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Nella cultura egiziana, la destra rappresentava la parte più prestigiosa, nella cultura araba i giuramenti si fanno con la mano destra, e nella Bibbia il luogo più importante è alla destra del re o di Dio. La destra è associata alla fortuna, a ciò che è giusto e forte, come la mano destra di YHWH, mentre la sinistra implica difficoltà e presagi negativi.
Probabilmente Matteo fa riferimento qui alla tradizione giudaica di Abram che dà ospitalità ai tre stranieri (cf. Gen 18,1-22). Secondo il midrash, offre loro da mangiare nonostante fosse convalescente per la sua circoncisione. Per questo suo gesto, Israele è salvato da Dio. Con questa descrizione e con le altre che seguono, Gesù, il Figlio dell’uomo, si raffigura come un uomo bisognoso di aiuto, e solo al v. 40 si apprende che questo stesso uomo è il “re”.
Commento alla Liturgia
Lunedì della I settimana di Quaresima
Prima lettura
Lv 19,1-2.11-18
1Il Signore parlò a Mosè e disse: 2"Parla a tutta la comunità degli Israeliti dicendo loro: "Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo. 11Non ruberete né userete inganno o menzogna a danno del prossimo. 12Non giurerete il falso servendovi del mio nome: profaneresti il nome del tuo Dio. Io sono il Signore. 13Non opprimerai il tuo prossimo, né lo spoglierai di ciò che è suo; non tratterrai il salario del bracciante al tuo servizio fino al mattino dopo. 14Non maledirai il sordo, né metterai inciampo davanti al cieco, ma temerai il tuo Dio. Io sono il Signore. 15Non commetterete ingiustizia in giudizio; non tratterai con parzialità il povero né userai preferenze verso il potente: giudicherai il tuo prossimo con giustizia. 16Non andrai in giro a spargere calunnie fra il tuo popolo né coopererai alla morte del tuo prossimo. Io sono il Signore. 17Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai di un peccato per lui. 18Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 18 (19)
R. Le tue parole, Signore, sono spirito e vita.
La legge del Signore è perfetta,
rinfranca l’anima;
la testimonianza del Signore è stabile,
rende saggio il semplice. R.
I precetti del Signore sono retti,
fanno gioire il cuore;
il comando del Signore è limpido,
illumina gli occhi. R.
Il timore del Signore è puro,
rimane per sempre;
i giudizi del Signore sono fedeli,
sono tutti giusti. R.
Ti siano gradite le parole della mia bocca;
davanti a te i pensieri del mio cuore,
Signore, mia roccia e mio redentore. R.
Vangelo
Mt 25,31-46
31Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. 32Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, 33e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. 34Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: "Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi". 37Allora i giusti gli risponderanno: "Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?". 40E il re risponderà loro: "In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me". 41Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: "Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato". 44Anch'essi allora risponderanno: "Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?". 45Allora egli risponderà loro: "In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l'avete fatto a me". 46E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna".
Note
Approfondimenti
Utilizzando il termine ethnos (ἔθνος), Matteo distingue tra popolo di Dio (cioè Israele) e popoli pagani, come facevano già la Bibbia ebraica e la tradizione giudaica. Mentre laos (λαός) indica in Matteo il popolo santo di Dio (in ebraico ‘am), ethnos al plurale significa popolo con un’accezione nazionalistica, come nazione di pagani (in ebraico gōyyim).
Questa distinzione tra “pagani” e “popolo di Dio” è importante per l’esegesi di questo passo poiché, anche tra quanti – fuori da Israele – non sono stati raggiunti dal messaggio di Cristo oppure lo hanno rifiutato, vi sono dei giusti che si salveranno grazie agli atti d’amore che avranno compiuto verso gli ebrei credenti in Gesù Messia, i suoi “fratelli”, ovvero i “cristiani”.
