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Il verbo diakonèō (διακονέω) compare in Matteo altre quattro volte, confermando per lo più il significato di “servire a tavola”, di prendersi cura del bisogno di un altro, ma allo stesso tempo lo amplia, come in questo versetto, fino a esprimere il servizio proprio di Gesù, per cui egli è venuto: quello che arriva a dare la vita a favore di altri.
Unica occorrenza nel Vangelo di Matteo, il sostantivo lutron (λύτρον) contiene il verbo luō (λύω), che significa “sciogliere, slegare, liberare”, e indica propriamente il “prezzo del riscatto” che nell’antichità occorreva pagare per l’affrancamento degli schiavi. In Matteo richiama anche il rituale giudaico del giorno dell’Espiazione, e in questa ottica sacrificale il primo evangelista anticipa la riflessione sulla passione di Cristo, la cui morte è data “in cambio per” la vita e la salvezza altrui.
L’aggettivo polùs (πολύς) è molto importante in questo detto, che esprime l’autocoscienza di Gesù rispetto alla propria missione salvifica. Nel linguaggio dei profeti, i “molti” per eccellenza sono Israele, ed è anzitutto per il suo popolo che Gesù offre la sua morte, ma già nei profeti la prospettiva si allarga includendo le nazioni, ovvero i pagani, citati qui al v. 19 come coloro a cui il Signore viene consegnato. Quando Gesù dice “molti”, infatti, non è per escludere qualcuno, ma per cominciare da qualcuno e arrivare a includere “tutti”.
Commento alla Liturgia
Mercoledì della II settimana di Quaresima
Prima lettura
Ger 18,18-20
18Dissero: "Venite e tramiamo insidie contro Geremia, perché la legge non verrà meno ai sacerdoti né il consiglio ai saggi né la parola ai profeti. Venite, ostacoliamolo quando parla, non badiamo a tutte le sue parole". 19Prestami ascolto, Signore, e odi la voce di chi è in lite con me. 20Si rende forse male per bene? Hanno scavato per me una fossa. Ricòrdati quando mi presentavo a te, per parlare in loro favore, per stornare da loro la tua ira.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 30 (31)
R. Salvami, Signore, per la tua misericordia.
Scioglimi dal laccio che mi hanno teso,
perché sei tu la mia difesa.
Alle tue mani affido il mio spirito;
tu mi hai riscattato, Signore, Dio fedele. R.
Ascolto la calunnia di molti: «Terrore all’intorno!»,
quando insieme contro di me congiurano,
tramano per togliermi la vita. R.
Ma io confido in te, Signore;
dico: «Tu sei il mio Dio, i miei giorni sono nelle tue mani».
Liberami dalla mano dei miei nemici
e dai miei persecutori. R.
Vangelo
Mt 20,17-28
17Mentre saliva a Gerusalemme, Gesù prese in disparte i dodici discepoli e lungo il cammino disse loro: 18"Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell'uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte 19e lo consegneranno ai pagani perché venga deriso e flagellato e crocifisso, e il terzo giorno risorgerà". 20Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedeo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa. 21Egli le disse: "Che cosa vuoi?". Gli rispose: "Di' che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno". 22Rispose Gesù: "Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?". Gli dicono: "Lo possiamo". 23Ed egli disse loro: "Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato". 24Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli. 25Ma Gesù li chiamò a sé e disse: "Voi sapete che i governanti delle nazioni dóminano su di esse e i capi le opprimono. 26Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore 27e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. 28Come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti".
Note
Non (sarà) così
L’interrogativo che il profeta Geremia si pone nell’ora della persecuzione, quando i capi di Israele tramano insidie contro di lui a causa del suo scomodo messaggio da parte di Dio, può diventare anche la voce delle nostre paure più recondite. Cosa c’è di peggio che amare e non essere ricambiati? Restare fedeli e venire traditi? Offrire un sorriso e ricevere indifferenza? L’universale esperienza del male non è qualcosa che può essere capita con le sole armi della ragione, ma può essere attraversata con l’umile realismo di un grido che sgorga dalla nostra sensibilità ferita e mortificata:
«Si rende forse male per bene? Hanno scavato per me una fossa» (Ger 18,20).
Anche il Signore Gesù — osservando una forte ostilità crescere attorno a sé — si accorge che essere inviato da Dio verso gli uomini significa fare i conti con la possibilità che il cielo terso si tramuti improvvisamente in uno scenario cupo e minaccioso. Come il profeta Geremia, anche il Signore Gesù ha cercato di parlare «in favore» della gente, rivolgendo il suo canto di speranza soprattutto ai poveri e ai piccoli. Con la sua vita e le sue opere ha saputo rivelare tutta la tenerezza del Padre, provando a cancellare ogni residuo sospetto di un Dio pieno d’ira e assetato di vendetta nei confronti dell’uomo. Eppure, al termine del suo ministero di carità e di verità, anche il Figlio dell’uomo è costretto a riconoscere che l’odio sta per sferrare il suo colpo micidiale contro la sua consegnata mitezza. Condividere questi pensieri con i discepoli è rivelare a loro — e a noi — fino a che punto il bene può non temere di veder sopraggiungere il male:
«Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani perché venga deriso e flagellato e crocifisso, e il terzo giorno risorgerà» (Mt 20,18-19).
Il mistero del rifiuto e della persecuzione non sta scritto solo nei testi sacri, ma anche nelle cronache — antiche e nuove — della nostra vita quotidiana. Lo sperimentiamo nelle vicende familiari, negli ambienti di lavoro, nelle relazioni che cerchiamo di portare avanti, spesso barcamenandoci tra silenzi, incomprensioni e sofferenze. Quando poi il cuore si congela e si paralizza, scivoliamo nell’inganno di credere che per sfuggire alla terribile morsa del male sia necessario provare a salire e conquistare un posto dove la vita scorre tranquilla, al riparo da traumi e infortuni. Un pensiero lucido e folle, che riusciamo persino a trasformare in preghiera:
«Di’ che questi miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno» (Mt 20,21).
Finché concepiamo la nostra vita come un cammino individuale, non potremo che aspirare a posizioni di grandezza dove si accarezza l’illusione di essere inattaccabili, ben protetti dal rischio di essere colpiti, feriti e uccisi. Ma solo una vita intesa come relazione con gli altri può salvarci da questa “illusione di sicurezza”, che è in realtà “certezza di solitudine”. Poter dire “noi” mentre si sperimenta un grande dolore personale — come hanno saputo fare Geremia e Gesù — è il segno di una conversione a Dio come Padre e all’umanità come corpo di cui siamo partecipi insieme a tutti. In questa misteriosa forma di comunione si è al sicuro non quando non piove, ma quando risplende il sole del servizio. Terapia per ogni forma di solitudine che può sedurre il nostro cuore:
«Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo» (Mt 20,26-27).
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