Nei molti casi in cui il termine ethnos (ἔθνος) compare al plurale in Matteo, si intende “i pagani”. Qui invece compare al singolare, indicando semplicemente un insieme di persone.
Forse Matteo allude anche al popolo degli “stranieri”, la comunità dei credenti in Gesù Cristo, che hanno aderito all’annuncio di Giovanni Battista, di Gesù stesso, dei missionari cristiani, in contrapposizione a quanti lo hanno rifiutato.
Secondo un’altra possibile accezione, il termine ethnos non designa comunque tutta la chiesa, ma un gruppo, e cioè i responsabili della comunità giudeo-cristiana.
In ogni caso, non è la vigna – la casa di Israele, il Regno di Dio, il territorio privilegiato che appartiene al Messia – a essere sostituita, ma i suoi responsabili.
Commento alla Liturgia
Venerdì della II settimana di Quaresima
Prima lettura
Gen 37,3-4.12-13a.17b-28
3Israele amava Giuseppe più di tutti i suoi figli, perché era il figlio avuto in vecchiaia, e gli aveva fatto una tunica con maniche lunghe. 4I suoi fratelli, vedendo che il loro padre amava lui più di tutti i suoi figli, lo odiavano e non riuscivano a parlargli amichevolmente. 12I suoi fratelli erano andati a pascolare il gregge del loro padre a Sichem. 13Israele disse a Giuseppe: "Sai che i tuoi fratelli sono al pascolo a Sichem? Vieni, ti voglio mandare da loro". Gli rispose: "Eccomi!". 17Quell'uomo disse: "Hanno tolto le tende di qui; li ho sentiti dire: "Andiamo a Dotan!"". Allora Giuseppe ripartì in cerca dei suoi fratelli e li trovò a Dotan. 18Essi lo videro da lontano e, prima che giungesse vicino a loro, complottarono contro di lui per farlo morire. 19Si dissero l'un l'altro: "Eccolo! È arrivato il signore dei sogni! 20Orsù, uccidiamolo e gettiamolo in una cisterna! Poi diremo: "Una bestia feroce l'ha divorato!". Così vedremo che ne sarà dei suoi sogni!". 21Ma Ruben sentì e, volendo salvarlo dalle loro mani, disse: "Non togliamogli la vita". 22Poi disse loro: "Non spargete il sangue, gettatelo in questa cisterna che è nel deserto, ma non colpitelo con la vostra mano": egli intendeva salvarlo dalle loro mani e ricondurlo a suo padre. 23Quando Giuseppe fu arrivato presso i suoi fratelli, essi lo spogliarono della sua tunica, quella tunica con le maniche lunghe che egli indossava, 24lo afferrarono e lo gettarono nella cisterna: era una cisterna vuota, senz'acqua. 25Poi sedettero per prendere cibo. Quand'ecco, alzando gli occhi, videro arrivare una carovana di Ismaeliti provenienti da Gàlaad, con i cammelli carichi di resina, balsamo e làudano, che andavano a portare in Egitto. 26Allora Giuda disse ai fratelli: "Che guadagno c'è a uccidere il nostro fratello e a coprire il suo sangue? 27Su, vendiamolo agli Ismaeliti e la nostra mano non sia contro di lui, perché è nostro fratello e nostra carne". I suoi fratelli gli diedero ascolto. 28Passarono alcuni mercanti madianiti; essi tirarono su ed estrassero Giuseppe dalla cisterna e per venti sicli d'argento vendettero Giuseppe agli Ismaeliti. Così Giuseppe fu condotto in Egitto.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 104 (105)
R. Ricordiamo, Signore, le tue meraviglie.
Il Signore chiamò la carestia su quella terra,
togliendo il sostegno del pane.
Davanti a loro mandò un uomo,
Giuseppe, venduto come schiavo. R.
Gli strinsero i piedi con ceppi,
il ferro gli serrò la gola,
finché non si avverò la sua parola
e l’oracolo del Signore ne provò l’innocenza. R.
Il re mandò a scioglierlo,
il capo dei popoli lo fece liberare;
lo costituì signore del suo palazzo,
capo di tutti i suoi averi. R.
Vangelo
Mt 21,33-43.45-46
33Ascoltate un'altra parabola: c'era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. 34Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. 35Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. 36Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. 37Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: "Avranno rispetto per mio figlio!". 38Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: "Costui è l'erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!". 39Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. 40Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?". 41Gli risposero: "Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo". 42E Gesù disse loro: "Non avete mai letto nelle Scritture: La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d'angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi ? 43Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti. 45Udite queste parabole, i capi dei sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro. 46Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla, perché lo considerava un profeta.