Letteralmente, “fondazione” (katabolē, καταβολή). L’espressione semitica “dalla fondazione del mondo” può implicare due concetti:
Più piccoli
Il codice di santità contenuto nel libro del Levitico, che la liturgia della Parola propone oggi come prima lettura, alza subito il tiro del cammino quaresimale, attraverso un invito a desiderare la vita in tutta la sua dignità e pienezza. Per quanto possa sembrare un appello quasi prematuro, rispetto alla lunghezza dell’itinerario quaresimale, dobbiamo ammettere che la santità non può che essere il solo orizzonte in cui merita di iscriversi un percorso di ascesi cristiana. Non certo da intendere come traguardo da raggiungere con le migliori energie, ma il “destino” naturale — e soprannaturale — della nostra umanità plasmata a immagine e somiglianza del Creatore. La voce dell’Altissimo, del resto, risuona fin dai tempi antichi serenamente perentoria su questo livello di possibile divinizzazione della nostra umanità:
«Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo» (Lv 19,2).
Questo enorme invito, lanciato nella terra fresca di questa nuova Quaresima, ci offre l’occasione di ripensare alla santità non come una prerogativa di pochi, eletti fratelli e sorelle nella fede, il cui nome ricorre nel calendario e nella preghiera della Chiesa, ma come un carattere conferito a ogni discepolo del Signore mediante il battesimo. Una vita bella e piena — dunque, santa — non si misura tanto in rapporto a eroiche virtù da acquisire o manifestare, quanto nella capacità di avere una speciale attenzione verso l’altro, riconosciuto — al pari di noi stessi — un essere bisognoso e capace di amore. In questa prospettiva si coglie in tutta la sua rilevanza la norma del Levitico circa i rapporti fraterni:
«Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso» (Lv 19,18).
Con una lunga e suggestiva parabola, il Signore Gesù radicalizza l’antico codice di santità, portando fino alle estreme conseguenze la disponibilità che siamo sempre chiamati a conservare e maturare verso il nostro prossimo, anche e soprattutto quando si pone di fronte a noi come “nemico”. Nell’immagine solenne di un universale e conclusivo giudizio, possiamo riconoscere, in realtà, la particolare conclusione di ogni giudizio incompatibile con l’inviolabile parametro dell’attenzione ai «più piccoli» e alle più piccole realtà di ogni giorno:
«In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).
Anziché orientare lo sguardo a irraggiungibili altezze, la Quaresima ci fa subito piegare gli occhi verso il basso, verso le pieghe poco appariscenti del quotidiano, in cui dobbiamo riconoscere il grande deserto dove si diventa discepoli del Regno e interpreti del Vangelo. Il fatto che tanto i giusti quanto gli empi resteranno sorpresi di essere giudicati su qualcosa che non ricordano di aver omesso o compiuto, ci dice come la nostra capacità di voler bene debba diventare qualcosa di estremamente naturale e spontaneo per poter essere e dirsi autentica, quasi un’attitudine di cui non si deve e non si può essere fino in fondo consapevoli:
«Quando (mai) ti abbiamo visto…?» (25,37.38.39.44).
L’amore reale verso il prossimo non è da intendersi come un obbligo da adempiere per astratte questioni di giustizia, ma come un’attenzione al bisogno dell’altro che si compie senza troppa premeditazione, senza nemmeno avere l’intenzione di fare qualcosa di più rispetto a ciò che si sta semplicemente compiendo. La conversione di santità a cui la Quaresima tende non si realizza attraverso gesti con i quali cerchiamo di sentirci e mostrarci più buoni di quello che siamo, ma attraverso atti di “spontanea” e squisita carità con cui si restituisce un amore gratuitamente ricevuto. Per questo il codice di santità dell’Antico e Nuovo Testamento non può essere interpretato con troppo protagonismo, ma solo a partire da un occhio allenato a volgere lo sguardo e l’attenzione ai «più piccoli», nei quali si nasconde sempre la presenza di Colui che si è fatto “più piccolo” per farci diventare tutti “più grandi” nell’amore.
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