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Alla lettera nel testo greco si legge “i figli della stanza nuziale”, oi huiòi tou numphōnos (οἱ υἱοὶ τοῦ νυμφῶνος), espressione che può indicare sia i semplici invitati alle nozze, sia gli amici più intimi dello sposo. Ma in questi personaggi si può cogliere il passaggio tipico di Matteo tra il vecchio (i discepoli di Giovanni e i farisei) e il nuovo (i discepoli di Gesù), attraverso la metafora sponsale: i giorni del Messia sono giorni nuziali, il che non sostituisce l’originario progetto di Dio, ma lo compie nella relazione sponsale, che sempre unisce realtà diverse, YHWH e Israele prima, Gesù e la chiesa dopo.
Commento alla Liturgia
Venerdì dopo le Ceneri
Prima lettura
Is 58,1-9a
1Grida a squarciagola, non avere riguardo; alza la voce come il corno, dichiara al mio popolo i suoi delitti, alla casa di Giacobbe i suoi peccati. 2Mi cercano ogni giorno, bramano di conoscere le mie vie, come un popolo che pratichi la giustizia e non abbia abbandonato il diritto del suo Dio; mi chiedono giudizi giusti, bramano la vicinanza di Dio: 3"Perché digiunare, se tu non lo vedi, mortificarci, se tu non lo sai?". Ecco, nel giorno del vostro digiuno curate i vostri affari, angariate tutti i vostri operai. 4Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi e colpendo con pugni iniqui. Non digiunate più come fate oggi, così da fare udire in alto il vostro chiasso. 5È forse come questo il digiuno che bramo, il giorno in cui l'uomo si mortifica? Piegare come un giunco il proprio capo, usare sacco e cenere per letto, forse questo vorresti chiamare digiuno e giorno gradito al Signore? 6Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? 7Non consiste forse nel dividere il pane con l'affamato, nell'introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti? 8Allora la tua luce sorgerà come l'aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. 9Allora invocherai e il Signore ti risponderà, implorerai aiuto ed egli dirà: "Eccomi!". Se toglierai di mezzo a te l'oppressione, il puntare il dito e il parlare empio,
Salmo Responsoriale
Dal Sal 50(51)
R. Tu non disprezzi, o Dio, un cuore contrito e affranto.
oppure:
R. Tu gradisci, Signore, il cuore penitente.
Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;
nella tua grande misericordia
cancella la mia iniquità.
Lavami tutto dalla mia colpa,
dal mio peccato rendimi puro. R.
Sì, le mie iniquità io le riconosco,
il mio peccato mi sta sempre dinanzi.
Contro di te, contro te solo ho peccato,
quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto. R.
Tu non gradisci il sacrificio;
se offro olocàusti, tu non li accetti.
Uno spirito contrito è sacrificio a Dio;
un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non disprezzi. R.
Vangelo
Mt 9,14-15
14Allora gli si avvicinarono i discepoli di Giovanni e gli dissero: "Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano?". 15E Gesù disse loro: "Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno.
Note
Perché digiunare?
Oggi noi discepoli di Cristo prendiamo sul serio l’invito della Quaresima al digiuno, sottraendo un po’ di cibo dalle nostre mense e donandolo al silenzio della preghiera. Accogliamo questo invito non per perfezionare la nostra forza di volontà, ma per favorire la conversione del nostro cuore al cuore stesso di Dio. Mettiamo mano al nostro rapporto con il cibo per scoprire e disseppellire la presenza in noi di una fame più vera e profonda rispetto a quella che ci muove ordinariamente: la sete di giustizia e il desiderio di compiere il bene.
Eppure, ancora prima di cimentarci in questa antica e sapiente pratica ascetica, veniamo ammoniti dalla voce profetica di Isaia:
«Non digiunate più come fate oggi, così da fare udire in alto il vostro chiasso. È forse come questo il digiuno che bramo, il giorno in cui l’uomo si mortifica?» (Is 58,4-5).
La parola sferzante del profeta di Dio sembra quasi muoverci un rimprovero prima che i nostri sforzi ascetici abbiano avuto modo di esprimersi e di rivelare l’effettiva disponibilità a cambiare i nostri passi e a crescere nella carità. Dobbiamo riconoscere, in effetti, che molte delle cose che facciamo — non solo i gesti di mortificazione — spesso si configurano, già nelle primissime intenzioni, come un inutile, anzi sconveniente sacrificio. Non tanto perché il nostro impegno sia del tutto privo di una certa dose di generosità, ma perché esso non è originato da una pienezza di vita — almeno desiderata — ma da un vuoto e dalla tristezza che lo divora.
Diventano allora importanti, anzi fondamentali e luminose, le parole che il Signore Gesù pronuncia nel vangelo di oggi:
«Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro?» (Mt 9,15).
In Quaresima siamo tutti invitati a verificare con sincerità — e una buona dose di coraggio — se e quanto stiamo imparando a vivere dell’amore di Dio oppure, al contrario, quello che stiamo facendo è ancora espressione di un’inutile intenzione di meritarci il riconoscimento e la dignità che solo gratuitamente possono essere offerti e ricevuti. Per compiere questa verifica è sufficiente osservare la nostra capacità di accogliere il reale con la mitezza dell’amore: osservare quanta attenzione e premura ci capita di avere nei confronti degli altri, misurare l’effettiva disponibilità a metterci da parte per perdonare e andare oltre nei momenti dolorosi, valutare il grado di agilità nell’adattarci agli imprevisti della vita, che sempre modificano e plasmano il nostro anelito di felicità. Proprio in questi ordinari e silenziosi spazi quotidiani possiamo imparare a nutrirci della volontà di Dio, anziché sederci alla mensa della nostra volontà, per riscoprire nella logica della croce il sigillo di verità della nostra umanità:
«Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo?» (Is 58,6).
L’astinenza dal cibo a cui la Quaresima ci richiama — soprattutto nei giorni di venerdì in cui la memoria della Passione del Signore è più viva — è una pratica antica e seria, da non barattare troppo velocemente con altre forme di privazione (dalla televisione e dai pettegolezzi, dallo smartphone e da Internet) che, seppure necessarie oggi, non arrivano mai a toccare l’equilibrio della nostra vita come può fare invece il rapporto con il cibo. Semmai, la mortificazione degli appetiti deve diventare il segno di quella più importante sottrazione di pesi e ingiustizie dalle spalle dei nostri fratelli, che ci incarichiamo di compiere attraverso una maggior cura nei loro confronti. La parola del profeta ci assicura che esiste una «ferita» aperta, che sanguina nel nostro cuore, che però «si rimarginerà presto» (58,8), se assecondiamo il desiderio di amare, donare e servire. Desiderio scolpito e nascosto in noi come fame profonda e insopprimibile.
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