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L’uso ripetuto di questa formula al dativo denota l’importanza dell’annuncio che Paolo vuole trasmettere in questi versetti: il vangelo cristiano è personale e relazionale, e implica la partecipazione di coloro che lo accolgono, ai quali questo annuncio, secondo Paolo, può davvero cambiare la vita.
L’uso ripetuto di questa formula al dativo denota l’importanza dell’annuncio che Paolo vuole trasmettere in questi versetti: il vangelo cristiano è personale e relazionale, e implica la partecipazione di coloro che lo accolgono, ai quali questo annuncio, secondo Paolo, può davvero cambiare la vita.
Il nome stesso di Lazzaro (Lazaros, Λάζαρος) è significativo: dall’ebraico Eleazaro, “Dio ha aiutato”, è un nomen-omen, un nome-presagio. La sua identità personale consiste nell’essere stato aiutato da Dio in Gesù, Yehoshua, “Dio salva”. Di conseguenza Lazzaro è in se stesso un “segno”, nel senso in cui questo termine è utilizzato nel Vangelo di Giovanni.
Il senso di questa espressione è “chiunque vive per la fede in me”, e non “chiunque vive la sua esistenza credendo”. Infatti il verbo zaō (ζάω) non esprime mai, nel Quarto Vangelo, il fatto fisico-biologico di esistere nella carne. È il credere che fa comprendere che la “vita eterna” è quella che scaturisce dalla fede, e in questo senso è una vita già per oggi, non solo per l’ultimo giorno.
Letteralmente, Gesù “fremette nello Spirito” e “si turbò” (taràssō, ταράσσω): questo turbamento è raro nel quarto Vangelo. Ritorna nella scena che equivale all’agonia: “Adesso la mia anima è turbata” (12,27) e all’annuncio del tradimento di Giuda: “Gesù fu profondamente turbato (lett. turbato nello Spirito). Dopo aver preso su di sé questo turbamento, Gesù può risparmiarlo ai discepoli: “Non sia turbato il vostro cuore” (14,1.27).
Nel testo vi sono due avverbi di luogo, che rendono l’espressione performativa, cioè capace di provocare un’azione immediata: deuro (δεῦρο), “per di qua”, unica occorrenza nel Vangelo di Giovanni, che suggerisce l’idea di una chiamata di Lazzaro a seguire Gesù. L’altro avverbio è exō (ἔξω), molto usato da Giovanni ma sempre in una sfumatura negativa di esclusione, mentre solo qui assume un significato positivo: essere strappati dai lacci della morte.
Il nome stesso di Lazzaro (Lazaros, Λάζαρος) è significativo: dall’ebraico Eleazaro, “Dio ha aiutato”, è un nomen-omen, un nome-presagio. La sua identità personale consiste nell’essere stato aiutato da Dio in Gesù, Yehoshua, “Dio salva”. Di conseguenza Lazzaro è in se stesso un “segno”, nel senso in cui questo termine è utilizzato nel Vangelo di Giovanni.
Commento alla Liturgia
V Domenica di Quaresima
Prima lettura
Ez 37,12-14
12Perciò profetizza e annuncia loro: "Così dice il Signore Dio: Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nella terra d'Israele. 13Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri, o popolo mio. 14Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nella vostra terra. Saprete che io sono il Signore. L'ho detto e lo farò"". Oracolo del Signore Dio.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 129(130)
R. Il Signore è bontà e misericordia.
Dal profondo a te grido, o Signore;
Signore, ascolta la mia voce.
Siano i tuoi orecchi attenti
alla voce della mia supplica. R.
Se consideri le colpe, Signore,
Signore, chi ti può resistere?
Ma con te è il perdono:
così avremo il tuo timore. R.
Io spero, Signore.
Spera l'anima mia,
attendo la sua parola.
L'anima mia è rivolta al Signore
più che le sentinelle all'aurora. R.
Più che le sentinelle l'aurora,
Israele attenda il Signore,
perché con il Signore è la misericordia
e grande è con lui la redenzione.
Egli redimerà Israele da tutte le sue colpe. R.
Seconda Lettura
Rm 8,8-11
8Quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio. 9Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. 10Ora, se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia. 11E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.
Vangelo
Gv 11,1-45
1Un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. 2Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. 3Le sorelle mandarono dunque a dirgli: "Signore, ecco, colui che tu ami è malato". 4All'udire questo, Gesù disse: "Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato". 5Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. 6Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. 7Poi disse ai discepoli: "Andiamo di nuovo in Giudea!". 8I discepoli gli dissero: "Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?". 9Gesù rispose: "Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; 10ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui". 11Disse queste cose e poi soggiunse loro: "Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo". 12Gli dissero allora i discepoli: "Signore, se si è addormentato, si salverà". 13Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. 14Allora Gesù disse loro apertamente: "Lazzaro è morto 15e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!". 16Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: "Andiamo anche noi a morire con lui!". 17Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. 18Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri 19e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. 20Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. 21Marta disse a Gesù: "Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! 22Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà". 23Gesù le disse: "Tuo fratello risorgerà". 24Gli rispose Marta: "So che risorgerà nella risurrezione dell'ultimo giorno". 25Gesù le disse: "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; 26chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?". 27Gli rispose: "Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo". 28Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: "Il Maestro è qui e ti chiama". 29Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. 30Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. 31Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro. 32Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: "Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!". 33Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, 34domandò: "Dove lo avete posto?". Gli dissero: "Signore, vieni a vedere!". 35Gesù scoppiò in pianto. 36Dissero allora i Giudei: "Guarda come lo amava!". 37Ma alcuni di loro dissero: "Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?". 38Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. 39Disse Gesù: "Togliete la pietra!". Gli rispose Marta, la sorella del morto: "Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni". 40Le disse Gesù: "Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?". 41Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: "Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. 42Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato". 43Detto questo, gridò a gran voce: "Lazzaro, vieni fuori!". 44Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: "Liberàtelo e lasciàtelo andare". 45Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui.