Approfondimenti
In questa citazione del Sal 118,22 si trova probabilmente un gioco linguistico ironico che deve risalire proprio alle parole effettivamente pronunciate da Gesù. Nella sinagoga, infatti, il testo aramaico del Salmo veniva letto sostituendo “pietra” (‘eben in ebraico) con “figlio” (bēn in ebraico). I capi dei sacerdoti e i farisei, quindi, devono aver capito l’allusione a Gesù, quel “figlio di Iesse” che stava per subire la sorte del suo antenato David, prima scartato ma poi scelto come re.
Inoltre, la pietra scartata è Gesù, un figlio d’Israele: Matteo non intende esaltare il cristianesimo rispetto al giudaismo, né definire la Chiesa come il “vero Israele”. La Chiesa riceve la sua identità dal suo rapporto con il Signore crocifisso e risorto, dalla risposta che riesce a dare alla sua rinnovata offerta di riconciliazione.
Nei molti casi in cui il termine ethnos (ἔθνος) compare al plurale in Matteo, si intende “i pagani”. Qui invece compare al singolare, indicando semplicemente un insieme di persone.
Forse Matteo allude anche al popolo degli “stranieri”, la comunità dei credenti in Gesù Cristo, che hanno aderito all’annuncio di Giovanni Battista, di Gesù stesso, dei missionari cristiani, in contrapposizione a quanti lo hanno rifiutato.
Secondo un’altra possibile accezione, il termine ethnos non designa comunque tutta la chiesa, ma un gruppo, e cioè i responsabili della comunità giudeo-cristiana.
In ogni caso, non è la vigna – la casa di Israele, il Regno di Dio, il territorio privilegiato che appartiene al Messia – a essere sostituita, ma i suoi responsabili.
Meraviglia
È ingenuo pensare che l’amore riesca a suscitare immediatamente altro amore. Questo avviene quando il cuore è purificato e pacificato in tutte le sue ferite. Ordinariamente, quando qualcuno eccede nell’amare o nel lasciarsi amare, il sentimento dell’invidia esplode in chi si sente improvvisamente defraudato da un simile confronto:
«Israele amava Giuseppe più di tutti i suoi figli, perché era il figlio avuto in vecchiaia, e gli aveva fatto una tunica con maniche lunghe. I suoi fratelli, vedendo che il loro padre amava lui più di tutti i suoi figli, lo odiavano e non riuscivano a parlargli amichevolmente» (Gen 37,3-4).
Il miglior trattamento riservato agli altri, nelle circostanze più svariate della vita, è capace di sollevare in noi quella sorda indignazione capace di trasformarsi in fretta in sentimenti di odio e in gesti di violenza. I fratelli di Giuseppe non riescono a guardare con benevolenza quell’ultimo fratello nato a Giacobbe, amato in modo così speciale e premuroso. Senza riuscire a controllare il fuoco della gelosia, tramano contro di lui, avviando così una delle più tristi e sublimi storie di fraternità — prima interrotta e poi recuperata — dell’intera narrazione biblica.
Per condurre i capi religiosi alla coscienza di non essere estranei a simili sentimenti in cui la fraternità umana è negata e violata, il Signore Gesù racconta la celebre parabola dei vignaioli omicidi:
«Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità”. Lo presero, lo cacciarono fuori della vigna e lo uccisero» (Mt 21,37-39).
Forse, passando frettolosamente davanti a questi versetti e a queste storie, ci potremmo sentire lontani da un modo così brutale di esplicitare l’invidia e il rancore che abita anche il nostro cuore. Facciamo fatica ad ammettere che, ogni volta che ci sentiamo meno amati di quanto vorremmo e, soprattutto, di quanto lo sono gli altri, sorge dentro di noi l’intenzione di eliminare le tracce di ogni scomodo termine di confronto, che ravviva il ricordo della nostra inferiorità. Allora iniziamo a guardare con profondo sospetto tutte le differenze di cui sono pieni il mondo, la storia e ogni storia d’amore. Dimentichiamo che proprio quelle ferite che ci fanno sentire in diritto di soffrire o di far soffrire gli altri, in realtà, sono l’opportunità di scoprire il volto del Padre di tutti, e la sua reazione di misericordia a tutte le nostre malcelate invidie:
«Non avete mai letto nelle Scritture: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”?» (Mt 21,42).
La cosa più meravigliosa che Dio è capace di far risplendere davanti al nostro sguardo — spesso distratto eppure sempre così in attesa di bellezza — non è il segno di un amore che ci faccia sentire preferiti e unici, ma è la qualità di una relazione così libera da non fermarsi di fronte al rifiuto. Né il nostro, né quello degli altri. Una simile dedizione, gratuita e ostinata, è l’unica meraviglia in grado di guarire il nostro cuore dai morsi dell’invidia e dalla tentazione di violenza. Facendoci tornare il desiderio di continuare a dare, anche quando alcune strade si mostrano irrimediabilmente chiuse e concluse. L’amore che sgorga dal mistero pasquale è sempre pronto — e felice — di poter trovare altre vie per farsi dono e balsamo di vita:
«Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti» (Mt 21,44).
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