imitatori e guardate quelli che si comportano secondo l'esempio che avete in noi. 18Perché molti - ve l'ho già detto più volte e ora, con le lacrime agli occhi, ve lo ripeto - si comportano da nemici della croce di Cristo. 19La loro sorte finale sarà la perdizione, il ventre è il loro dio. Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra. 20La nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, 21il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose. 1Perciò, fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete in questo modo saldi nel Signore, carissimi!
Salmo Responsoriale
Dal Sal 121(122)
R. Andremo con gioia alla casa del Signore.
Quale gioia, quando mi dissero:
«Andremo alla casa del Signore!».
Già sono fermi i nostri piedi
alle tue porte, Gerusalemme! R.
Gerusalemme è costruita
come città unita e compatta.
È là che salgono le tribù,
le tribù del Signore. R.
Secondo la legge d'Israele,
per lodare il nome del Signore.
Là sono posti i troni del giudizio,
i troni della casa di Davide. R.
Vangelo
Lc 16,1-8
1Diceva anche ai discepoli: "Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. 2Lo chiamò e gli disse: "Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare". 3L'amministratore disse tra sé: "Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l'amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. 4So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall'amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua". 5Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: "Tu quanto devi al mio padrone?". 6Quello rispose: "Cento barili d'olio". Gli disse: "Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta". 7Poi disse a un altro: "Tu quanto devi?". Rispose: "Cento misure di grano". Gli disse: "Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta". 8Il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.
Note
Approfondimenti
Secondo una possibile ipotesi interpretativa, la mimesi costituirebbe il genere letterario della lettera ai Filippesi. Il sostantivo symmimētēs, che non compare nella letteratura greca precedente, potrebbe essere tradotto con “co-imitatemi”.
Risalendo ai processi di mimesi - propri di ogni cultura - presenti nell’AT, uno dei principali è l’esortazione alla santità: “Siate santi come Io, il Signore, sono santo” (Lv 11, 19, 20).
Nel NT e in ambiente greco, tuttavia, solo Paolo utilizza il linguaggio della mimesi umana (applicandolo alla relazione con se stesso, con Cristo, fra le comunità), che nelle sue lettere sostituisce il linguaggio del discepolato, proprio delle relazioni tra Gesù e i discepoli.
La mimesi umana non si fonda tanto sull’autorità di Paolo come apostolo, che per il suo particolare rapporto con Cristo appare inimitabile, ma sull’assimilazione con i filippesi, con cui condivide la lotta e la sofferenza per Cristo e per il Vangelo. Questa mimesi umana, dunque, si inserisce in un rapporto di intimità tra amici, nel comune essere in Cristo.
L’immagine della corona (stephanos, στέφανος) assume i tratti di una metafora nel contesto sportivo o atletico. L’uso delle corone floreali o di metallo era diffuso nel mondo antico e, a seconda del contesto, poteva esprimere i sentimenti e le virtù più diversi (tra cui gioia, dignità, gloria, fedeltà).
In questo passo risalta il senso di perseveranza nel condurre a termine la corsa, per cui entrambi i termini – gioia e corona – esprimono la gioia di Paolo nel constatare la fedeltà dei Filippesi che corrono con lui verso la meta. Pur contenendo una sfumatura escatologica, questi sostantivi descrivono quello che i Filippesi sono già al presente per Paolo: una corona di fermezza di cui può vantarsi davanti a chiunque.
Questa valenza simbolica della corona si può trovare anche nell’AT, in particolare in Is 62,3 ("Sarai una magnifica corona nella mano del Signore, un diadema regale nella palma del tuo Dio") e in Ez 16,12 ("Misi al tuo naso un anello, orecchini agli orecchi e una corona di gloria sul tuo capo").
Felici per ciò che si è
“Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire a Dio e a mammona”.
Le parole di Gesù nel Vangelo di oggi non lasciano spazio ai fraintendimenti. Egli ha perfettamente chiaro che l’attaccamento alle cose materiali e al denaro è l’idolatria più grande a cui l’uomo è sottoposto. Credo che la radice di questa tentazione sia il bisogno di possesso. Infatti nel possesso noi ci sentiamo rassicurati, protetti, abbiamo l’illusione di avere la vita sotto controllo. Avere denaro ci fa sentire padroni della vita, ma questa è solo un’illusione. Mettere Dio al centro significa recuperare una libertà che solitamente le cose materiali ci tolgono. Ovviamente questo è facile a dirsi se ogni giorno abbiamo da mangiare o se quando abbiamo freddo abbiamo una coperta che ci copre. Ma la povertà che il Vangelo elogia non consiste nella mancanza di quelle cose che rendono degna la vita di una persona. Quel tipo di povertà è assenza di giustizia, non beatitudine. La povertà a cui il Vangelo ci invita è quella di non far dipendere più la nostra vita dal semplice possesso delle cose, e dal comprendere che si è felici per ciò che si è e non per ciò che si ha. Solo il Signore ci rivela chi siamo, e ci aiuta a riconciliarci con il verbo essere. Chi non sa chi è, e non si accetta per ciò che è, cerca nel verbo avere la soluzione.
“I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si beffavano di lui. Egli disse: «Voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio”.
Molte cose che qui chiamiamo fama e fortuna, davanti a Dio sono solo maschere e apparenze che alla fine lasciano solo molta infelicità e vuoto.
Cerca nei commenti