Note
Venire fuori
È davvero misterioso il comportamento di Gesù nel vangelo di questa domenica. Quando viene a sapere che il suo amico Lazzaro «è malato» (Gv 11,3) non fa nulla, anzi rimane «per due giorni nel luogo dove si trovava» (11,6). Non ci appare immediatamente ragionevole, neppure misericordioso, un simile atteggiamento. Anche perché — assicura l’evangelista — «Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro» (11,5).
Perché, dunque, Gesù si limita a dire che «questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio» (11,4), rimanendo però inerte e passivo? Forse lo fa per offrire un segno che indichi, a scanso di equivoci, che la capacità di dare e restituire la vita è una prerogativa di Dio, come già affermavano nei tempi antichi tutti i profeti:
«Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nella terra d’Israele» (Ez 37,12).
Gesù intuisce che è giunto il momento in cui il mistero della sua divinità si renda pienamente manifesto in lui: «Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri, o popolo mio» (37,14).
Dopo aver preso la rincorsa attraverso una strana scelta di inattività, Gesù si rimette in cammino verso l’amico Lazzaro quando è ormai «morto» (Gv 11,14) ed è «già da quattro giorni nel sepolcro» (11,17). Appena la sorella Marta viene a sapere che «veniva Gesù», gli va incontro e gli dice:
«Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!» (Gv 11,21).
In queste parole si rivela il retro-pensiero della nostra mentalità credente, l’idea che Dio, qualora esista davvero, non possa che esentarci da dolore e sofferenza. In virtù di questo modo di pensare, la nostra fede si accontenta di contenere i danni e si esprime pigramente nell’evitare qualsiasi errore e nel rimandare il più lontano possibile il confronto con la morte. Anche noi, come Marta, sappiamo che ogni uomo «risorgerà nell’ultimo giorno» (11,24), ma non abbiamo ancora compreso che in realtà l’ultimo giorno è adesso, perché Gesù è la Risurrezione, perciò chi «vive» e «crede» in lui, «anche se muore, vivrà» (11,25).
È vero che un giorno ciascuno di noi dovrà morire. Ma è altrettanto sicuro che, fin d’ora, noi viviamo già condizionati dalla paura che la morte esercita e insinua nel nostro cuore. Questa tenebra, invisibile e potente, è il motore di quel filo rosso della storia umana che la Bibbia chiama peccato, come ricorda l’apostolo ai cristiani della prima ora:
«Il vostro corpo è morto per il peccato» (Rm 8,10).
Il Signore Gesù non sembra affatto intimorito di fare i conti con questa parte di noi. Si avvicina al nostro «cattivo odore» (Gv 11,39), quasi come un discepolo desideroso di scoprire fin dove arrivano i nostri sentieri interrotti. In tal modo rivela la bellezza di un Dio invisibile ma estremamente sensibile alla nostra sofferenza. Dio ama la nostra vita più di quanto noi siamo capaci di amarla. E se lascia che la morte avvenga, lo fa soltanto perché impariamo a riconoscere il profumo della sua comunione d’amore in mezzo al cattivo odore della nostra solitudine e alle tenebre del nostro peccato.
Compiendo un gesto palesemente assurdo – parlare a un morto – Gesù dice a Lazzaro:
«Vieni fuori!» (Gv 11,43).
E il morto esce, torna alla vita, così che alla vista di questo prodigio molti «credettero in lui» (11,45). L’ultimo segno che Gesù compie fa risorgere soprattutto il cuore di tutti i presenti, mentre il povero Lazzaro dovrà riaffrontare ancora una volta l’esperienza della morte fisica. Il segno però rivela il cuore del vangelo: ora noi sappiamo che Dio non ci salva dalla morte, ma nella morte. Non ci toglie il limite necessario per esistere come creature, né la dignità di esserne coscienti. Ci offre invece la grazia di comprenderlo e di viverlo in un modo nuovo, come occasione per esistere davanti al suo volto.
Dobbiamo solo essere disposti a farci incontrare nel profondo dei nostri sepolcri, al di là di quelle maschere che siamo tentati di indossare per apparire rispettabili e amabili agli occhi degli altri. Persino agli occhi di quel Dio che, invece, non è lontano, ma rimane presente e ardente d’amore davanti al nostro sepolcro. Pronto a introdurci in una vita nuova, non appena diamo ascolto al suo potente grido d’amore: «Vieni fuori!» (11,43).
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